Il Transfert e la Psicosi – di Patrizia Piunti

In Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi Lacan sembra voler introdurre così il problema di un “trattamento”. Ma come questo diventa possibile? È davvero possibile? Cosa si intende per “trattare” una psicosi? E, soprattutto, si può parlare di transfert in questo tipo di clinica, oppure, come scrive O. Mannoni a proposito del Presidente Schreber in occasione del suo incontro con il Prof. Flechsig, di qualcos’altro? «Ciò che è forcluso non può essere rievocato…..Flechsig non poteva richiamare la pedagogia di Gottlob alla memoria di Schreber….Egli la presentava…forse è questo che vuol dire Freud quando afferma che gli psicotici non sono capaci di transfert, quando apparentemente trasferiscono con tanta veemenza». Occorrerebbe forse utilizzare “un’altra categoria rispetto a quella del transfert”?(O. Mannoni, “President Schreber, Professeur Flechsig”, 1974).

Eppure la clinica psichiatrica e psicanalitica nell’ambito delle psicosi ci offre esempi quotidiani di qualcosa che comunque avviene, a volte in una forma che ha indotto Marcel Czermak a parlare di “transfert senza resistenza”. Lacan tratta della “disparità soggettiva” nel transfert del nevrotico, ma possiamo trovare questa “disparità” anche nella psicosi?

Il problema del transfert nella psicosi ci costringe a rimettere in gioco varie categorie, tra cui l’ideale dell’Io, l’Io ideale, l’oggetto piccolo a, il grande Altro, ecc. lanciando anche una difficile sfida a chi vorrebbe ridurre la clinica psichiatrica ad un’elencazione di “fenomeni”, elementari o meno, da “trattare” sempre e comunque, perché per ogni paziente, anche se non lo sa, c’è un “diritto” alla cura ed per ogni medico il “dovere” di riservargliela.

Si tratterà di vedere se sarà possibile riutilizzare tutto questo nella prospettiva di una relazione che comunque nell’esperienza clinica sembra comportare conseguenze di vario genere. Si cercherà di analizzare qualcosa di quello che succede o, per lo meno, di avviare una ricerca in tal senso, quale si intende proporre nel corso di questo seminario.

Negli Scritti Lacan osserva che Freud «designa nel transfert operato dal soggetto sulla persona di Flechsig il fattore che ha precipitato il soggetto nella psicosi». Questa sua notazione, come del resto altre analoghe contemplate nel suo testo in riferimento ad «ogni possibile trattamento della psicosi», per quanto elaborate in un periodo ancora giovanile della sua teorizzazione psicanalitica, possono esserci utili per evidenziare l’originalità della sua posizione che tende ad uscire dalla prevalenza attribuita all’immaginario nell’instaurazione del transfert, “nel quadro di una relazione analitica concepita come duale”, soprattutto quando si tratta di una psicosi. D’altra parte questa stessa osservazione, che in seguito verrà articolata in maniera diversa con lo sviluppo della sua teoria sul sinthomo come indicato in RSI e nel Sinthome, ci pone numerosi problemi sulla nostra pratica clinica, in particolare per chi si trova quotidianamente in rapporto con pazienti psicotici, come avviene nei centri di salute mentale.

Il transfert di questo tipo, infatti, potrebbe essere assimilato in parte a quello con cui ebbe a che fare Schreber con il Dr Flecshig, pur con le dovute differenze (i pazienti dei centri di salute mentale non scelgono lo psichiatra, eccetto casi particolari, per cui si tende a far affidamento più sull’istituzione che non sui singoli referenti). Un’altra caratteristica è la tendenza o, a volte, la necessità di articolare il proprio transfert nell’ambito di diverse persone che compongono l’ambiente in cui ci si trova ad operare. Quest’ultimo aspetto non si verifica sempre con le stesse modalità e nella migliore delle ipotesi può anche rappresentare una possibile risorsa per il trattamento.

Si tratta quindi, per certi aspetti, di un ampliamento un po’ forzoso della relazione duale, anche se non sempre questo evita di ricadere nella specularità da cui la psicosi stessa è caratterizzata nella sua forma più specificamente paranoide. La tendenza che ne consegue è quella di cercare di creare,almeno con alcuni pazienti, una forma di “regolazione” forse con l’idea di ricostituire una metafora paterna comunque mancante o non funzionante, con l’ipotesi che questo sia in qualche modo ancora possibile. Nell’analisi di tutto questo non si può prescindere da un mandato istituzionale che in un certo senso rappresenta anche un presupposto dell’ipotesi stessa della creazione di una metafora in quanto supporta d’ufficio un luogo possibile del grande Altro. Si tratta però spesso di un grande Altro sociale che tende a condurre per sua natura all’isolamento e all’esclusione se non contempla anche l’ipotesi di una soggettività possibile. Penso che tutto questo rappresenti la sfida quotidiana del lavoro nei centri di salute mentale.

Per tornare ad analizzare le caratteristiche del transfert con gli psicotici mi sembra utile ricordare quello di cui ha parlato Marcel Czermak in Patronymies, ossia che «lo psicotico resiste male al transfert ed in certi casi per niente […] nel nevrotico ciò che è dialettizzabile è il suo saper inconscio di una disparità soggettiva. Nello psicotico è la sua assenza di disparità che lo mantiene nell’assenza di dialettica. Se si avvia questo punto la disparità fa ritorno altrove». Czermak lo definisce transfert senza resistenza. Aggiunge poi che «l’amore dello psicotico non è una significazione generata attraverso una metafora, non è una sostituzione nel luogo di una mancanza. Quando uno psicotico ama, ama realmente a partire da una privazione che è forclusione. Quando odia egli può liberamente liberarsi dell’Altro che lo abita realmente, attraverso l’omicidio, se occorre. Il suo transfert non è un inganno, meno ancora un errore, neanche una resistenza, ad eccezione di quei bei casi di reticenza psicotica» (ibidem).

Così, sempre Czermak, in un suo intervento durante il seminario di Charles Melman Les paranoïas, ritorna sul seminario di Lacan sul Ttransfert nella sua disparità soggettiva e aggiunge: «Dall’intersoggettività alla disparità soggettiva: per le nevrosi Lacan sottolinea del transfert quello che appare a volte come uno “scambio di persona”, operazione cui l’analista si presta volentieri. Ma per Schreber nel suo incontro con il Prof Flecshig o nelle attuali paranoie o, ancor meno, nelle psicosi passionali, lo scambio di persona non è così facilmente utilizzabile come gioco transferale, quando non è esso stesso sintomo, scatenato nell’ambito di quella stessa situazione. Non c’è “disparità “ nel rapporto con lo psicotico, nell’ambito della sua inerzia dialettica e di forclusione del grande Altro».

Melman, nel seminario sulle Structures lacaniennes des psychoses rileva come Lacan non abbia
«mai parlato di psicanalisi con gli psicotici», bensì di «una questione preliminare a tutti i trattamenti possibili». Più avanti rileva che comunque «lo psicotico è evidentemente adatto al transfert con, beninteso, il rischio che da questo rapporto privilegiato al grande Altro il transfert venga essenzialmente a mantenere, nutrire o giustificare il delirio […]. Credo che questo ci riporti al fatto che nella psicosi fa difetto, per ragioni di struttura, il luogo del godimento e che comunque ci riporti ugualmente ad aprirci alla questione della paranoia che ci sembra essenzialmente illustrare, nelle sue forme classiche, per l’incapacità a riconoscere un piccolo altro, la stessa incapacità ad accettare e riconoscere che esista un piccolo altro». Aggiunge ancora che «il piccolo altro al quale lo psicotico si può interessare è essenzialmente intanto quanto egli cerca di costruire un io, in altre parole egli entra in rapporto con quest’immagine, in un rapporto fondato su un certo tipo di forclusione in cui la forma più pura sarà espressa attraverso l’ecomimia e l’ecolalia di certi casi di schizofrenia. L’alterità (nella psicosi) non è quella che prepara il posto possibile di un simile, a meno che questo non sia di farsi secondo l’immagine supposta di quest’altro».

Czermak in Patronymies sottolinea che «il soggetto psicotico si fa equivalente all’oggetto a così come al taglio, mentre nella nevrosi si manifesta una duplicità topologica del soggetto nella misura in cui è addizionato e sottratto». Sulla base di quanto detto lo stesso Czermak ci mette in guardia sul rischio sempre presente nel transfert con gli psicotici, anche quando non si individua un chiaro errore tecnico, di dare origine ad “atti incontrollabili ed in interpretabili”, che possono essere configurabili come acting –out e che derivano dalla stessa struttura della psicosi. In particolare, aggiunge, «l’acting –out e il sintomo possono collabire» o anche, secondo la formula di Lacan, l’acting-out può essere considerato un “equivalente psicotico”.

Sempre nello stesso testo, a proposito dell’acting –out, Czermak osservava che si tratta di una «mostrazione fallica, come tale non interpretabile». Non solo «a volerlo interpretare troppo, si demoltiplica. Quanto al passaggio all’atto, questo esclude la dimensione fallica e riduce il soggetto all’oggetto a che è diventato». Inoltre, «l’acting –out fa bordo, fa il giro come funzione, di quello che il passaggio all’atto sottolinea attraverso ciò che esclude».

Dalle osservazioni riportate da questi autori il problema del transfert nelle psicosi tende ad assumere diverse connotazioni che possono avere una certa rilevanza nella pratica clinica. In particolare, per es., la questione del tipo di psicosi con cui si ha a che fare , ossia se si tratta di schizofrenia o di paranoia, distinzione della psichiatria classica ripresa inizialmente da Freud e successivamente da Lacan, cui si possono aggiungere le parafrenie in cui «si manifesta il polo immaginario, ma la categoria dell’io sembra esserne assente», ossia si tratta di “un immaginario senza io” (Cfr. M. Czermak, Passioni dell’oggetto).

Per non parlare poi della psicosi maniaco-depressiva nelle sue varie forme cliniche che ci pongono, tra l’altro, di fronte alla questione della despecificazione pulsionale (Czermak,Patronymies), come anche alla caratteristica della conservazione di un certo rapporto con il Nome del Padre. Questa distinzione non è solamente una disquisizione accademica, ma ci può far interrogare sull’andamento del transfert. Così, per esempio, se sia più facile la tendenza al viraggio verso una situazione paranoidea nelle paranoia o nella parafrenia, come anche nella psicosi maniaco-depressiva.

Un altro aspetto di particolare interesse è rappresentato inoltre proprio dall’osservazione di Czermak sul “transfert senza resistenza”, in quanto questo pone un problema di grande responsabilità clinica riguardo i pazienti psicotici nonché di conduzione del trattamento. Si potrebbe anche aggiungere che forse anche attraverso la caratteristica di questo tipo di transfert si può individuare un elemento strutturale della stessa psicosi di differenziazione dalle nevrosi.
La resistenza, infatti, secondo l’accezione freudiana, è rappresentata da tutto ciò che fa ostacolo al lavoro della cura , tutto ciò che intralcia l’accesso del soggetto alla sua determinazione conscia. Freud ne parla, per es, a proposito dell’interpretazione dei sogni (in Inibizione, sintomo e angoscia), rilevando come «il successo dell’interpretazione dipende dalla resistenza”, che comunque può essere eliminata» proprio tramite una «osservazione felice». Ma proprio sul problema dell’interpretazione Lacan ha dato un suo contributo originale, ponendoci per di più di fronte ad un ‘ulteriore questione relativa alla psicosi: se «l’interpretazione .deve valorizzare o, almeno, lasciare aperti gli effetti di senso del significante» e «valorizzare il carattere polisemico di ciò che viene detto durante la cura” per avere così “effetti di senso» (cfr. Dizionario di psicanalisi, a c. di R.Chemama/B. Vandermersch, Gremese, 2004, p. 161), è possibile utilizzare tutto questo nella psicosi ? Evidentemente no, soprattutto quando «significante e significato si presentano in forma completamente divisa » (Sem. III, Le psicosi, cap. XXI ). A questo proposito Lacan parla di “punti di capitone” che nel meccanismo psicotico “cedono” o “saltano”, ossia un certo numero di «punti di attacco fondamentali tra il significante e il significato» che si presentano come “necessari” in un soggetto cosiddetto normale quando «non sono stabiliti o cedono anno lo psicotico» (ibidem). In tale situazione una qualsiasi interpretazione che si muova su questo piano non farebbe altro che contribuire a scardinare ulteriormente quei “punti di attacco” stessi.
Per tornare all’osservazione di Czermak sul “transfert senza resistenza” appare sempre più evidente quanta parte può riguardare nella cura la posizione dell’analista o anche dello psichiatra in genere come anche la questione del suo desiderio.