Transfert e suggestione

Amalia Mele

Transfert e suggestione

Un commento alla lezione XXIV del Seminario V Le formazioni dell’inconscio

 

 

Il desiderio costituisce il concetto centrale dell’ultima parte del Seminario V Le formazioni dell’inconscio. Lacan ha preso in esame nelle lezioni precedenti il funzionamento del desiderio nell’isteria e nella nevrosi ossessiva, funzionamento che mostra come il desiderio sia sovvertito dal significante. Questa sovversione segue strade differenti nella nevrosi isterica, dove il desiderio indecidibile si mostra come desiderio insoddisfatto, e nella nevrosi ossessiva, dove il desiderio interdetto si declina come desiderio impossibile.

L’Altro è il luogo dove si scopre il desiderio e simultaneamente anche la difficoltà alla sua realizzazione. È quanto mostra in questo seminario la clinica dell’isteria (con i sogni della «bella macellaia» e quelli dell’«acqua cheta») e la clinica della nevrosi ossessiva (attraverso i casi clinici di Bouvet). Di fronte a questa impasse costitutiva del soggetto, l’isterica metterà l’accento sull’insoddisfazione del desiderio e cercherà nel desiderio dell’Altro l’indice del suo. Quanto all’ossessivo, confrontato a questa aporia, la sua strategia sarà quella di fare del suo desiderio un desiderio interdetto che nega l’Altro come tale.

Indicazioni cliniche preziose vengono dal capitolo XXIV Transfert e suggestione. Potete notare che già alla prima pagina della lezione Lacan disegna immediatamente il grafo. Il Seminario V è il seminario cantiere del grafo. Il grafo, non completato in questo seminario, sarà rilavorato nel S VI Il desiderio e la sua interpretazione, per trovare il suo compimento nello scritto del 1960 Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio. Notate qui subito che si tratta di un grafo ridotto alla sua essenza, in cui sono stati eliminati cioè tutti i simboli, tutte le lettere. È un grafo che mostra linee, linee d’orizzonte. La parola orizzonte risuona difatti continuamente nella lezione. Lacan disegna due linee, la linea della suggestione e la linea del transfert. La linea della suggestione è in qualche modo la linea dove opera la psicoterapia: sulla linea della suggestione siamo in quella del significante e  in quella dell’identificazione. La linea del transfert è l’al di là del significante. Siamo sulla linea del transfert (come Lacan spiega nella Direzione della cura testo coevo a questo seminario), se evitiamo la direzione della coscienza, se evitiamo l’uso di quel potere inevitabile presente in una cura o se di questo potere ne sappiamo fare un buon uso. Queste due linee (Lacan nel corso della lezione non si stancherà di ripeterlo) sono separate per una pura necessità topologica. In questo seminario servendosi del dispositivo del circuito della domanda, del bisogno e del desiderio, lo psicoanalista francese mostra come la domanda d’amore è sempre consustanziale alla domanda di soddisfacimento del bisogno. L’essere umano, per il fatto di articolare la sua domanda ed entrare così in una catena significante, crea immediatamente il posto per la domanda d’amore, poiché nel momento in cui la domanda di soddisfacimento del bisogno si presenta, si pone al contempo la domanda all’Altro, al suo alone significante, alla sua aurea significante (che accompagna la soddisfazione del bisogno), essendo la domanda d’amore domanda dei “segni” dell’amore, domanda del piccolo “niente” dell’amore. Allora la questione del transfert e della suggestione viene giocata su un’ulteriore linea d’orizzonte, che è una linea disegnata virtualmente, e di cosa c’è in quello spazio intermedio tra le due linee d’orizzonte, la linea della suggestione e la linea del transfert. Possiamo dire che c’è il desiderio. Negli anni del Seminario V Le formazioni dell’inconscio Lacan non si è ancora diffusamente interessato al transfert, come farà nel S VIII Il transfert, e non tratta la questione della separazione dell’amore dal desiderio che è la vera questione del transfert. Ma vi è già, a partire dal testo La Direzione della Cura, un appello agli analisti a preservare il posto del desiderio nella cura. Se si lascerà aperto questo spazio tra le due linee d’orizzonte del transfert e della suggestione, si eviterà che la linea del transfert collassi sulla quella della suggestione. Il piano inferiore del grafo è il piano dell’offerta della psicoterapia, e il piano superiore è il piano dell’offerta dell’analisi dove quello che è in gioco nell’avverarsi della linea del transfert, è la conquista di ciò che in ogni analisi non è programmabile, e che demarca, fa la differenza tra una psicoterapia e un’analisi. L’operazione analitica è presentata come ciò che deve mantenere separate le linee del grafo, quella del significante, dell’identificazione da una parte, e quella dell’al di là del significante, della linea del transfert dall’altra. È nello spazio tenuto aperto dall’analista tra le due linee che il soggetto potrà trovare accesso al suo desiderio. In un momento storico dove proliferano le pratiche psy come strategie di suggestione, che possiamo posizionare al piano inferiore del grafo, l’introduzione di questa linea ulteriore del transfert ridisegna l’offerta della psicoanalisi: la conquista in ogni analisi, di ciò che non è programmabile.

La suggestione è supporre che esiste un Altro, per giunta immaginato come pieno, un altro che sia in definitiva un grande Altro. La potenza della parola della madre (primo grande Altro) indirizzata al suo bambino s’inscrive, spesso indelebilmente nell’essere stesso (è la questione della lalangue, della lingua della madre che si accompagna alla cura del corpo del bambino). Il fattore chiave di ogni psicoterapia è che esiste un Altro, che possiamo scrivere con un A maiuscola, un Altro che può dare consigli e da cui si attende l’approvazione. La differenza tra psicoterapia e psicoanalisi è a livello del transfert. Nell’analisi l’immagine si articola alla parola. Nella psicoterapia vi è il dominio dell’immagine dell’Altro sul soggetto, l’Altro interpretato come maître. In analisi il grande Altro è alterità radicale, che è nel dire dell’analizzante e in quello dell’analista. Ma il funzionamento attraverso l’identificazione come punto di partenza è una base comune della psicoterapia e dell’analisi. Bisogna capire dunque come le due linee del transfert e della suggestione si separano.

Lacan presenta in questo Seminario varie declinazioni del desiderio. Il desiderio dell’Altro (desiderio che si appaga simbolicamente nel desiderio dell’Altro, nel sentirsi riconosciuto, voluto, desiderato dall’Altro), il desiderio di altra cosa (fa l’esempio del bambino che vuole la luna, qualcosa di non presente dunque), il desiderio di Altro (desiderio che sospinge al di là di ogni possibile oggetto, al di là di ogni possibile soddisfazione compresa quella del riconoscimento). Esiste dunque anche una dimensione del desiderio umano che esorbita dall’infelicità dello scivolamento metonimico del desiderio da un oggetto all’altro. Lacan dà a questa dimensione presente in questo Seminario un’accentuazione di altrove, proponendoci nel capitolo La metafora paterna una serie frastagliata di esperienze che mettono in luce questa nuova dimensione del desiderio umano. Non solo la preghiera, ma anche la veglia, l’attesa, la rivolta, la noia, la claustrazione, il panico, alludono a questa dimensione dell’altrove.

Dopo aver presentato il grafo stilizzato, Lacan prosegue la lezione con l’analisi della seconda topica, e riferendosi all’interpretazione ufficiale della seconda topica del suo tempo, riconosce che in fondo la funzione dell’io è venuta in primo piano. Forse – aggiunge – anche la stessa Ego-psychology è una lettura travisata della seconda topica nel suo mettere particolarmente in rilievo la funzione dell’io, schiacciato al contrario nella lettura di Freud tra il SuperIo e l’Es. Freud ne LIo e l’Es dice difatti che l’Io è una «fragile cosa». Forse Lacan si sta ponendo la questione di come articolare il suo inconscio strutturato come un linguaggio con la seconda topica che è una topica spaziale; il punto di articolazione sarà nel discorso delle identificazioni. Lo dice non a caso partendo dal cap. VII L’identificazione di Psicologia delle masse e analisi dell’Io di Freud. C’è un motivo per ricordare qui il disegno della seconda topica. Ricordarlo nel momento in cui ha disegnato il grafo ridotto all’essenziale, e poi invitare l’uditorio ad appallottolarlo («fatene una pallina»), richiamando così il gesto del piccolo Hans che appallottola il disegno della giraffa nel S IV, è un modo per mostrare che nel grafo “appallotolato” («la piccola rete»), le relazioni tra le componenti del grafo non cambiano.  Non sarebbe così per il disegno della seconda topica, se si decidesse di farne una pallina: c’è in Freud qualcosa di spazializzato, inevitabilmente spazializzato che in Lacan non c’è più. È importante questo passaggio del Seminario: c’è già della topologia nel grafo. La riflessione sulla seconda topica enuncia il motivo che porterà Lacan a separarsi da Freud, separazione che si staglia con la topologia come tentativo di eliminare l’immaginarizzazione dell’apparato psichico che è in Freud presente, sebbene non vi era in lui nessuna volontà di localizzazione, nessun organicismo. Lacan lo sottolinea ricordando scherzosamente che da qualche parte qualcuno ha scritto che con una lobotomia si può togliere un pezzo del Superio. È una boutade forse, ma riflette l’atmosfera culturale dell’epoca, le betîses della sua comunità scientifica.

Lacan ricorda le tre forme d’identificazione così come sono rubricate da Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’io. La prima forma d’identificazione è quella attraverso l’amore, la seconda è quella al tratto unario, la terza è quella al desiderio dell’altro (senza investimento oggettuale).

Quella che fa problema è la seconda forma d’identificazione che è rubricata come identificazione al tratto unario.

Freud dice che questa identificazione è fondamentale nella formazione di un sintomo nevrotico ed è un punto delicato perché può andare in una doppia direzione. In un primo caso la persona da cui si prendono in prestito dei tratti può essere non amata. Freud fa l’esempio di una bambina che s’identifica alla madre attraverso il sintomo della madre, la tosse, e osserva che è un’identificazione ispirata dall’ostilità, non dall’amore. Il sintomo esprime l’amore oggettuale per il padre e attua il desiderio di prendere il posto della madre sotto l’influsso del senso di colpa: «hai voluto essere come tua madre e ora lo sei se non altro nella sofferenza». In un secondo caso si tratta di prendere in prestito qualcosa dalla persona amata. È il caso di Dora e dell’identificazione di Dora alla tosse del padre. Qui c’è un passaggio molto importante in Freud, quando afferma che «l’identificazione è subentrata al posto della scelta oggettuale e la scelta oggettuale è regredita all’identificazione». Questa identificazione mostra per Freud degli aspetti degni di nota: l’io copia o la persona non amata o la persona amata con un’identificazione parziale, circoscritta, che si appropria solo di un tratto della persona che è oggetto d’identificazione. Questa identificazione porta a impossessarsi del tratto unario, porta l’oggetto nell’io così come descritto da Lacan a pag. 435: «La seconda forma d’identificazione si produce sulla via di una regressione, come sostituzione di un legame libidico a un oggetto, mediante un’introiezione dell’oggetto nell’io. Questa seconda forma d’identificazione è quella che, in tutto il discorso di Freud nella Massenpsychologie, ma anche in Das Ich und das Es, gli pone maggiori problemi, a causa del suo rapporto ambiguo con l’oggetto. Lì si concentrano tutti i problemi dell’analisi, in particolare quello del complesso di Edipo rovesciato. Perché, a un certo momento, in certi casi e nella forma del complesso di Edipo rovesciato, l’oggetto, che è l’oggetto di attaccamento libidico, diventa oggetto di identificazione?».

Lacan osserva ancora, nel corpo a corpo che fa con Freud, che si dà per scontato questo passaggio dall’amore all’identificazione che invece è una questione intorno alla quale Freud gira e non pretende da nessuna parte di averla risolta. Lacan insiste  ribadendo che la questione essenziale è quella del passaggio, confermato dall’esperienza, dall’amore per un oggetto all’identificazione che ne consegue, e citando Freud fa notare che questa identificazione è sempre di natura regressiva. Le coordinate della trasformazione di un attaccamento libidico mostrano che vi è regressione. La risposta alla domanda come si passa dall’amore all’identificazione è questa: si passa dall’amore all’identificazione perché c’è regressione, è la regressione che veicola questo passaggio.

Lacan, in verità va un po’oltre Freud, e ricorda che un po’ prima aveva lungamente parlato di questa identificazione al significante, al significante fallico, articolando la questione della regressione attraverso il significante fallico come questione cruciale che fa da spartiacque tra l’essere e l’avere. Se vado verso l’identificazione vado verso l’essere, verso l’appartenenza, per questo motivo l’identificazione fallica, questione in gioco nella cura, deve a un certo punto cadere. La regressione non è un fatto comportamentale non è attraverso i comportamenti che mi accorgo che c’è regressione ma attraverso i significanti. Dice poco dopo che non capita mai che qualcuno si metta a gemere come un lattante sul divano, e se questo succede non è mai generalmente di buon augurio.

La regressione è una regressione ai significanti della domanda, da intendersi dunque come regressione ai significanti del “dono”, del dono orale, del dono anale, del dono fallico.

Lacan ritorna poi sul dispositivo del seminario, il circuito bisogno-domanda-desiderio. La domanda di soddisfacimento del bisogno, in quanto è articolata,  dal momento che entra nelle sfilate dell’articolazione del linguaggio, è sempre domanda incondizionata d’amore, e anche l’Altro è lui stesso simbolizzato, il che significa che appare come una presenza su uno sfondo di assenza. «Notate che ancor prima che un oggetto sia amato nel senso erotico del termine – nel senso in cui l’eros dell’oggetto amato può essere percepito come bisogno – la posizione della domanda come tale crea l’orizzonte della domanda d’amore» (pag. 437).

La divisione in domanda di soddisfacimento del bisogno e domanda d’amore è una divisione per necessità topologica perché le due cose sono costantemente sovrapposte: «La separazione non vuol dire che non siano una sola e medesima linea, dove s’inscrive ciò che articola il bambino con la madre. C’è sovrapposizione permanente» (ivi). Appena si entra nell’articolazione del significante si crea questa scissione, che non è una scissione perché le due cose sono sovrapposte. Il fatto stesso di poter articolare la domanda del soddisfacimento del bisogno, porta inevitabilmente ad avere una domanda d’amore (si ricerca l’alone significante, l’aurea con cui la madre risponde alla domanda). Una volta che entri nella catena significante c’è già il posto per la domanda d’amore. L’amore è fin da subito un discorso, un discorso non preceduto da un altro discorso, ma il discorso tout court. «Ne vedrete un’applicazione immediata» dice Lacan cercando di istituire un parallelismo tra la domanda di soddisfacimento del bisogno e la domanda d’amore da un lato, e le dimensioni rispettive della suggestione e del transfert dall’altro. Il transfert è la controfigura della suggestione. È in base al “destino” delle domande nella cura che il transfert si può smarcare dalla suggestione. L’analista deve comprendere come si staglia la domanda d’amore nella domanda di soddisfacimento del bisogno, anche se nella domanda d’amore la suggestione non termina, anzi è allo stato puro.

Nell’analisi si portano domande transitive e intransitive: “guariscimi”, “fammi stare meglio” sono domande transitive, domande di qualcosa; se non si risponde emerge la domanda d’amore, viene rilanciata la domanda intransitiva, la domanda a qualcuno. Lo statuto di questo qualcuno è importante. Nella domanda transitiva c’è sempre la sovrapposizione della domanda d’amore e  di quella di soddisfacimento. Se viene frustrata la domanda di soddisfacimento emerge quella intransitiva. Dove si colloca questo qualcuno? Il qualcuno di cui si parla qui è l’Altro, la domanda d’amore è giustamente domanda di niente. Ma è domanda all’Altro, un Altro che non è più l’altro immaginario della domanda transitiva.

A pag. 437 Lacan ci dice: «Freud ci ripete continuamente che, dopotutto, il transfert è una suggestione, che ne facciamo uso a questo titolo, ma aggiunge – noi ne facciamo tutt’altra cosa, poiché questa suggestione noi la interpretiamo. Ora, se possiamo interpretare la suggestione è per il fatto che essa ha uno sfondo. Sta lì il transfert in potenza […] Il transfert è già in potenza analisi della suggestione, è esso stesso la possibilità dell’analisi della suggestione, è articolazione a seconda di ciò che, nella suggestione, si impone puramente e semplicemente al soggetto». È proprio dal lato astinente astensionista, che è poi il transfert, che si può leggere la suggestione. Nel 1958 Lacan parla di transfert e di suggestione, poiché comprende come a partire da Freud questa questione abbia disorientato gli analisti.

Freud con la rinuncia all’ipnosi ha rinunciato alla suggestione, ma ricade nella suggestione con l’analisi delle resistenze, perché in alcuni momenti allude a un’equivalenza tra transfert e resistenza. Se nella cura si produce un arresto di associazioni sarebbe il segno della produzione di un transfert sull’analista. Se la resistenza viene interpretata, le associazioni riprendono. Il transfert si dà come interpretazione delle resistenze quando l’analista diventa una presenza che blocca la parola (in Analisi terminabile e interminabile Freud parlerà dell’analista come di ein fremder Mann, uno straniero). Per Lacan il transfert non è un fatto comunicativo, ma è emergenza di una dimensione inconscia strutturale (nel Seminario XI Le formazioni dell’inconscio il transfert è esso stesso una formazione dell’inconscio).

Certe cose sono inevitabili, la suggestione è nel linguaggio: «In altri termini, la linea d’orizzonte su cui la suggestione si basa è lì, a livello della domanda, quella che il soggetto fa all’analista per il solo fatto di essere lì» (ivi).

Una volta che la suggestione che è il transfert si staglia sulla linea d’orizzonte (catena significante), è lì che si può prevedere su che basi si pone il transfert. L’analista anche se non risponde  risponde, perché costituito come risposta («il che è costitutivo di tutti gli effetti di suggestione», pag. 438).

Sul «trattamento delle domande si decide» osserva Lacan. Le domande in entrata in analisi sono domande transitive, ma hanno come controfigura le domande astratte, intransitive, che creano in parallelo il transfert. Al di là delle domande sempre comprensibili (di essere guarito, di andare meglio, di utilizzare l’analisi come una ricerca, di diventare analista) sono le domande senza oggetto, le domande intransitive che conducono al cuore del transfert: l’analista offrendo di parlare crea questa domanda intransitiva.

Lacan osserva che il transfert è ciò con cui opera la suggestione, e parte con l’evidenziare come lo stesso Freud sostenga che conviene che il transfert si installi, perché è legittimo fare uso del potere che questo ci dà: «Il transfert è qui concepito come la presa di potere dell’analista sul soggetto, come il legame affettivo che fa dipendere il soggetto da lui e di cui è legittimo fare uso affinché passi un’interpretazione» (ivi). La ricerca per capire il funzionamento del transfert va al di là di questa necessaria suggestione. La suggestione parrebbe essere la condizione perché passi l’interpretazione dell’analista; il transfert ha istituito quel collegamento attraverso cui eserciti un potere su qualcuno, eserciti il potere d’interpretargli qualcosa, di convincerlo che quella è l’interpretazione giusta.

Da qui non se ne esce: perché, anche volendo analizzare il transfert per farlo svanire (analisi delle resistenze) perché non si dia più, si verifica un ulteriore elemento di suggestione. “Lasciati suggestionare per non sentire più la mia suggestione”. Vi è dunque una cattiva infinità della suggestione.

Da ciò parte la critica che Lacan farà dell’uso del transfert  da parte dei post-freudiani: non è sufficiente analizzare il transfert per liberarsi dalla suggestione, perché l’analisi del transfert avviene essa stessa, ancora una volta sotto transfert, ritornando così a rinforzare il cerchio infernale della suggestione.

Pertanto la sua posizione viene manifestamente espressa così: «Ora, noi supponiamo precisamente che il transfert sia ben altro che l’uso del potere. Il transfert è già in se stesso un campo aperto, la possibilità di un’articolazione significante altra e diversa da quella che richiude il soggetto nella domanda. Per questo è legittimo, qualunque sia il contenuto, mettere all’orizzonte questa linea. La chiamo qui la linea del transfert. È qualcosa di articolato che è in potenza al di là di ciò che si articola sul piano della domanda, dove trovate la linea della suggestione» (ivi). Dunque nella domanda, che è ancora una domanda d’amore, c’è la linea della suggestione da cui si staglia una linea ulteriore che è il transfert. A pag 439 si chiede:«Qual è l’operazione che ci permette di mantenerle distinte? La nostra operazione è precisamente astinente o astensionista. Consiste nel non ratificare mai la domanda in quanto tale».

Lacan ritorna poi sulla questione dell’identificazione per comprendere come si articolano tra loro transfert e suggestione. Nel transfert non si gioca solo la questione dell’amore ma anche quella dell’identificazione. Quando è in gioco la questione dell’identificazione siamo a rischio che questa linea del transfert collassi su quella della suggestione. Quando si passa dall’amore all’identificazione vi è regressione, perché si retrocede dalla linea del transfert a quella della suggestione: «È sulla linea della suggestione che avviene l’identificazione nella sua forma primaria, quella che conosciamo bene, che è identificazione con le insegne dell’Altro in quanto soggetto della domanda, colui che ha potere  di soddisfarla o di non soddisfarla, e che marca ad ogni istante questa soddisfazione attraverso qualcosa che è, in primo luogo, il suo linguaggio e la sua parola […] Se l’identificazione è regressiva, è precisamente in quanto l’ambiguità tra la linea di transfert e la linea di suggestione resta permanente. In altre parole, non dobbiamo stupirci di vedere, nel seguito e nei giri dell’analisi, che le regressioni si scandiscono attraverso una serie di identificazioni loro correlative, che segnano i tempi e il ritmo» (ivi).

Questa questione è spiegata più chiaramente nella Direzione della Cura a pag. 631: «Fra transfert e suggestione – qui sta la scoperta di Freud – c’è un rapporto, ed è che anche il transfert è una suggestione, ma una suggestione che si esercita soltanto a partire dalla domanda d’amore, domanda che non riguarda alcun bisogno. […] Ma non bisogna confondere l’identificazione al significante onnipotente della domanda, di cui abbiamo già parlato, con l’identificazione all’oggetto della domanda d’amore. Anche questa è una regressione, e Freud vi insiste quando ne fa il secondo modo di identificazione da lui distinto nella seconda topica in Psicologia delle masse e analisi dell’io. Ma è un’altra regressione. In cui abbiamo l’exit che permette di uscire dalla suggestione. L’identificazione all’oggetto come regressione (perché parte dalla domanda d’amore) apre la sequenza del transfert (la apre, non la chiude), cioè la via su cui potranno esser denunciate le identificazioni che, arrestando questa regressione, la scandiscono».

Anche l’identificazione all’oggetto d’amore è una regressione ma meno complicata dell’identificazione al significante onnipotente della domanda; un conto è se mi identifico all’altro dell’amore, un conto è se mi identifico all’altro da cui ho preso in prestito delle cose (questo vale anche per l’analista, se l’analista funziona come un maître). Mentre se c’è identificazione all’altro dell’amore, c’è un exit dice Lacan ma è importante che questo niente dell’amore lo si paghi non solo simbolicamente. Si paga per potersi identificare a questo niente e per poter trovare poi la via d’uscita. L’identificazione attraverso l’amore – sostiene Lacan nella Direzione della Cura ­– ha in sé la via d’uscita;  non è così per l’identificazione al significante.

Tra le tre forme d’identificazione così come proposte da Freud, si capisce che è il secondo tipo  (l’identificazione al tratto unario) il punto delicato, perché in questo caso l’analizzato prende in prestito un tratto dell’analista. Per Lacan questo è il segno di qualcosa che non è stato risolto. La questione è come superare questo secondo modo d’identificazione. L’analista non fa che tenere il posto del sembiante che naturalmente non è una finzione teatrale, ma si tratta di rispettare la struttura propriamente detta della cura analitica che l’analista non ha inventato, ma è già lì, non deve aggiungere altro alla struttura perché tutto è già lì.

Per non scivolare dalla linea del transfert a quella della suggestione non bisogna ratificare la domanda in quanto tale. Rifiutando la risposta alla domanda, rifiutando gli obiettivi da suggerire nella cura, la dimensione della suggestione non sparisce. La suggestione diventa al contrario pura; si esercita a partire dalla domanda d’amore di donare ciò che non si ha.

A ogni modo Lacan ci avverte che questa confusione della linea del transfert con quella della domanda potrebbe essere indotta dalla «presenza concreta» dell’analista che ascolta il paziente come spiega a pag. 440: «Tutto quello che ci è richiesto è di non favorire questa confusione attraverso la nostra presenza lì come Altro. Ora, per il solo fatto che noi siamo lì per ascoltare come Altro, ciò è difficile, tanto più se, nel modo in cui vi entriamo, accentuiamo il carattere cosiddetto permissivo dell’analisi. È una permissività limitata sul piano verbale, ma questo è sufficiente. È sufficiente che le cose siano permissive su un piano verbale perché il paziente sia soddisfatto, non già beninteso sul piano reale, ma sul piano verbale. Ed è sufficiente che sia soddisfatto sul piano della domanda perché si stabilisca irrimediabilmente la confusione tra la linea di transfert e la linea di suggestione. Questo vuol dire che, a causa della nostra presenza e in quanto ascoltiamo il paziente, noi tendiamo a far confondere la linea di transfert con la linea della domanda. Quindi, all’origine, noi siamo nocivi».

Se si vuole uscire dalla confusione nociva tra linea del transfert e linea della domanda d’amore, dal momento che questa confusione si instaurerà soprattutto all’inizio dell’analisi, l’unica cosa da fare è non andare verso la regressione come se quella fosse il solo movimento da fare. Si tratta di girare intorno, non di fare un movimento: «Se la regressione è la nostra via, è una via discendente. Essa non indica lo scopo della nostra azione, ma il suo giro» (ivi). Bisogna piuttosto identificare cosa resiste nel soggetto al transfert, dove è il luogo di resistenza al transfert, dove il soggetto non cede. Persino un ipnotizzato ha una parte che rimane sua: «gli ipnotizzatori […] sanno bene che nessuna suggestione, per quanto, riuscita, si impossessa totalmente del soggetto» (ivi); è sul campo del desiderio che si deve ritornare per ri-separare la linea della suggestione da quella del transfert. Tra linea d’orizzonte della suggestione e la linea d’orizzonte del transfert si dispiega il campo vasto del desiderio.

«Ciò che resiste è il desiderio»- dice infine pag. 441.

Fortunatamente, oltre la tendenza a questa confusione dei piani, data la natura stessa della relazione analitica, nessuna suggestione s’impossesserà mai totalmente del soggetto poiché tra le due linee vi è qualcosa che resiste sempre: il desiderio.

Lacan analizza poi alcune situazioni in cui c’è questa resistenza portata dal desiderio, che è ciò che mantiene operante questa distinzione tra transfert e suggestione. Lo fa  prendendo in considerazione la questione della nevrosi. Prima di parlare del transfert come una resistenza per mantenere aperto il campo del desiderio, parla della nevrosi e del «desiderio di avere il proprio desiderio» del nevrotico. Il desiderio di avere il proprio desiderio riguarda difatti la nevrosi perché il desiderio non lo si può avere per definizione. Se andiamo di nuovo agli Scritti (al V capitolo della Direzione della Cura, Bisogna prendere il desiderio alla lettera) vediamo come emerge il tema del desiderio nel sogno. Mai il desiderio viene raccontato in prima persona da qualcuno; il soggetto del desiderio non è la bella macellaia che va da Freud e racconta il sogno, potrebbe essere forse il soggetto che ha fatto la metafora salmone, ma il soggetto che ha prodotto la metafora salmone dove si mette –si chiede Lacan in un punto della Direzione della Cura. Forse «in un flusso significante il cui mistero consiste nel fatto che il soggetto non sa nemmeno dove mettersi per fingere di essere l’organizzatore». Il desiderio, dice un po’ più avanti, assoggetta ciò che l’analisi soggettiva; è soltanto l’analisi a soggettivare, ma il desiderio assoggetta perché è eccentrico, è ex-sistenza nel senso di Ent-stellung. Infatti il verbo del desiderio è sempre all’indicativo, e nel sogno non troviamo mai le forme ottative, le forme desiderative. Nel sogno il desiderio arriva sempre all’indicativo come se fosse già compiuto, quindi come qualcosa di estraneo al soggetto, come ex-sistenza. Se il desiderio è qualcosa che divide, allora dobbiamo capire che cosa è il desiderio di avere il proprio desiderio del nevrotico.

Lacan parla in questa lezione di come resiste il desiderio (nella nevrosi ossessiva, nell’isteria, nel transfert). La nevrosi è la difficoltà a stare di fronte all’eccentricità del desiderio, al suo essere ex-sistenza (Ent-stellung) come dice nella Direzione della Cura. Il desiderio è il desiderio di avere il proprio desiderio, il «duro desiderio di durare» di Paul Éluard che Lacan parafrasa nel Seminario XXVII Il rovescio della psicoanalisi nel «desiderio desidera durare». È la questione del desiderio che soggettiva perché il soggetto è un soggetto diviso. Un soggetto è diviso in quanto ha desiderio, altrimenti sarebbe pazzo e non più un soggetto diviso.

Il nevrotico ossessivo ha bisogno di una costruzione, di un rituale, di un’organizzazione psichica per mantenere, per non perdere il desiderio, perché perdendo il desiderio può scivolare direttamente nella pazzia. La nevrosi è una costruzione per mantenere il desiderio questo è quello che dice Freud con il suo: «la malattia paga». La malattia paga per evitare il salto dall’altra parte nella follia.

Per questo Lacan sostiene che il proprio desiderio è paradossale. Il desiderio è eccentrico, il desiderio è ex-sistenza. Qui invece lo si vuole fare durare, si vuole andare controcorrente. Più avanti parlando della paradossalità dell’azione (momento filosofico di questa lezione in cui cita Kojève) fa riferimento a Cesare che attraversa il Rubicone, che fa quindi un’azione controcorrente. Ogni azione è di per sé un’azione paradossale, non c’è un’armonia dell’azione; ogni agire ha a che fare con un paradosso. Istituisce dunque una similitudine tra desiderio e azione. C’è qualcosa di paradossale nel desiderio, c’è qualcosa di paradossale nell’azione. Cesare attraversa il Rubicone, contro la direzione comune. Non c’è azione che non sia attraversamento del luogo comune, attraversamento paradossale del luogo comune. Cesare non doveva passare il Rubicone.

Chiamando in causa le resistenze fa ancora intendere che cosa è paradossale.

Il nevrotico che vuole che il desiderio duri compie un’azione paradossale, e aggiunge che la questione non è se il soggetto ha molto o poco desiderio, criticando così la nozione di «sessualità esuberante e precoce» che viene spesso invocata all’origine di una nevrosi ossessiva. Soggetti affetti da uno stesso tipo di nevrosi possono apparire completamente diversi per la quantità di desiderio messo in gioco, in base a quanto desiderio si sta preservando.

Non è una questione di grande forza o di debolezza del desiderio, né si tratta di una fissazione immaginata come se a un certo punto il soggetto ha messo il piede in un barattolo di colla. La fissazione è un fatto attivo e non va rappresentata come un “inciampo”.  A  tal riguardo scrive: «La fissazione assomiglia semmai a dei paletti destinati a mantenere qualcosa che altrimenti filerebbe via» (ivi).

 La costruzione della nevrosi è un fortino, è mettere dei paletti per impedire che il desiderio scappi via.

La questione della nevrosi ossessiva è quella di mantenere il desiderio, di mettere il desiderio in una posizione forte ma al contempo di fare una «piazzaforte» del desiderio, cioè di fare in modo che il desiderio sia protetto. Lacan insiste molto sul fatto che la nevrosi ossessiva si caratterizza per la struttura, e che la struttura della nevrosi ossessiva è una piazzaforte del desiderio. Il termine piazzaforte utilizzato da Lacan non fa riferimento a una fortificazione stabile come una posizione già forte di partenza (ad esempio una rocca o un castello), ma a una fortificazione che si costruisce dopo aver posizionato un campo. Qualcosa non costruito ab origine che non si trova già lì, ma sorto solo a un momento preciso.

Lacan osserva che il nevrotico ossessivo si muove nella direzione di un filosofo in questo tentativo di costruire un sistema per comprendere che cosa accade, peccato però – aggiunge – che i filosofi non parlino del desiderio.

Poi parla della paradossalità dell’azione e arriviamo al punto che ci interessa: la resistenza di transfert e il transfert come resistenza.

Ma il transfert che cosa è? Una possibile idea di cosa sia il transfert ci viene dalla resistenza durante l’interpretazione dell’analista. “Adesso non vuole capire, ma prima o poi capirà” (ad esempio Freud con Dora). Dunque nuovamente la tentazione di far vibrare la corda della suggestione: “prima o poi lo convincerò”. Questa resistenza per Lacan ha un valore. Il valore di questa resistenza è la dimostrazione che l’analizzato non vuole mollare sul desiderio. «Esprime la necessità di articolare il desiderio in modo diverso» osserva Lacan. Questa resistenza ha il valore di quello che Freud chiama resistenza di transfert, che è la stessa cosa del transfert: «Se la chiama Übertragungswiederstand, resistenza di transfert, è perché si tratta della stessa cosa del transfert. Si tratta del transfert nel senso in cui ve lo dico ora. La resistenza tende a mantenere l’altra linea, quella del transfert, dove l’articolazione ha un’esigenza diversa da quella che le diamo quando rispondiamo immediatamente alla domanda» (pag. 444). Lacan osserva che la resistenza del paziente tende a mantenere l’altra linea, che non è la linea della suggestione ma quella del transfert. L’analista opera un taglio e fa in modo che la domanda da transitiva diventi intransitiva, ma l’interpretazione riconduce nuovamente sulla domanda transitiva. Il paziente rifiuta l’interpretazione mantenendo in piedi il desiderio. La resistenza all’interpretazione è la resistenza del desiderio. Per questo Lacan potrà dire nel S II: «La sola resistenza è quella dell’analista».  Si tratta della questione del controtransfert che Lacan supererà in seguito con il costrutto del desiderio dell’analista. Ma la “resistenza dell’analista” sarà un problema che riguarderà anche Bion, Ferenczi e Reich.

Lacan ritorna infine sul terzo tipo d’identificazione quello al desiderio dell’altro, che Freud rubrica nel tipo dell’identificazione isterica, presentando il desiderio isterico come una «mira». La questione per l’isterica non è tanto quella di riconoscere il proprio desiderio ma di riconoscere il luogo del desiderio, la mira del desiderio, l’obiettivo del desiderio. Difatti a pag. 445 dice: «Per l’isterica il problema è di fissare da qualche parte il suo desiderio così come uno strumento ottico permette di fissare un punto. Questo desiderio presenta per lei alcune difficoltà particolari […] Il desiderio è votato per lei a non so quale impasse giacché può realizzare la fissazione del punto del suo desiderio solo a condizione di identificarsi con una qualsiasi cosa, con un piccolo tratto. Quando vi dico insegna, Freud parla di tratto, di un solo tratto, einziger Zug, poco importa quale, di qualcun altro nel quale lei può avvertire che vi sia lo stesso problema del desiderio. Ossia la sua impasse spalanca all’isterica le porte dell’altro, almeno dalla parte di tutti gli altri, cioè di tutti gli isterici possibili, perfino di tutti i momenti isterici di tutti gli altri, nella misura in cui per un istante lei sente in loro lo stesso problema, che è quello della questione del desiderio».

Questo fissare il punto del desiderio, questo strumento ottico utilizzato dall’isterica è un modo per percepire la difficile questione del proprio desiderio nell’Altro, di fissare l’impasse del proprio desiderio nell’impasse dell’Altro. L’isterica desidera l’isterica o meglio il tratto isterico. Se riconosce il tratto isterico, lo fissa e fissa lì il proprio desiderio. Nell’isteria è una questione di vedere e di sapere dice Freud.

A proposito del desiderio dell’ossessivo Lacan osserva a pag. 445: «Per l’ossessivo, sebbene per l’ossessivo la questione si articoli un po’diversamente, è esattamente, e a ragione, la stessa cosa dal punto di vista della relazione, della topologia. L’identificazione si colloca qui, in (S/◊ a), dove nell’ultima volta ho indicato il fantasma».

Nell’isterica c’è il tentativo di mirare l’impasse dell’altro, nel nevrotico ossessivo c’è invece il fantasma, un punto in cui il soggetto deve stabilire un certo rapporto immaginario con l’Altro. Non di per sé ma perché questo rapporto gli procura una soddisfazione.

Tutte e due le nevrosi si difendono dalla castrazione dell’Altro. L’isterica eterna la dipendenza dal desiderio dell’Altro, e l’ossessivo nel suo fantasma si mantiene di fronte al suo desiderio in una modalità autoerotica più scabrosa e più pericolosa. La nevrosi ossessiva è un dialetto dell’isteria, osserva Freud; è per questo motivo l’ossessivo deve isterizzarsi, cercare fuori di sé, porre una domanda fuori del circuito chiuso del suo fantasma.

Proprio facendo riferimento alla nevrosi ossessiva Lacan chiude questa lezione con un caso clinico di Bouvet pubblicato sulla «Revue française de psychanalyse», nello stesso numero in cui è comparso il suo stesso articolo L’aggressività in psicoanalisi. Quest’articolo di Bouvet s’intitola Importanza dell’aspetto omosessuale del transfert nel trattamento di quattro casi di nevrosi ossessiva maschile. L’analisi di un sogno presente nel caso clinico di Bouvet, gli consentirà di esemplificare ulteriormente la differenza fra transfert e suggestione. Lacan vede proprio nell’analisi del sogno da parte di Bouvet, un andare a rimorchio della suggestione mentre nella sua lettura il sogno del paziente di Bouvet è manifestamente un sogno di transfert. Lacan torna difatti su quello che lui definisce un «errore di livello» di Bouvet a pag 446: «Vuol dire far passare sul piano dell’identificazione suggestiva, quello della domanda, ciò che è messo in causa. Vuol dire favorire una certa identificazione immaginaria del soggetto approfittando, se così posso dire, della presa offerta dalla posizione suggestiva aperta all’analista sulla base del transfert. Vuol dire dare una soluzione falsa, deviata, fuori luogo di ciò che è in causa, non dico nei suoi fantasmi, ma nel materiale che il soggetto porta effettivamente all’analista».

La soluzione dell’analisi con l’ossessivo, consisterebbe dice Lacan nel fargli scoprire la castrazione per quello che è. La castrazione è la legge dell’Altro. Qui Lacan sta intendendo la castrazione in termini simbolici. Dire che la castrazione è simbolica, perché questa è la vera legge dell’Altro, vuol dire che anche l’Altro è castrato. In questo caso clinico la questione della castrazione è molto importante, perché il paziente è falsamente implicato in questa questione e proprio perché è falsamente implicato, si sente continuamente minacciato dalla castrazione, fino a provare un’angoscia devastante appena approccia il desiderio. Lacan recupera un elemento anamnestico della sua storia clinica: la prima volta che si avvicina a una bambina, fugge con angoscia e corre verso la madre dicendo – Ti dirò tutto. Quindi il suo atteggiamento passa per uno sconfinamento, per un riferimento sconfinato all’Altro come luogo dell’articolazione verbale: Ti dirò tutto .

Bisogna al contrario portare il soggetto ossessivo a interrogarsi sull’Altro, prendendo atto di questa barra dell’Altro, per non implicarsi più. Lacan osserva a pag. 447 che: «per ragioni che riguardano la sua falsa implicazione in questo problema, il soggetto si sente lui stesso minacciato dalla castrazione, a un livello talmente acuto che non può accostarsi al suo desiderio senza risentirne gli effetti». Lacan passa poi ad esaminare il sogno del paziente di Bouvet. Un sogno che ha come protagonista l’analista, il quale rubrica il transfert che lo riguarda come transfert omosessuale.

Ecco il sogno: «L’accompagno a casa sua. Nella sua camera c’è un grande letto. Mi corico. Sono molto impacciato. In un angolo della camera c’è un bidet. Sono felice, sebbene a disagio» (ivi).

Lacan osserva: «Il soggetto si mette, è proprio il caso di dirlo, al posto dell’Altro. – Io sono a casa sua. Mi corico nel suo letto. Omosessuale passivo, perché? Fino a nuovo ordine, in questa occasione niente si manifesta che faccia dell’Altro un oggetto di desiderio. Al contrario, ci vedo chiaramente indicato in posizione terza, e in un angolo, qualcosa che è pienamente articolato e a cui nessuno sembra fare attenzione, mentre invece non è lì a caso. È il bidet» (ivi).

In questo sogno mostrato da Bouvet come prova dell’omosessualità passiva del paziente, Lacan sostiene al contrario che non è così perché il paziente sta semplicemente occupando il posto dell’Altro (dell’analista, mi corico nel suo letto) e  la presenza del bidet dimostra che si sta facendo una domanda sulla castrazione. Occupo il posto dell’Altro ma il fallo c’è o non c’è, dal momento che c’è il bidet ma non c’è chi lo usa. Il bidet presentifica la domanda sulla castrazione (il fallo non si presentifica come fallo ma come questione). Ce l’ha o non ce l’ha il fallo, lo è o non lo è il fallo. Lacan osserva a tal proposito: «Questo ossessivo d’altra parte è in preda a ogni sorta di ossessioni di pulizia, che mostrano bene che all’occasione questo strumento può essere una sorgente di pericolo. Il bidet ha presentificato a lungo per lui il fallo, almeno il suo. Ciò che è problematico per questo soggetto è la questione del fallo» (pag. 448).

Il bidet è il significante di ciò che è colpito dall’azione del significante: «L’intento non è di sapere se il soggetto si sentirà infine confortato dall’assunzione in lui di una forza superiore, dall’assimilazione a uno più forte di lui, ma di sapere come avrà risolto effettivamente la questione che è implicita all’orizzonte, sulla linea stessa di ciò che indica la struttura della nevrosi, cioè l’accettazione o no del complesso di castrazione, nella misura in cui questa non potrebbe essere realizzata se non nella sua funzione significante» (ivi).

Bouvet interpreta il sogno come un’omosessualità latente (non prende in considerazione la presenza del bidet nel sogno). “Sto a casa sua (dell’analista), l’accompagno a casa sua, nella sua camera c’è un grande letto, mi sento imbarazzato ma felice”. Del bidet non parla.

“Sto a casa sua“ sembra la terza persona di cortesia, sta parlando all’analista, sta raccontando il sogno all’analista e gli sta dicendo l’ho accompagnata a casa sua. Il sogno riguarda la casa e la camera da letto dell’analista. Il bidet per Bouvet significa solo ha intenzioni sessuali su di me.

Lacan ritiene che non centri niente l’omosessualità passiva ma finalmente il paziente si ritrova nella posizione dell’Altro, e si pone la questione dell’Altro (cioè dell’analista) chiedendosi ce l’ha o non ce l’ha, se lo è non lo è il fallo. Se volete è una posizione tipicamente maschile, sono domande squisitamente maschili.

Bouvet inoltre legge l’omosessualità latente a rimorchio della suggestione, dell’amore suggestione: questo sogno è rivolto a lui, all’analista in quanto uomo.

Lacan legge il sogno rivolto all’analista in quanto funzione. La funzione che dovrebbe assumere l’analista è quella di riprodurre il soggetto barrato e di riprodurre l’Altro barrato perché è all’Altro che è posta la domanda ce l’ha o non ce l’ha.

Per Bouvet è un chiaro sogno di transfert per l’analista. Qui vediamo la tentazione dell’analista a tornare alla suggestione. È una suggestione che agisce già prima, tanto è vero che il transfert, è sì un transfert legato all’analista, ma investe la persona che c’è dietro l’analista, e diviene un reale innamoramento per costui.

Lacan al contrario dichiara che si tratta di è un sogno di transfert per l’analista, ma nel senso che il paziente vuole occupare la posizione dell’analista, per porsi delle questioni sulla castrazione.

Dunque non è un reale innamoramento per l’analista ma una voglia di stare al suo posto.

In questi anni Lacan sta ribadendo che la fine della cura è la fine dell’identificazione fallica, lo svuotamento dell’essere perché l’identificazione fallica va verso l’essere, l’appartenenza. Lacan trova, in questo sogno, l’unico significante, il bidet) che è il significante del significante, perché significa l’arrivo del significante a barrare il soggetto: «il significante di ciò che è colpito dall’azione del significante, di ciò che è soggetto a castrazione» (ivi).

La questione dell’identificazione fallica è per Lacan molto importante. La lettura di questo sogno gli consente di capire come gioca il significante fallico nel fantasma della nevrosi ossessiva.