
08 Apr Il nodo che snoda – di Marc Darmon
La questione del nodo borromeo, del buco e della personalità paraonoica nel seminario di Jacques Lacan, “Le sinthome” (I parte)
di Marc Darmon
Darmon. – Potete avvicinarvi un pochino, perché vi presenterò delle cose che si vedono e che si toccano.
Dunque, Muriel Drazien mi ha chiesto di parlarvi di topologia partendo dal Seminario che studiate nel corso di quest’anno, Le sinthome. Poiché non sono abituato a lavorare con voi, vi domanderò subito di pormi delle domande, qualunque tipo di domanda anche se, naturalmente, non sono sicuro di poter rispondere a tutte, ma forse questo ci permetterà di fare un lavoro utile perché, per quanto riguarda la topologia, sono al vostro stesso punto.
Drazien. – Ma. Non credo proprio!
Darmon. – Nel senso che, come diceva Lacan, non sappiamo a che serve eppure serra [in francese c’è un gioco di parole tra sert e serre: serve e serra, N.d.R.].
Se dobbiamo credere a Lacan, siamo tutti strattonati dalla topologia. D’altra parte, Lacan ci dice che per il momento è lui il solo a servirsene, a maneggiarla. All’epoca di questo Seminario, la topologia era una vera passione, un’ossessione in Lacan. Ne troviamo testimonianza nelle lettere scambiate con Soury e Thomé, in cui Lacan dice di aver trascorso almeno due mesi delle sue vacanze a torturarsi per sapere se esistesse un nodo borromeo fatto di quattro nodi a tre.
Sul manifesto che Muriel Drazien ha preparato…
Drazien. – L’autore è Carlo Albarello.
Darmon. – Grazie perché è molto bello. Quest’anno, il titolo del mio seminario è “Annodare, snodare”. Per questo seminario sono partito da un passo di Televisione in cui Lacan dice che il Reale permette di snodare il sintomo che consiste in un nodo di significanti. Vorrei dirvi come vedo le cose oggi partendo da un lavoro che ho fatto su un nodo che snoda.
Vi presento un nodo molto semplice. Ecco una corda. Ecco il nodo che realizzo, sono due nodi semplici, a trifoglio che si susseguono. Ecco come si presenta. Ipotizzo che abbiamo a che fare con un simile annodamento. Una delle possibili operazioni per scioglierlo è di fare il cammino al contrario, vale a dire che i capi della corda che è stato necessario annodare compiono lo stesso percorso all’inverso. È una delle possibili concezioni dell’analisi: riprendere il filo dei significanti, all’inverso. Eppure l’esperienza mostra che fa resistenza: il cammino all’inverso non può essere compiuto.
Questo esempio illustra il fatto che il nuovo nodo che sembra annodare ancor più il primo nodo…Aspettate, ve ne faccio fare esperienza: quando abbiamo un nodo così, se invece di fargli fare il cammino all’inverso lo annodiamo ancor più realizziamo un nodo ancor più complicato. Guardate cosa faccio con questa parte: la faccio passare nel giro (fr. boucle) di sotto, poi nel giro sopra e a priori è un nodo ancor più complicato. Ma, se non ho sbagliato, è anche un nodo che snoda. Non è il solo a funzionare così. Mi son divertito a trovarne altri. Ma sono maldestro per presentarveli oggi. È un po’ così che concepisco ciò che facciamo in un’analisi: fabbrichiamo un nodo che sembra annodare ancor più, ma che, se è fabbricato con perizia, in modo destro, è capace di snodare, di sciogliere poiché il cammino all’inverso è impossibile.
Ora vi parlerò del sinthome.
Penso che Lacan si è interessato ai nodi perché essi introducono delle proprietà che non appartengono ad altri oggetti, ad altri modelli. Partiamo da questa corda. È ciò che Lacan chiama una consistenza. Se faccio un nodo ciò che cambia non è nell’ordine della consistenza – la consistenza resta la stessa. Cosa fa la differenza tra questa corda e l’oggetto nodo? Non è certo qualcosa che appartiene alla materialità della corda; è qualcosa che avviene nel bucoche circonda la corda? Neppure. Vale a dire che questo nodoex-siste al tempo stesso rispetto alla consistenza della corda e rispetto al buco.
All’inizio di questo Seminario, Lacan si chiede se le categorie del Reale, Simbolico e Immaginario non si ritrovino in queste proprietà del nodo: la consistenzadel nodo nell’ordine dell’Immaginario, e Lacan la riferisce al corpo; il buco, che è attorno alla consistenza immaginaria; e il nodo propriamente detto che ex-siste a queste due dimensioni e che rappresenta il Reale.
Quando Lacan comincia il Seminario, già si è posto una questione sul nodo: che cosa nel nodo borromeo a tre ci permette di distinguere Reale Simbolico e Immaginario?
Vi faccio vedere questo nodo a tre. Mi ci vuole un po’ di tempo a fabbricarlo. Mi scuso…utilizzo delle spille da balia.
Dunque, in questo nodo a tre i tre giri di corda sono indipendenti due a due. Vale a dire che non c’è una catena nel senso abituale del termine. La consistenza bianca e quella verde sono indipendenti tra loro. Non fanno catena nel senso abituale del termine. Ma è anche il caso della consistenza bianca e rossa, quindi di quella rossa e verde. Possiamo dire che il nodo ex-siste alle tre consistenze. Ed è impossibile, se consideriamo solo il nodo a tre, distinguere ciascuna delle tre consistenze. Questo era il problema che Lacan si era posto al termine del Seminario precedente il Sinthome: come introdurre una distinzione in questo nodo.
Qui li distinguete bene perché sono colorati. Ma il problema è proprio quello: come attribuire un colore diverso a ciascuna delle corde in un modo che derivi logicamente dalle proprietà del nodo.
È questo che, in qualche misura, permette invece il nodo a quattro. Ecco un nodo a quattro. Come prima, potrei esplorare le proprietà di questo nodo a quattro. Cosa diventa quando cerco di separare le consistenze che vi sono incatenate?
La prima consistenza è incatenata a quella che si trova in posizione due; se le separo, abbiamo un nodo che non assomiglia a quello di partenza, vale a dire che la consistenza rossa e quella verde sono agganciate dalle altre due consistenze che sono mescolate insieme e che sono, dunque, in una posizione privilegiata. Ugualmente, se cerco di separare le due consistenze che prima erano in posizione privilegiata tra loro, abbiamo le due consistenze nelle posizioni estreme, ma questa volta agganciate dalle altre due consistenze che, prima, erano nelle posizioni estreme.
Nel nodo a quattro, c’è un legame privilegiato tra due delle consistenze il che permette a Lacan di definire tre dominazioni: quando le consistenze sono unite così, Lacan parla difalso buco; possiamo dire che la quarta consistenza viene a distinguere una delle altre tre, viene a nominarla. Ci sono tre modi di presentare questo nodo a quattro a seconda di quale delle altre tre consistenze viene nominata dalla quarta. E da qui che Lacan parte nelSinthome.
Uno dei nodi a quattro è costituito da Reale Simbolico e Immaginario dissociati, ma, una quarta consistenza fa falso-buco con il Simbolico. Ecco un falso buco: le due consistenze sono indipendenti, basta averne una terza che, come dice Lacan, viene a verificarle perché si trovino legate.
Drazien. – Ecco, vi ricordate una retta: basta che una retta passi attraverso i due perché si formi un vero buco.
Darmon. – Nel nodo a quattro dispiegato (fr. déplié), ci sono due falsi buchi legati, vale a dire che c’è un legame privilegiato tra due consistenze e le altre due consistenze. Ecco ciò che interessava Lacan: il quarto anello porta una distinzione nel nodo borromeo che non esiste in quello a tre. Il nodo borromeo a tre tende ad omogeneizzarsi, vale a dire che è talmente impossibile distinguervi le consistenze che si produce una sorta di continuità. Una continuità che dipende proprio dalla struttura del nodo a tre e che fa corrispondere il nodo a tre al nodo a trifoglio. Ecco il punto di partenza di Lacan.
Tra le tre nominazioni, Reale Simbolico e Immaginario, Lacan predilige quella Simbolica e ne parla come di sinthome. Il sinthome ha un legame privilegiato con il Simbolico, fa falso buco con il Simbolico per legare assieme le tre consistenze.
Se seguiamo gli interrogativi sulla topologia che Lacan si pone nel corso di tutto il Seminario, questa è una questione essenziale. Il che ci permette di capire perché si è rotto la testa per due mesi per trovare se un nodo a quattro, fatto di quattro nodi a tre, esistesse. Perché, se esiste una continuità tra il nodo borromeo a tre e a trifoglio, allora esiste la possibilità di distinguere tre nodi a tre? È lo stesso ragionamento che prima fabbricava un nodo a quattro fatto di quattro nodi a tre. È il nodo complicatissimo che trovate a pagina 45 dell’edizione ALI. È il famoso nodo trovato da Soury e Thomé.
NelSinthome, Lacan s’interessa a Joyce. Naturalmente vi sono molti punti in comune tra Lacan e Joyce: il loro stile, il modo in cui lavorano il linguaggio. Si può dire che la lettura di Lacan pone molte difficoltà perché vi sono molti neologismi, frasi enigmatiche per cui questo discorso assomiglia molto agli scritti di Joyce. Con la differenza che quando Lacan inventa un neologismo è con l’intenzione di presentare, dimostrare qualcosa. In questo Seminario trovate molte invenzioni, ad esempio dit-mesion (casa del dire e dimensione) per dire che il nodo borromeo ha tre dimensioni. Anche la parola os-bjet: la parola oggetto (objet) è lavorata da Lacan con la lettera s, che fa sorgere il termine osso [in fr. os; ma anche il latino bocca os, oris, N.d.R.] per manifestare che l’oggetto piccolo a è una lettera di troppo. Quando mangiate la carne e vi capita di mettere la bocca su un osso. Avevo un paziente che mi diceva che da bambino immaginava che l’erezione fosse dovuta ad un osso speciale. Quando Lacan fabbrica delle parole è sempre con l’intenzione di mostrare qualcosa. I suoi enigmi sono destinati ad essere lavorati per introdurre al discorso psicanalitico.
In Joyce si tratta di tutt’altra cosa. Egli fabbrica enigmi senza limite. È sempre possibile lavorare sugli enigmi di Joyce, ma, come diceva lui stesso, con lo scopo di dare da lavorare agli universitari per almeno duecento anni. Secondo Lacan, l’enigma in Joyce aveva una funzione molto particolare: una funzione di riparazione.
Lacan fa funzionare in Joyce molti nodi: dapprima un nodo a trifoglio con un errore (fr.erreur), che è riparato nel luogo stesso dell’errore (fr. erreur) con un’altra consistenza. C’è un secondo nodo per Joyce: un nodo borromeo a tre con un errore (fr. erreur) che ha per risultato d’incatenare Reale e Simbolico. Lacan fa emergere da questo errore (fr.erreur) qualcosa di molto particolare che si trova in Joyce: le epifanie. Vale a dire che Joyce coglie un avvenimento del tutto banale, triviale della vita quotidiana per farne un piccolo morso di scrittura. Vale a dire che questa scrittura coglie un piccolo morso di Reale. È il suo punto di partenza. Lacan riferisce questo ad una catena – nel senso triviale del termine – tra Reale e Simbolico. Ma quando, in una catena borromea a tre, annodate nel modo più triviale Reale e Simbolico non ottenete un nodo ancor più annodato, ma la terza consistenza, l’Immaginario, si stacca.
Dunque in Joyce, secondo Lacan, a partire da questo nodo a tre con un errore (fr. erreur) il sinthome riparava questo errore (fr. erreur) per mantenere l’Immaginario all’interno del nodo. È la funzione dell’ego nel nodo di Joyce. Qui l’ego non è quello comune, riferito all’Immaginario del corpo, ma è un ego fatto di scrittura. Questa funzione riparatrice è l’opera stessa di Joyce, il suo modo di farsi un nome per riparare la forclusione del Nome-del-Padre.
Posso forse fermarmi qui perché voi possiate porre delle questioni per poterne discutere.
Burzotta. – Come, annodando Reale e Simbolico, si snoda l’Immaginario?
(Marc Darmon fabbrica di nuovo un nodo a tre).
Darmon. – Immaginiamo che l’Immaginario sia in mezzo, il bianco è il Simbolico e il verde è il Reale. È un po’ ridicolo dirlo così, ma comunque.
Facciamo in modo che Reale e Simbolico si trovino annodati, ecco l’Immaginario se n’è andato. Sembra che si stia facendo un nodo ancor più annodando, mentre l’errore (fr.erreur) ha per effetto di liberare la consistenza immaginaria. Avete la realizzazione della catena tra Simbolico e Reale che Lacan riferisce alle epifanie. Per realizzare qualcosa che abbia l’aria di un nodo borromeo, occorre un’altra consistenza che ripari l’errore (fr.erreur). Il risultato non è un nodo borromeo, ma qualcosa che assomiglia ad un nodo borromeo.
L’errore compromette il nodo, per questo Lacan suppone l’intervento di un quarto anello.
Drazien. – Credo che valga la pena di ripetere questa operazione, perché se si salta un passaggio si perde il filo.
Burzotta. – […] un legame speciale tra Reale e Simbolico.
Darmon. – Voi avete del tutto ragione. È un punto di partenza immaginario, vale a dire che la forclusione di cui parla Lacan esclude che, nel caso di Joyce, il nodo borromeo sia mai potuto esistere, c’è stato un errore (fr. erreur) di partenza. E dunque la creazione artistica con funzione di riparazione.
Jerkov. – Questo esiste in generale nel nodo borromeo? Perché c’è sempre un sinthomeche fa tenere.
Darmon. – È la questione di Lacan in questo Seminario. Il nodo borromeo a tre tende alla messa in continuità e ci si ritrova, quindi, con un nodo a trifoglio: è ciò che Lacan chiama la personalità paranoica. Ed è esattamente ciò su cui s’interroga Lacan nel Seminario. Dopo aver immaginato inR.S.I. o in Les non-dupes errent, esita molto, però immagina che l’analisi possa liberare dal quarto anello – è così che ne parla in un primo momento. Poi si domanda se il questo anello non sia necessario. Questo, del resto, fa parte di quei Seminari in cui Lacan cerca. Potete constatare che per Joyce presenta tre diversi nodi:
1) un nodo a trifoglio riparato che assomiglia ad un nodo a trifoglio;
2) un nodo borromeo con errore (fr. erreur) riparato dall’ego;
3) nell’ultima lezione presenta ancora un altro nodo, con delle rette infinite che sembrano essere borromee, vale a dire che la riparazione avrebbe per effetto di fabbricare un vero nodo borromeo a quattro.
In questo Seminario, Lacan s’interroga e cerca di continuo. Perciò, è impossibile dare risposte definitive basandosi su questo Seminario. Pensiamo, ad esempio, alla questione “in cosa consiste l’atto analitico a partire dal nodo”. Parla di giunte (fr. épissures): è un modo per mettere in continuità i fili (fr. bouts des ficelles). Parla anche di sutura (fr.suture), vale a dire che concepisce l’atto analitico come una messa in continuità tra il Simbolico e l’Immaginario per fare senso, mentre questa giunta mette in continuità sintomo e Reale, vale a dire che permette il recupero del godimento – da cui il gioco di parole tra “godimento” (fr. jouissance) e “odo del senso” (fr. jouis-sens). Si riferisce al godimento fallico.
Nel passo cui faccio riferimento, Lacan parla di un nodo a trifoglio a tre, con i due capi (fr. bouts) che proseguono all’infinito. Questo nodo risulta dalla messa in continuità di un nodo borromeo; quindi definisce i punti in cui si producono queste giunte (fr. épissures) tra Immaginario e Simbolico, che è una parte della corda che prosegue nel sintomo, e un’altra giunta tra il Reale e il sintomo.
L’apertura del nodo a trifoglio lascia tre campi: un campo in mezzo che è quello dell’oggetto piccolo a; tra l’Immaginario e il Simbolico c’è il campo del senso; e nel terzo campo, tra sintomo e Reale, c’è il godimento fallico. Fa una sorta di continuità tra Simbolico e sintomo. L’atto analitico qui corrisponde a fare senso attraverso una giunta tra Simbolico e Immaginario e l’effetto si produce tra sintomo e Reale e si gioca al livello del godimento fallico.
Potrei forse farvi degli esempi.
Burzotta. – Avrei una difficoltà: il nodo a trifoglio mi fa pensare ad un nodo dove vi sono tre consistenze. Ma lei parla di giunte e mette assieme alle tre consistenze il sintomo.
Darmon. – Ecco il nodo borromeo a tre. Reale, Simbolico e Immaginario. In R.S.I. al livello delle intersezioni degli anelli mette il senso tra Simbolico e Immaginario; qui, tra Simbolico e Reale, mette il godimento fallico; e qui, il buco (trou) del godimento dell’Altro. Inoltre, sempre in R.S.I., Lacan dispone inibizione, sintomo e angoscia nel nodo.
L’inibizione è qualcosa dell’Immaginario che fa intrusione nel Simbolico.
L’angoscia è qualcosa del Reale che fa intrusione nell’Immaginario.
Il sintomo è qualcosa del Simbolico che fa intrusione nel Reale.
Questo è il punto di partenza per capire ciò di cui ho appena parlato. Poi ciò di cui vi ho parlato è la messa in continuità – tramite giunta – a partire dal nodo borromeo. Se volete, per Lacan la giunta che realizza l’analista consiste nel creare una sutura tra Immaginario e Simbolico. Questa sutura fa senso. È, ad esempio, il tipico effetto di senso dell’interpretazione. Secondo lui, risulta una messa in continuità del Simbolico, nel suo aspetto sintomatico, e del Reale che riguarda il godimento fallico. Vale a dire che, una volta realizzate le suture, abbiamo un nodo trifoglio.
[Disegno alla lavagna] Qui avete una sutura tra Reale e Simbolico; e qui tra Simbolico e Immaginario. Se volete, ritrovate la traccia del nodo borromeo, ritrovate il campo del senso e del godimento fallico. Mentre il godimento dell’Altro appartiene a questo campo aperto.
Morucci. – E nel borderline cosa succede?
Darmon. – Questo Seminario su Joyce è molto adatto trattare questa questione, perché Lacan nel corso di tutto il Seminario si domanda se Joyce sia folle. Possiamo chiederci se la clinica non ci mette in presenza di soggetti che si sono costruiti un sinthome per riparare ad un nodo che, a seguito della forclusione del Nome-del-Padre, si sarebbe sciolto. Penso che vi sia una grande differenza tra i soggetti che si sono fabbricati un sinthome, quali Joyce, e ciò che la clinica contemporanea ci presenta oggi – ciò che Melman ha chiamatoL’homme sans gravité. È un tema molto discusso. L’opinione di Melman è che non è un nodo con sinthome che può dar conto di questi soggetti “senza gravità”, ma un nodo in cui le tre consistenze sarebbe libere, perciò il nodo terrebbe solo grazie alla permanenza di un oggetto che sta al centro di questo nodo: è attorno ad un oggetto di godimento che la struttura permetterebbe una certa continuità.
Drazien. – Come si può presentare una struttura del genere?
Darmon. – [Disegno] ecco un nodo con le tre consistenze che vanno alla deriva.
Drazien. – Ma non è un nodo.
Darmon. – No, non è un nodo. Rassomiglia ad un nodo borromeo. Melman suppone che un oggetto venga a collocarsi nella posizione centrale e mantenga le tre consistenze. Un oggetto che non sarebbe l’oggetto adi Lacan, ma un oggetto di godimento positivizzato.
Burzotta. – Torniamo al discorso di prima. La messa in continuità dei tre anelli, è fatta nei punti di angoscia, sintomo e inibizione. È lì che avviene la messa in continuità. Tra sintomo e inibizione.
Darmon. – Bisognerebbe rifarlo con cura.
Drazien. – Lui dice l’Immaginario fa con l’inibizione un falso buco, attraverso cui passerebbero il Reale e il Simbolico per formare un nodo borromeo.
Burzotta. – Non, io non dico questo.
Darmon. – Ho dato l’esempio di come Lacan propone la messa in continuità attraverso la giunta del Simbolico e dell’Immaginario per fare senso. Questa giunta sarebbe correlativa di un’altra che si troverebbe automaticamente tra Reale e quella parte del Simbolico che costituisce il sintomo. Possiamo così ritrovare i punti in cui Lacan ha tirato fuori tutto questo. Ma, come sempre, ci si sbaglia con i disegni e non sono riuscito a mettervelo in evidenza in un modo molto parlante. Se volete, possiamo rifarlo. Ho cercato di ricostruire il percorso di Lacan dal nodo di R.S.I. con inibizione sintomo e angoscia al nodo trifoglio con quelle due giunte che troviamo in Le sinthome. In questo nodo a trifoglio, non c’è messa in continuità tra Reale e Immaginario, a quel livello c’è un’apertura.
Burzotta. – Noi siamo partiti dal nodo a quattro di cui Lacan parla alla fine del SeminarioR.S.I., dove il Simbolico permetteva di annodare Reale e Immaginario e così di seguito.
Darmon. – Avete ragione. Questo è ciò che Lacan sviluppa alla fine di R.S.I. per le tre dominazioni, vale a dire che quando c’è un legame speciale tra il quarto anello e il Reale si tratta della nominazione Reale e Lacan evoca effettivamente l’angoscia; quanto alla nominazione immaginaria, c’è dunque questo falso buco tra il quarto anello e l’Immaginario allora vi sono effetti d’inibizione; e poi parlava di sintomo per l’altra configurazione.
Burzotta. – Io mi chiedo: lei è partito di lì. Dopo su Joyce tutto questo non funzionava più. Perché non si tratta di questo.
Darmon. – È proprio così. Ciò che lei dice è pertinente e ci permette di vedere che ci sono due nodi di sinthome Un nodo veramente borromeo, con il quarto sintomatico, un nodo che chiamerei nevrotico – anche se Lacan non lo chiama così – e il nodo di Joyce che sembra un nodo a quattro e che non è borromeo.
Burzotta. – Questo errore iniziale di Reale e Simbolico che si annodano e che, se non sbaglio, abbiamo anche chiamato epifania, questo è curioso: che Reale e Simbolico si annodino liberando l’Immaginario. Questo è curioso trovo.
Darmon. – Lacan insiste su questo termine inglese sin, che è l’errore (fr. faute). Nel caso di Joyce questo errore ha per effetto l’incatenamento di Reale e Simbolico e, a mio modo di vedere, un altro modo di agganciare la forclusione. Solo il nodo permette di concepire che questo errore ha per effetto di liberare l’Immaginario. Il che è molto diverso da ciò che Lacan sosteneva con il nodo a trifoglio del paranoico in cui c’è la messa in continuità delle tre consistenze e in cui c’è una sorta di viscosità dell’Immaginario. Nel caso di Joyce abbiamo a che fare con altro, con il modo dell’Immaginario del corpo di liberarsi. Vale a dire che la scrittura di Joyce non accentua il versante immaginario, è una scrittura che lavora la lettera e che è molto deludente al livello del senso.
Drazien. – Di questo ne abbiamo parlato ampliamente, mi pare.
Burzotta. – È ancora pertinente dire che ciò che è rigettato dal Simbolico riappare nel Reale?
Darmon. – Per come lo capisco io, è un altro modo di riprendere che ciò che è forcluso nel Simbolico riappare nel Reale. Di legarli in modo erroneo.
Drazien. – Come rappresenta la rimozione in rapporto a ciò che fa trounel Simbolico?
Darmon. – Lacan fa dipendere il trou nel Simbolico dalla rimozione originaria. Il trou nel nodo ha a che fare con la rimozione originaria, è il Simbolico che fa trou nel Reale. È un altro modo di riprendere ciò che Lacan, partendo da Hegel, aveva sviluppato dicendo che il Simbolico è la morte della Cosa.
Drazien. – Ma lui dice che anche il Simbolico è bucato.
Darmon. – Lacan mette in evidenza la funzione fare buco – che dipende dal Simbolico – ma che però è del Reale del Simbolico e dell’Immaginario. Da qui la difficoltà di Lacan a distinguere le tre consistenze mantenendosi solo nel nodo borromeo a tre. Ugualmente, ciò che fa consistenza è l’Immaginario ma a livello delle tre consistenze: vale a dire che bisogna concepire una consistenza immaginaria del Reale e una consistenza immaginaria del Simbolico. Ciò che fa nodo e così via.
Drazien. – E nel caso del nodo che propone Melman per l’uomo senza gravità?
Darmon. – Il nodo che propone Melman assomiglia, ma non è, un nodo borromeo.
Drazien. – È senza buco?
Darmon. – Se cominciamo a cercare le contraddizione in ciò che Lacan ci porta, ci scontriamo necessariamente con delle difficoltà. E Lacan stesso ci presenta una serie di esempi di questi difficoltà. Per esempio quella difficoltà che lei ha giustamente indicato: come parlare per l’uomo senza gravità di Melman di consistenza, di ex-sistenza e di buco? Credo che siamo tutti allo stesso punto di ricerca e che urtiamo tutti contro questi tipi di problemi.
Burzotta. – Lei ha parlato di trou: il trou è attorno? Come se la corda piegata così facesse già trou?
Darmon. – È l’equivalenza che Lacan segnala tra la retta infinita e il cerchio.
[interruzione della registrazione].
Non possiamo immaginare buco (fr. trou) senza bordo. Il buco è qualcosa di completamente paradossale, che si coglie attraverso qualcosa che buco non è, vale a dire il bordo o la materia con cui facciamo buco.
Per esempio in Francia abbiamo un formaggio, la groviera, che ha dei buchi.
Jerkov. – C’è anche in Italia!
Darmon. – Se portate un pezzo di groviera da una stanza all’altra, voi portate il buco. Il buco non è dunque la regione dello spazio all’interno della materia groviera, perché se il buco fosse stato semplicemente quella porzione di spazio interno alla groviera, il buco sarebbe rimasto nella prima stanza mentre portavate la groviera nell’altra stanza. Adesso immaginate di trasformare questa groviera, con tutti i suoi buchi, in gesso. Il buco resta lo stesso, anche se la groviera è sparita e si è trasformata. Cos’è allora questo buco? È lo spazio circondato dalla groviera o dipende dalla materia della groviera?
Il trou è altro.
Drazien. – Se non ci sono altre domande, possiamo aggiornarci a domattina. Ringraziamo il Dottor Darmon.