22 Mar Dr. Jorge Cacho – Cosa ci insegna la significazione sulle psicosi
Dr. Jorge Cacho
Cosa ci insegna la significazione sulle psicosi
- Drazien: Adesso abbiamo il nostro caro amico di lunga data Jorge Cacho, che è stato nostro collega prima a Roma, dopo a Parigi. Adesso vive e lavora nel suo paese natale, San Sebastian in Spagna, da dove continua fitti rapporti con la nostra Associazione a Parigi e anche con noi, e anche partecipa all’impresa dizionario, come voi sapete, che abbiamo tra le mani in questi mesi.
Il dott. Cacho ha scelto di parlare di una dimensione particolare del discorso degli psicotici, che è il sentimento di significazione personale.
Si potrebbe pensare, – perche noi abbiamo letto un estratto di Sérieux e Capgras, l’altra sera tra di noi, martedì, quando ci siamo incontrati intorno al “Sinthome”; dopo l’intervento del dott. Albarello sulla poesia di Zanzotto, abbiamo letto questo estratto di Sérieux e Capgras, che riguarda il delirio d’interpretazione; allora, si tratta di questo, dell’interpretazione che il soggetto imprime a ciò che sente intorno a sé – penso che si potrebbe anche dire: “Ma non siamo tutti un po’ interpretativi? Non è la cosa più normale del mondo?”.
Nell’ambito della paranoia comune, sicuramente. Però penso che c’è anche una specificità di questo fenomeno della significazione, recepito come indirizzato personalmente. Ecco, allora passo la parola adesso al dott. Cacho.
- Cacho: sentite prima di tutto sono molto contento di ritrovarmi in Italia, dove sempre vengo con moltissimo piacere perché mi sento, in un certo senso, come a casa mia, non so perché. E’ vero che ho vissuto tanti anni qua e poi l’amicizia, soprattutto con Muriel, che ho conosciuto fin dall’inizio, qui dove ho incominciato, grazie a lei, a studiare Lacan, che io non conoscevo allora; quindi, era un piccolo gruppo molto attivo, molto entusiasta, e questo è rimasto …
- Drazien: chi faceva parte di questo gruppo, ti ricordi?
- Cacho: guarda, avevamo incominciato, almeno quando io sono andato per la prima volta, perché ti avevo chiamato al telefono quando è finito il Congresso dell’École Freudienne, nel 1974, “La Troisième”.
E allora, io vidi un giorno sul giornale, l’indomani della fine di questo colloquio, vidi che c’era un gruppo, a Roma, che lavorava su Lacan, e si indirizzava alla d.ssa Muriel Drazien e io allora prendo il telefono e la chiamo. In quel momento tu abitavi ai Parioli. Sono andato lì, e ho spiegato a Muriel che non conoscevo Lacan per niente, e mi ha detto: “ tanto meglio, e quindi venga da domani”, perché l’indomani c’era una riunione. E sai chi c’erano? Luisa Mele, Elena Croce, ( ?) ed io. E abbiamo parlato, e non so perché, a un certo momento è uscito il tema di Melanie Klein, che io sempre ho amato moltissimo, e la seguo perché mi ha molto aiutato con la clinica dei bambini. Possiamo fare le critiche, che poi Lacan ha ripreso, ma comunque avevo una simpatia umana per quella signora così brutale e meravigliosa allo stesso tempo. Perché se c’è un’interpretazione così diretta e veramente senza pietà, era ben lei. Comunque io parlai, e a un certo momento tu m’invitasti a dire un po’, ed io non sapevo più cosa dire, e parlai un po’ di questa Melanie Klein. E Muriel mi disse:“Allora, la settimana prossima viene Clavruel per fare una conferenza” – perché all’epoca Muriel invitava, come adesso, una volta al mese degli analisti dell’ École …
- Drazien: questo nel ‘74.
- Cacho: è dal 74 che stai lavorando con tanta energia e tanta volontà anche. E quindi, io mi trovo nella situazione seguente: mi mettono accanto a questo Clavreul, che per me era una sorta di Dio della psicanalisi …
- Drazien: era segretario della Scuola di Lacan, all’epoca.
- Cacho: era un personaggio conosciutissimo e allora lui parlava della Melanie Klein, e quindi alla fine del suo discorso, sull’identificazione in Melanie Klein – io avevo letto, ma tanto tempo fa, un articolo di quello che all’epoca era il presidente dell’IPA, Kneber, che aveva scritto un lunghissimo articolo in inglese su l’identificazione in Melanie Klein, sai quelle cose che rimangono in te, anche se da anni non lo leggevo più – dissi qualcosa, qualche questione, non ricordo assolutamente niente. Quello che ricordo benissimo è che questo Clavreul, che era un po’ seduttore, mi si avvicina e mi dice:“Quello che lei m’ha detto – e che io non avevo detto solo a lui – m’interessa enormemente”.
È così curioso che quando poi decisi di prendere, o riprendere l’analisi – in lacaniano diciamo così, non la potevo fare con Muriel perché eravamo molto amici – e quindi andai a Parigi e chiamai il primo, Clavreul, e la sua segretaria mi dissi, guardi il dottore non c’è – c’erano le vacanze, e a Parigi ci sono le vacanze tutti i giorni, non mi ricordo se era Natale … Bon, il fatto è che non c’era. E allora fui io a trovare padre Bernard, perché all’epoca ero gesuita, e comunque gli chiesi un’opinione, perché non volevo partire da Parigi senza incominciare già qualcosa.
- Drazien: Bernard, che era editore della rivista di rue Madamme, Etude, a quell’epoca.
- Cacho: era un personaggio, a quell’epoca; allora io parlai a questo padre Bernard, che io non conoscevo e lui mi disse: “certamente lei ha bisogno”, quindi mi trovai malissimo, e mi domandò: “perché non la fa con me?”. E io mi dissi: “non la faccio con un gesuita manco per sogno!”. Non capisco come si può essere allo stesso tempo, gesuita, cioè prete diciamo, e analista! E lì, si fece veramente la scelta inconscia. Allora non presi la decisione di andare da lui, e siccome avevo conosciuto a Roma Melman – da te, ti ricordi che avevamo mangiato una volta – allora, chiamai il dott. Melman, che mi ricevette subito, e incominciò la cosa così. Quindi è stato così.
E poi al gruppo – riguardo alla tua domanda su chi eravamo – si aggiunsero parecchie persone: Lucio Russo – che poi è diventato un personaggio, che io sappia, all’Istituto – che era una persona che s’interessava molto a Lacan, perché era molto curioso; una persona alla quale interessano le cose; però a mio avviso, Lacan per lui faceva parte della cultura generale, non è che abbia avuto dell’incidenza sulla sua posizione – perché l’ho visto dopo, con Paola, parecchie volte, a Roma; e poi Gabriella Ripa di Meana; e poi altri, i cui nomi ho dimenticato.
- Drazien: allora ti dico chi c’era: c’era Sergio Derisio …
- Cacho: ma io non l’ho mai conosciuto. Ma figurati, se le cose sono strane. Quando sono diventato professore all’Università a Parigi, c’erano questi scambi di studenti Erasmus, e un giorno che finisco il mio corso, che erano quei corsi in anfiteatro con quattrocento studenti, una cosa spaventosa, alla fine si avvicina una ragazza, che mi parla in italiano e mi dice: “Guardi vengo per portarle i saluti del dott. Derisio”. Perché questa ragazza aveva raccontato a Derisio, del quale era stata allieva, che veniva a Parigi e che aveva trovato un professore che parlava l’italiano, che ero io, però io non l’ho mai incontrato.
- Drazien: non l’hai mai incontrato, Ferro neanche? Perché c’era un momento in cui c’erano quattro professori di psichiatria della Cattolica che venivano al gruppo; c’erano Ferro, Derisio, Ciocca e Bria.
- Cacho: ma non ho conosciuto nessuno dei quattro.
- Drazien: sono stati presenti al Convegno nel ‘74.
- Cacho: ma io non li ho visti mai nel gruppo.
- Drazien: comunque a questo gruppo, poi si è aggiunta Paola.
- Cacho: si è aggiunta Paola, quando Paola è venuta a Roma; sei tu che me l’hai presentata, mi ricordo benissimo.
Bene, quindi questa è l’introduzione breve e amichevole del mio rapporto con l’Italia che è molto legato all’analisi, come voi avete sentito.
Sentite, su questa problematica della significazione personale, che d’altronde è curioso, perché significazione personale non è il termine “denaiser”.
Quello che ha introdotto questo termine, nella psichiatria tedesca, è uno psichiatra che era molto conosciuto e molto famoso all’epoca. Il testo è all’incirca della prima metà del 1800. Io ho il testo in tedesco. Ho trovato in una rivista i tre casi, perché è un testo che lui chiama “Discussione sulla paranoia”.
In un congresso di psichiatri tedeschi sulla paranoia, lui ha fatto una sorta di riassunto della problematica della paranoia nella psichiatria tedesca, e ha inventato questo termine: “Eigen Beziehung Wahn”, cioè “delirio di relazione personale”, (delirio di relazione/Beziehung Wahn; personale/eigen), che l’hanno tradotto in diversi modi: … “delirio di riferimento”…
Anche in Francia – e questo riprende un po’ quello che tu dicevi che “tutti siamo un po’…” – c’è stato uno dei grandi psichiatri della tradizione francese, che l’ha chiamato “delirio di auto-filia”, che è un bel modo di chiamarlo, perché indica come, pur essendo questo – il cui nome adesso mi sfugge, ma ve lo dirò, deve essere da qualche parte nei miei testi – aveva capito che tutto quello che riguarda la “filia” e l’amore, che è un modo di dire in greco piuttosto l’amore per l’amicizia, però ha anche a che vedere con l’erotismo, perché l’amicizia ha, voi sapete benissimo, nella tradizione ellenistica e platonica, non ne parliamo, questa dimensione.
Quindi lui aveva capito che nella “filia”, nell’amore, c’era qualcosa di folle. E l’aveva chiamato infatti, “autofilia”, cioè amore di se stesso, che sembra contraddittorio, però che è così, perché pure per Freud, l’amore è assolutamente, esclusivamente narcisistico. Non è come Lacan, che fa tutta una declinazione dell’amore molto diversa e molto complessa. Parla anche del “nuovo amore”, vi ricordate in “Encore”, come introduce questo termine “un nouvel amour”. Che cosa vuol dire un nuovo amore?
Lacan pur mantenendo la dimensione, diciamo, narcisistica dell’amore, che è così di moda – è la promozione assoluta della nostra società; è difficile far considerare che l’amore, la sua radice è “auto-filia”, è proprio amore di sè stesso, nel senso del rapporto speculare, cioè di quello che l’altro rappresenta d’ideale di me stesso; quello è l’amore, non è un’altra cosa. Però Lacan nel Seminario Encore parla di un’altra modalità dell’amore, che chiama “le nouvel amour”, che resta molto enigmatico, ma che lo fa uscire da questa chiusura nella quale lo aveva messo Freud; e sviluppa nella dimensione mistica, per esempio, e quindi un rapporto fra l’amore e il godimento. C’è lì un punto molto enigmatico che meriterebbe, a mio avviso, un lavoro, se qualcuno di voi s’interessa, per vedere cosa significa questo amore, che non è più ridotto all’amore narcisistico che è l’amore ordinario, e che ha un rapporto con il godimento. Perché sempre abbiamo pensato il godimento come opposto all’amore. E invece qui c’è qualcosa di un legame che è da studiare. Che io sappia domani, ve lo dico fin d’adesso, siccome sto sentendo parlare da due, tre mesi de “lalangue”, in una sola parola, la lalingua, e non capisco assolutamente niente di quello che Lacan vuol dire, m’impegno a fare un lavoro sulla “lalangue”, è un macello! Quindi non so, se domani avrete il coraggio di essere ancora lì, ma lavoreremo, come ho detto a Muriel, un po’ nel senso di un seminario.
É interessantissimo quel rapporto che Lacan stabilisce intorno a questa parola, a questo neologismo di “lalangue”.
Vedremo domani. Perché ci sono molti rapporti con il godimento e anche con la riduzione delle forme del godimento. Perché per Lacan c’erano decine di godimenti, e lui in questo testo “La troisième”, le riduce a tre. Lo vedremo un po’ domani, ma voglio già indicarvi come questa problematica del godimento è anche legata, in un certo senso, alla problematica dell’amore.
È un problema non soltanto teorico, ma anche clinico. Perché il transfert è l’amore. Allora come far passare con certi pazienti questa dimensione del godimento, specialmente nei casi i più tipici, come la droga o altre forme eccessive, mortifere del godimento? Come facciamo perché si possa stabilire il transfert, che ha questo doppio carattere: da una parte è un ostacolo all’analisi, l’amore, ma dall’altra è un motore dell’analisi, senza il quale non c’è analisi? Freud lo dice chiaramente: “l’analisi è il transfert”. Un’altra cosa è come si risolve questo transfert, problema come sappiamo molto difficile e complesso, comunque.
Ritorniamo al nostro amico Naiser, che non ha mai parlato di significazione personale. Chi ha parlato di significazione personale? E questo devo dire – e penso che sia una mia scoperta perché ho sempre avuto un grande amore per la psichiatria classica – mi piace questa finezza nell’osservazione, questo carattere anche creativo e poetico, ci sono delle cose meravigliose, che ci insegna molto, perché noi riceviamo dei pazienti assolutamente diversi, questa capacità di essere sensibili alla specificità del paziente.
Allora, questo termine significazione personale, io l’ho cercato e mi sono domandato: “Ma da dove viene”? Perché Lacan ne parla, non soltanto nel “Seminario sulle Psicosi”, ma già nella tesi, lo troverete lì, e cita Naiser e cita il termine di Naiser “Eigen Beziehung Wahn”, cioè, “delirio di auto riferimento”. E lui lo traduce – però pensavo che fosse una traduzione propria di Lacan, che era una invenzione di Lacan; perché dire significazione personale ha a che vedere con il significante, significato e la significazione, e invece lui l’ha preso da Sérieux e Capgras, nel grandissimo testo, che tu hai citato, cioè nelle “Follie ragionate”, Les folies raisonnantes. Dipende come sentiamo questa parola, “raisonnante”: ha a che vedere con la ragione, ma anche con la “raisonance”, con la sonorità; ma è un tipo di sonorità particolare, che cercheremo, oggi, almeno di evocare perché la voce è afona, non ha sonorità. I pazienti sentono delle voci, ma non esistono. L’automatismo mentale è una voce che loro dicono, ma che non ha una sonorità.
Quindi, tutta la problematica psichiatrica delle allucinazioni, – sul quale ha tanto lavorato Lacan nella sua tesi, e anche soprattutto nel “Seminario III” – permette di isolare un oggetto che noi chiamiamo “voce” grazie a Lacan, che non è un oggetto freudiano, e non lo è, prima di tutto, perché non è un oggetto dello sviluppo sessuale. Noi conosciamo l’oggetto anale, l’oggetto seno, tutti questi oggetti che sono legati prima di tutto al corpo, sono corporei, sono materiali, e poi legati, secondo Freud, allo sviluppo, quindi alla storicità del soggetto. Però Lacan introduce due nuovi oggetti, la cui forza è enorme, come noi sappiamo, specialmente nella nostra cultura, che è lo sguardo – figuratevi l’importanza dello sguardo oggi – e poi la voce, ma la voce non sonora, non è materiale, è un oggetto immateriale e Lacan insiste molto su questo. Io mi sono chiesto sempre, perché? Infatti, Lacan si è ispirato tanto dalla clinica delle allucinazioni, che è stata tanto lavorata da questo grandissimo psichiatra francese, il cui nome adesso mi sfugge, comunque lo troveremo nella tesi parecchie volte. Comunque, tutti questi autori scoprivano che i pazienti che dicevano di sentire delle voci, quando gli si chiedeva …
- Albarello: anche Rogelet, “le allucinazioni parlano”, c’è questo caso dello psichiatra che dice:“Le allucinazioni parlano”, e il paziente gli risponde: “Le interroghi”.
- Cacho: appunto. Quindi ci troviamo davanti a un oggetto che sembra contraddittorio, perché si chiama voce ed è afona. Il che ci dà anche una pista sulla questione dell’afonia.
- Albarello: cioè, della afonia o della afasia?
- Cacho: Afonia, afonia, che è un fenomeno che non è psicotico necessariamente, ma che è un fenomeno abbastanza frequente per esempio nell’ isteria. Il caso Dora è tipico. Quando il signor “K” partiva in viaggio, lei diventava afona, cioè come per dire:“Io non ho parole che per te”. Sono delle parole silenziose. Freud fa un’osservazione meravigliosa su questo sintomo di Dora quando aveva queste crisi di afonia, e dice: “Non parlava, si metteva a scrivere”. È curioso questo passaggio della voce afona alla scrittura, cioè alla lettera, che è reale. Quindi, c’è anche una trasformazione di consistenze.
Però veniamo al caso, perché questo Naiser, come tutti i grandi clinici dell’epoca, fanno una introduzione molto breve e poi raccontano tre osservazioni brevi, di cui ho scelto una, perché mi sembra la più interessante; è breve e leggerò due o tre passaggi.
Si tratta dunque, nel 1891, di un ragazzo professore di matematica, il che è già un programma, perché i matematici, da Cantor e altri, hanno una tendenza un po’ particolare, diciamo così. Era matematico, aveva trentasette anni e fece una crisi acuta, molto grave, con una serie di fenomeni a mosaico, molto diversi e apparentemente contraddittori. Allora, questo ragazzo qui entra in questa crisi capitata all’improvviso – non c’erano stati annunci, secondo lui; magari nelle osservazioni precedenti nessuno si era reso conto – però si scatena una crisi gravissima, con dei fenomeni completamente contraddittori, e quindi tutti i medici dell’ospedale non sapevano più cosa fare con questo uomo. E quindi in questi primi giorni del dicembre del 1889, cioè un anno dopo l’inizio della crisi, brutalmente, brutalement – dice il testo in francese, e gli unici sintomi annunziatori erano delle lamentele frequenti di sentirsi affaticato, e insisto su questo punto perché mi sembra importante, e poi non soltanto era affaticato, ma aveva anche la sensazione di passare da una sensazione di calore corporeo al freddo, cioè un mucchio di sintomi ipocondriaci, che la clinica classica cominciando da Berger, che è stato uno dei grandi, lo ha considerato sempre come un “prodrome” della paranoia.
Lacan non ha mai parlato così, però Lacan quando parla dell’ipocondria, se vi ricordate bene, parla di questo fenomeno linguistico che lui chiama “holophrase”. Lacan stesso sottolinea nell’ipocondria un fenomeno legato a un modo di rapporto al significante, che è impossibile dialettalizzare, perché questo è l’holophrase. Sono incollati, uno all’altro, S1 e S2, senza possibilità; quindi la conseguenza è che il soggetto non si metta in moto, cioè non è rappresentato. Quindi, c’è già in Lacan, senza che lui prenda la via della psichiatria classica; questa connessione con l’ipocondria come annunciatrice, come prodromica della psicosi, ne fa capire qualcosa.
Non so, se avete avuto pazienti ipocondriaci, ho avuto due tre casi e devo dire che non sono riuscito a sapere assolutamente nulla, era impossibile. Ripetevano sempre la stessa cosa, non c’era modo di far funzionare il significante, assolutamente impossibile. La localizzazione era sempre quella lì. Se si chiedeva:”Ma quando è apparso?” – Niente impossibile. Quindi c’è qualcosa di strano in questa modalità. Non è che io abbia molto lavorato con questi casi, però mi ha molto colpito, perché Lacan parla di holophrase.
Quindi questa osservazione continua. E adesso, Naiser racconta una storia curiosa: durante lo scatenamento della psicosi, il paziente vede una ruota di fuoco che gira senza sosta. E’ vero che possiamo pensare che è una allucinazione visiva, perché no, ma quello che è interessante per noi, è che vediamo subito emergere questo ritorno del reale allo stesso posto: è una ruota che gira sempre allo stesso modo.
Quindi abbiamo già un elemento clinico di grande semplicità, se facciamo riferimento a “RSI”, al modo come Lacan elabora, alla fine, tutta la sua clinica. Allora appare subito questa prevalenza di un fenomeno che ha a che vedere con il reale, con una delle definizioni del Reale, che Lacan ne dà, perché Lacan ne dà parecchie. Ma questa è una, non è quella del Reale come impossibile, ma è il Reale come quello che torna sempre allo stesso luogo.
Il Secondo fenomeno che mi ha colpito molto – se volete, vi lascio il testo per fare delle fotocopie e ognuno lavora per conto suo e se ne può discutere. L’autore dice che le rappresentazioni si scambiavano indifferentemente, e dice: “credeva alle volte di essere morto” – abbiamo subito la problematica della morte del soggetto – e poi “lui stesso era Dio”. Quindi, passa dalla situazione di un oggetto rigettato, inesistente, devitalizzato, a essere questa trasformazione soggettiva, non nel senso lacaniano, ma soggettiva nel senso che usiamo nella lingua corrente.
Questa trasformazione ci richiede di riflettere un po’ su che cosa si sostiene. Perché lo abbiamo visto benissimo e Lacan lo sottolinea nel suo commento su Schreber, come questo passa da considerarsi come un morto, un lebbroso che cammina con gli altri lebbrosi, a essere non soltanto Dio, ma la Donna, non una donna di Dio, ma “La Donna di Dio”. Quindi, questo rovesciamento della posizione come noi possiamo intenderlo? Perché se noi vogliamo trovare una formula Lacaniana possiamo anche scrivere un “S” soggetto, ma un “S” che è quello della morte del soggetto in Lacan. Quando Lacan scrive la morte del soggetto, di cui ha parlato una sola volta, nella “Questione preliminare” – è l’unica volta dove lui ha parlato della morte del soggetto.
All’epoca, se voi leggete con attenzione questo testo, vedrete che, quando parla di soggetto, e anche con lo schema, scrive il soggetto così (scrive alla lavagna), non è il soggetto barrato. La morte del soggetto è la morte di questo soggetto, è il soggetto che non è stato colpito dal significante.
Qui ci troviamo davanti a un fenomeno in cui il paziente, Frederich, si chiama così, passa da una posizione soggettiva in cui lui, l’oggetto proprio da escludere, l’oggetto da rifiutare, l’oggetto perseguitato passa a essere questo soggetto supremo.
La gente si chiede se c’è o non c’è il fantasma nella psicosi. E’ evidente che non c’è, perché il soggetto passa da una posizione all’altra come se fosse la stessa cosa. E’ lo stesso da un punto di vista strutturale, ma non è lo stesso per il malato – perché? Perché sappiamo, non soltanto da Lacan, da Freud per primo, ma anche dagli psichiatri, che quando arriva a identificarsi con questo personaggio assoluto, con questo io assoluto, con questo altro assoluto, è un tentativo di guarigione. E si vede benissimo, perché esce dalla posizione di rifiuto, per prendere una posizione che ha a che fare, diciamo fra virgolette, con una soggettività.
Mi ricordo benissimo, tantissimi anni fa, molto prima della analisi, ho sempre avuto una passione per i matti, mi trovo molto a mio aggio, li trovo molto più gradevoli di quelli che non lo sono. Li trovo veri, simpatici, intelligenti, non lo so, una sorta di fascinazione. Comunque all’epoca ero studente di Teologia, e avevo trovato la possibilità di assistere alla presentazione dei malati di un professore eminentissimo della facoltà di psichiatria di Granada, che era molto cattolico, e poiché ero gesuita, mi accettò, non essendo né medico, né psicologo, né niente. E quindi assistevo a queste presentazioni. E mi ricordo, non dimenticherò mai, una donna, una cronica, con un delirio molto sviluppato, completamente defluente, un caso anche molto violento. Comunque esso sia, lei si credeva ogni tanto la regina di Inghilterra o di Svezia, non lo so, comunque di un paese monarchico, e quindi esigeva da tutti coloro che lei frequentava in ospedale, incominciando principalmente dal professore, un trattamento particolare. E questo professore, siccome era cattolico e molto credente, accettava questa posizione di riconoscerla, e l’autorizzava, perché era tenuta isolata e aveva anche tendenze suicide, a tenere la sua camera, arredata, in un modo tragico-comico, di oggetti, come se fosse una regina; esigeva anche delle riverenze ed era felicissima mentre si manteneva in questa posizione di prestigio, di rispetto degli altri, che non era soltanto un gioco, era la forma etica, la più giusta per me, perché così, questa donna poteva vivere meglio.
- Drazien: non coesistono questi due, allo stesso tempo? Tu sembri dire che uno esce dalla posizione A e si accede a questa posizione …
- Cacho: e poi ritorna.
- Drazien: queste due posizioni, però, possono coesistere.
- Cacho: quello che ho visto, Muriel, non è che coesistano, si trasformano; possono passare e raggiungere; una cosa, sulla quale insisterò dopo, l’importanza del transfert per il cambiamento di posizione. È essenziale. Ne ho avuto e continuo ad avere degli psicotici, non analisi, però li ascolto come analista, non intervengo come analista. Sono molto rispettoso. Questi pazienti riescono, hanno una forma di creatività, che riescono, per esempio, adesso non più perché negli ospedali li mantengono il tempo minimo, perché dicono che non ci sono i soldi; a mio avviso non è per niente una ragione, è perché non sanno cosa fare. Sono dei fannulloni che non studiano a fondo le cose e quindi, questo tipo di osservazioni non esistono più. Però, mi ricordo che, nell’Ospedale di Granada, c’era un paranoico molto pericoloso, che aveva ammazzato la madre e il fratello; era tenuto in una zona molto particolare e sorvegliato da guardie giurate. Quest’uomo aveva trovato un modo per sopravvivere come una persona, all’interno di una situazione molto sgradevole, perché c’erano i poliziotti che lo sorvegliavano; lui non era l’unico, c’erano altri. E dunque si era creato il ruolo di giardiniere di una parte dell’ospedale. Lui non era giardiniere di professione, però si era creato questo mestiere e così era diventato indispensabile e tutti lo rispettavano; anzi, quando c’era la festa o l’onomastico di non so chi, lui faceva il suo regalo. Era curioso, come ognuno di questi pazienti trovava nella struttura ospedaliera, il loro modo di farsi rispettare e farsi riconoscere altro che come dei matti.
Devo dire che siamo in un mondo tutt’altro. Quest’uomo passava da una posizione ad un’altra, pero in lui prevaleva, durante molto tempo, una posizione di auto-rimprovero. Aveva una tendenza piuttosto, forse lì siamo davanti, in questa trasformazione, diciamo, a un delirio di “grandeur” di grandezza, quindi dell’aspetto paranoico, che è il meglio che gli poteva succedere.
E’ per questo che Freud ha ragione. Nello stesso caso Schreber. Schreber era un oggetto “a” – dove? Nella clinica di Flechsig, perché Flechsig sapeva tutto. E lui lo dice, perché Schreber era matto, ma era intelligentissimo, diceva:” Vado a pesarmi, voglio manipolare io la bilancia” e lui diceva:”No, lei non sa come funziona, lo faccio io”, e così via. Ha avuto questo periodo lunghissimo, persecutorio, che si è fermato di colpo, quando è passato alla clinica del Prof. Weber, – voi lo leggerete nel testo di Schreber; alla fine c’è una sua dettagliata relazione clinica, perché come sapete c’era anche una questione giuridica molto importante, preparando l’uscita, perché era molto migliorato – e Weber dice: “ E’ una persona di grande intelligenza e gradevolissima, e quindi io l’invito ogni giorno al mio tavolo in ospedale”. E lì è andata benissimo per Schreber. Cioè, Weber, che non era analista, era un medico molto importante, un grande psichiatra, ha capito, che aveva a che fare con un matto, senz’altro; ma quello non gli interessava, quello che gli interessava era la specificità di questo matto. L’ha trattato, non secondo le regole della malattia mentale di questo Schreber, ma del personaggio, della sua capacità intellettuale, la sua capacità creativa e poi questo rapporto che ha Schreber, sul quale Lacan insiste, il senso dell’amicizia. Ricordate con sua moglie, che lo andava a trovare ogni giorno, e quando è dovuta partire perché il padre era morto, e per quattro o cinque giorni non è andata a trovarlo, lui parla di questo dolore per non trovare l’amicizia di sua moglie. Non è l’amore nella sessualità, è l’amicizia, questo senso dell’amicizia. E io penso che Weber ha capito benissimo questo, che lì, si trattava di stabilire un rapporto, sapendo che si trattava di un paranoico, perché lui lo dice nella sua relazione, racconta perfettamente tutte le fasi, dettagliatamente, accuratamente; però non è quello che gli interessava, l’ha trattato come una persona umana. E qui succede lo stesso, vedrete.
Ci sono altri punti, però non voglio troppo allungarmi, se no non finiamo mai.
Una volta incominciò a gridare “Sono io matto?”. Quindi, lui stesso si poneva la questione; quindi non era, come vedete, nella fase della credenza, della certezza della credenza. Quindi, in un certo senso, non so se possiamo parlare così, è più complesso, ma quello che mi viene in mente è che è entrato in un momento, diciamo di dialettica, una certa dialettica, quindi una certa forma di divisione. Non la divisione, tale come noi la intendiamo, ma una certa forma, perché altrimenti è impossibile che lui si ponesse questa domanda, se era oppure no matto. Certo che era matto, ma lui non era sicuro, c’era qualcosa in lui che lo faceva dubitare, non era nella certezza, era in un certo senso nel dubbio. Il che è il meglio che possiamo fare con questi pazienti, se siamo in grado di poterli mantenere nel dubbio, almeno che abbiano già costruito un loro sistema e si trovino a loro agio.
Poi c’è un’altra questione interessante. Dal momento in cui lui fu portato da suo fratello, quindi siamo nel rapporto della fraternità, nel rapporto cristiano della fraternità, il paziente rifiutò il nutrimento; quindi nel rapporto immediato con un suo simile, con suo fratello. Questo ci fa pensare a quello che Lacan racconta nello stadio dello specchio. Incominciò quindi a rifiutare il cibo perché tutto era avvelenato. E’ curioso, perché è bastato, che lo trasportassero, perché stava meglio, in famiglia, a far scatenare la persecuzione di nuovo. Bene, noi dobbiamo trarne una serie di conseguenze, o almeno chiederci. È vero, a mio avviso, però nel dibattito possiamo discuterne, che non si tratta tanto della questione dello specchio, della relazione speculare, come per esempio il caso che Lacan racconta di Agostino con suo fratello al seno, l’invidia; non è quello, che è costitutivo di ogni soggetto, qui si tratta di qualcosa d’altro. Io penso che abbia a che vedere con quello che Lacan dice, in quel testo meraviglioso, al quale mi riferisco spesso, in una sorta di ossessione, la “Questione preliminare”.
In questo testo Lacan seguendo la dottrina di Freud, distingue due forme di regressioni, la regressione libidinale e poi la regressione topica. Lacan riprende questa divisione stabilita da Freud e fa la seguente osservazione sulla regressione topica: si tratta, dice lui, di una descrizione molto brillante, parlando del testo di Freud su Schreber, che bisogna accordarci che si tratta di una identità ridotta, che si tratta d’una riduzione a una confrontazione con il suo doppio psichico; non è una identificazione, è una riduzione al suo doppio psichico. Ma aldilà, rende patente la regressione non genetica, ma topica allo stato dello specchio. In quale senso? Lacan va molto più avanti di quello che aveva detto al tempo dello stadio dello specchio e continua:“tuttavia che la relazione all’altro speculare, nel caso della paranoia, si riduce al suo taglio mortale”. Lui dice taglio mortale che è molto importante, perché non si tratta della rivalità, dell’invidia, si tratta certo di una regressione topica allo stato dello specchio, ma allo stato dello specchio in quanto “taglio/versante mortale”. Cioè dove l’altro, non si tratta di rivalità con lui ma di farlo proprio sparire. Quindi si riduce al taglio mortale e lo trovate a pagina 568.
E’ una cosa che mi sembra molto importante, per distinguere che non si tratta di gelosia, invidia; è qualcosa di grave, come lo sappiamo clinicamente; questo aspetto mortale s’avverte subito, quando s’avvicina; anche per l’analista. Se il paziente viene a casa tua e ti mette un coltello sul tavolo, non lo so, ma non mi sentirei molto sicuro. Mi è accaduto, non così violentemente, ma un paziente che per amicizia con una collega analista, – era matto proprio, era scappato dall’ospedale ed è andato all’ Associazione, perché girava per tutte le strade di Parigi, e quindi questa collega, che si trovava dentro, ha detto che era un caso di Cotard, quindi “lo invio immediatamente a Giorgio”; e quest’uomo mi chiama al telefono, però certo per telefono non si può sapere, e quindi ricevo quest’uomo che era violentissimo. Io non sapevo che fare e mi sono detto che non c’era altro da fare che ascoltarlo, mi urlava e mi dava dei colpi, a un certo punto gli ho detto:”Guardi siamo già da molto tempo, la posso vedere la prossima settimana”. E’ durato due ore e qualcosa, perché era un sabato mattina, dove io non ricevo, non ricevevo di solito, solo pazienti nuovi a volte. Guardate impossibile rimetterlo fuori, a un certo punto gli ho detto:“Guardi, io sono un po’ malato”, il che era vero, quindi mi sono messo nella posizione di un povero disgraziato, e gli ho detto:“Mi faccia questo piacere, vada via e poi mi richiami un altro giorno”. E così, mi sono trovato, come quando uno è in una macchina e ti dici: “Qua può succedere di tutto”.
Però è per dirvi che si sente quando c’è il “taglio/versante mortale”. Tanti nostri colleghi ha avuto problemi di gente che è andata con delle pistole sul lettino. Dunque bisogna ben distinguere di quale regressione topica si tratta, e è questa anche una delle funzioni essenziali dei colloqui preliminari, per valutare con che cosa abbiamo a che fare, per condurci nel modo in cui le cose possano procedere nel modo migliore, o almeno che non sia drammatico né per l’uno né per l’altro.
E continua: “Ci fu anche un tempo in cui il suo corpo non era che un aggregato di colonie di nervi”. Questo è Schreber, fonte inesauribile, ogni volta che lo leggete vi assicuro, scoprirete delle cose nuove.
- Drazien: ecco la definizione di un classico che ha dato questa mattina Recalcati.
- Cacho: sì, ma io gli ho risposto, non a lui, all’altro e gli ho detto: “Guardi, un classico, certo, lei ha ragione, un classico arriva e tutti lo citano, ma un classico anche ha il rischio, ho detto il rischio per non dire la sicurezza, di essere dimenticato e banalizzato; tutti pensano che lo conoscono e diventa di una grande banalità”. È raro che si scrivano delle cose serie sui classici, tranne i grandi specialisti. Cioè, essere un classico non è una garanzia, a mio avviso, per niente, anzi abbiamo l’impressione che lo conosciamo, così gli ho detto. Lui è rimasto un po’ … non l’ho detto nel modo come l’ho detto qui, in un modo più soffice, più italiano, meno spagnolo.
B.S. Bresani: posso chiederle una cosa, per quanto riguarda il caso che stava dicendo di Naiser, di questo paziente che ritorna a casa del fratello, lei ha fatto questa connessione con il testo di “Una questione preliminare”, che sarebbe una regressione topica allora, in questo caso?
- Cacho: ecco, sì, è così, come Lacan la chiama, topica, perché Lacan prende il termine di Freud, è questa la genialità di Lacan, perché prende termini di Freud ma li trasforma completamente; topica anche nel senso della topologia, cioè la topologia dell’immaginario, soltanto che si tratta di un immaginario che ha un “lato mortale”.
B.S. Bresani: perché non mangiava più, nel senso di morte, rischio di …
- Cacho: c’è un vero rischio.
Ecco, quindi (ritornando al caso), “ci fu anche un tempo in cui il suo corpo era che un aggregato, una colonia di nervi estranei”. Perché noi abbiamo tutti dei nervi e di colonie di nervi, fa parte della materialità del nostro corpo, però qui si tratta di un sentimento di estraneità. Cioè, il corpo vissuto, non come totalità, che è la funzione proprio dello specchio, di dare un’unità a quello che è sparso, a quello che è spezzato; qui è il corpo come estraneo, non come altro, ma come estraneo, cioè come nemico, come quello che deve essere escluso; una sorta di deposito d’immondizie, di deposito di frammenti separati delle identità dei suoi persecutori. Cioè, come se di questi nervi, ognuno rappresentasse un pezzo dei suoi persecutori. Infatti lui dà dei nomi a questi nervi, li classifica. Vi ricordate dei nervi di Flechsig … Dunque, lui ha questa cura di non confondere le cose, di riconoscere in ognuno quello che è specifico, soltanto che ognuno ha un tratto comune, “il versante mortale”. Tutti sono stranieri, nel senso che sono da mettere fuori i confini della città. Questo è uno straniero: chi non fa parte dei limiti che noi formiamo.
Poi c’è un’ultima osservazione, che mi è sembrata molto curiosa. Lui dice, parlando sempre del paziente : “dopo una passeggiata in montagna assai faticosa, un giorno, dopo essere caduto, l’ansietà e le allucinazioni visive appaiono”. In che consistono quelle che Naiser chiama allucinazioni visive? Vedrete, è brevissimo, lui le cita tra parentesi:“c’erano delle forme femminili galleggianti, coperte di un vestito ondulato”. Quindi mi ha fatto subito pensare alla problematica della femminilizzazione del soggetto, che nel caso di Schreber, vi ricordate benissimo, lui non sa se era un sogno, se era in semiveglia o completamente sveglio e dice:“quanto sarebbe bello essere una donna nella situazione dell’accoppiamento”. Questo qui, è un po’ più sottile, e in questo senso meno minaccioso, perché lui non doveva arrivare a quell’accordo ragionevole di cui parla Lacan. Quando Lacan dice che Schreber ha accettato di essere la donna di Dio, dopo una lotta tremenda, sentendosi perseguitato da Flechsig, da tutti gli uomini, ecc.; dice che a un certo momento Schreber è arrivato a un compromesso ragionevole. Ha accettato questa posizione femminile, a condizione di essere in posizione sublime, di essere “La Donna di Dio”. Non di essere una donna di Dio, ma “La donna”, l’unica. Qui non siamo ancora a questo, ma c’è già una piccola musica, che lì, ci sia cioè una possibile trasformazione, una femminilizzazione del soggetto.
Quando Lacan dice che la psicosi “pousse a la femme”, spinge alla donna, non dice che la donna spinge verso la psicosi; alcune donne certo, molti mariti si lamentano giustamente di questo, perché li rendono matti. Lacan dice che la follia, la psicosi, spinge alla donna; e qui abbiamo questo fatto, che mi sembra, se io fossi stato la persona a cui il paziente si fosse indirizzato, io sarei stato molto attento a questo fenomeno, perché c’è qualcosa che non va. Anche questo fatto che la donna per lui era un avvoltoio … enveloppe … no, involucro, cioè non è la differenza sessuale, è qualcosa di esterno; e poi dice “ondulante”, cioè che può cambiare da un momento all’altro. Vedete, sono delle piccole osservazioni, da cui lui non trae nessuna conseguenza, ma Lacan ci insegna, non dico che sia una certezza quello che sto dicendo, ma ci orienta a non essere né ceco né sordo su quello che il paziente ci racconta. Perché se è vero che lui si trova in una minaccia di femminilizzazione, il tipo di transfert dell’analista, il maneggio, deve essere molto particolare, non è lo stesso se non avesse avuto questa visione, quello che lui chiama allucinazione visiva.
Mi permetterete ancora due o tre cose sulla problematica della significazione personale, che è molto profonda e molto radicale. Questa problematica chiamata “delirio di relazione a sé stesso”, così come l’ha chiamato, trasformato poi da Sérieux e Capgras in significazione è ripresa da Lacan in un altro modo, perché, vi ricordate, il caso nel “Seminario III”, di questa donna che racconta a Lacan che ha sentito la parola “troia”, ricordate? Una parola di cui lei non sa il significato; è una parola senza significazione per la paziente, anche se nel dizionario c’è; lei è sorpresa, non capisce, anzi, non sorpresa, perplessa, è la parola che usa Lacan, e pensa che questa parola fa parte di una catena che la paziente ha elaborato, e quindi la forza a costruire la frase che lui, Lacan, suppone che questa parola implica. Vi ricordate che la ricostruisce perfettamente perché lo fa dire alla paziente stessa, “vengo dal salumiere”; e quindi questa parola si trova in una catena, da cui si scatena tutta un’interpretazione delirante. Se Lacan fosse rimasto al fatto che questa donna ha detto la parola “troia”…
- Drazien: “troia”, la femmina del … la scrofa.
- Cacho: Ha detto questa parola e Lacan ha sentito subito che c’era qualcosa, e che la paziente, come sappiamo dei pazienti paranoici sono molto diffidenti, e quindi non raccontano quello che sanno, sono discreti e liberano delle gocce; dipende dal transfert. Ma Lacan, per il modo di questionare questa paziente, è la sua genialità, per come sapeva trattare i pazienti, come delle persone, così ha ricostruito la frase completa, a partire della quale la paziente ha trovato la significazione di quello che per lei era, un momento prima, enigmatico. Era perplessa, quindi l’ha fatta uscire dalla perplessità. Possiamo chiederci se è meglio che qualcuno ne esca dalla perplessità o che elabori un delirio di persecuzione. Questa è una questione clinica importante. Da un punto di vista teorico, per noi, è molto importante poter arrivare, senza forzature, a orientare il paziente nel senso che la struttura si sviluppi, facendo sempre molta attenzione che il paziente non si trovi in una situazione peggiore di quella nella quale è arrivato. In ogni modo non c’è soluzione, perché a un certo momento, o prima o dopo, si scatenerebbe il delirio di persecuzione, normalmente, diciamo.
- Drazien: normalmente …
- Cacho: L’interessante, a mio avviso, di questa problematica, anche il momento in cui, ed è questo che mi sembra eccezionale in Lacan, che c’è un dibattito nella psichiatria tedesca, che ha lavorato, come voi sapete nel modo più profondo e radicale la problematica della paranoia, e Lacan e Freud hanno seguito l’insegnamento di Kraepelin. Lacan poi ha cambiato e ha sviluppato la posizione di De Clérambault. Però Lacan faceva spesso riferimento a Kraepelin. Penso che tutto questo sia legato alla tendenza tedesca alla elaborazione filosofica; e penso che questa problematica della paranoia come loro l’hanno lavorata, ha molto a che fare con la filosofia kantiana. Perché dico questo, fra l’altro, evochiamo soltanto un punto, ci sono tanti altri, pero questo è essenziale: come si è definito il delirio nella tradizione classica? Come un errore di giudizio, impossibile da modificare. Dunque due cose, è un errore di giudizio di una elaborazione mentale, che è considerata nella filosofia kantiana e post-kantiana, come ciò che è il culmine dell’intelligenza. L’operazione della intelligenza la più complessa e la più elevata, nella filosofia tedesca, è il giudizio. Perché? Perché è in rapporto alla verità, secondo loro. Lacan cambierà completamente lo statuto della verità. Ma, la verità come si stabiliva? Seguendo le pause dell’elaborazione del giudizio, secondo le diverse proposizioni, la logica proposizionale, che dal tempo della filosofia platonica era stata sempre così, non parliamo degli stoici.
Comunque sia, la problematica tedesca sulla psicosi, la sua influenza, adesso non più, la psichiatria è diventata non so cosa, però allora era un momento in cui la problematica della psicosi era molto acuta, viva, e molto interessante. Per esempio, questa scoperta di uno psichiatra che si chiama Gaup, tedesco, il quale parla di psicosi abortiva. Cioè, un fenomeno che si scatena e poi sparisce e la chiama psicosi – abortiva perché non riesce a creare l’oggetto. Ci sono molti casi di questo modo di dare un nome, come Lacan, a dei fenomeni in momenti, che ancora non si può dire che siano delle psicosi, ma c’è qualcosa che sorge, e clinicamente penso che sia importante.
Vorrei indicare adesso quali sarebbero per Lacan i tratti, diciamo così, di questa significazione personale, perché lui non ne dà una definizione, ma ne indica gli elementi costitutivi, che è quello che ci interessa. Vediamo subito che Lacan, conoscendo perfettamente la clinica tedesca, ne prende alcuni elementi e li rielabora in un modo creativo, costante, con un modo di interrogare e con una finezza e profondità che noi dobbiamo mantenere, perché altrimenti la psicanalisi diventa … non lo so cosa diventa? (dal pubblico: “una noia”) Una noia, fra l’altro. Però tante cose nella vita sono noiose, però le dobbiamo fare, però, quando la psicanalisi diventa noiosa è meglio chiudere la porta.
Lacan ha, per me, questo invito permanente a cercare sempre quei tratti che lui chiama “il tratto del caso”, quello che fa la specificità del caso. Lui in quell’epoca fa una serie di osservazioni su questa significazione personale e dà una serie di tratti caratteristici. La prima di tutte è la perplessità. Vediamo cosa ne dice su questa perplessità. Ho scelto questo tratto che è uno dei tanti, però mi interessa perché? Perché non è la stessa cosa la perplessità e la sorpresa. Noi come analisti siamo sorpresi, e lo dobbiamo essere, fa parte della nostra disposizione psichica, anche il paziente è sorpreso durante la sedute delle cose che dice, senza sapere cosa ha detto, è sorpreso. Dunque, c’è qualcosa nell’inconscio qualcosa che appartiene a questa categoria della sorpresa, cioè, qualcosa che non ci si aspettava, qualcosa che non volevamo sapere. Quindi, nella sorpresa, c’è anche un rapporto al sapere che è diverso, se la prendiamo dal punto di vista dell’analisi. La perplessità è un’altra cosa. Molte volte confondiamo nel linguaggio corrente e ordinario perplessità e sorpresa, diciamo: “sono perplesso”, o “sono sorpreso”. Invece Lacan qui, nel caso della significazione personale insiste sul fatto della perplessità. Come l’intende lui? La perplessità, dice lui, come un sentimento d’inquietudine. Quindi non è rassicurante, non è come la sorpresa che può essere rassicurante, sono contento di aver scoperto qualcosa, può essere sgradevole, ma può essere incoraggiante per andare avanti, nell’analisi ci fa lavorare, ci mette in rapporto gli uni con gli altri, ci scambiamo la nostra ignoranza, ci fa lavorare insieme, non escludiamo gli altri; voglio dire, la sorpresa è qualcosa di molto produttivo nella vita dell’analista. La perplessità è un’altra cosa, ci capita di essere perplessi ed è inquietante, è qualcosa che s’annuncia come qualcosa di negativo, per il soggetto prima di tutto, o per coloro che il soggetto ama o detesta, perché può essere anche perplesso di quello che capita di negativo al suo nemico o alla sua nemica; c’è anche un sentimento di colpevolezza. Comunque Lacan insiste sull’aspetto d’inquietudine, un sentimento di disgrazia imminente, che sta per accadere qualcosa che non appartiene al regime della grazia.
Questa mattina abbiamo sentito, Muriel ed io, con tanta … non con tanta perplessità, con tanta sorpresa. La conferenza, era interessantissima, di un livello assai alto, ma c’era un punto però che non si poteva lasciar passare perché siamo analisti, abbiamo una certa etica da far valere, non attaccando nessuno, ma indicando che non si tratta di questo. Si è parlato del soggetto cristiano, soggetto di Lacan, soggetto cristiano, basandosi su un testo famosissimo di Agostino, che per me è meraviglioso come poeta, è un grandissimo teologo, ma soprattutto per me è poeta, in latino è meraviglioso; comunque hanno citato, uno che stava al tavolo e che ha parlato a lungo, Agostino dicendo come il soggetto di Lacan era un soggetto agostiniano.
- Albarello: e perché?
- Cacho: ti dirò Carlo, che io sono intervenuto alla fine, dicendo, fatto vero, perché quando sono arrivato, ero un po’ in ritardo e mi sono dovuto mettere in fondo dove non sentivo bene; non so se è l’inconscio, ma penso che ho sentito benissimo, appunto che sono intervenuto, perché sicuramente mi sembrava talmente incomprensibile, ero perplesso; dovevo essere in un stato di perplessità, che a un certo momento sono andato avanti, mi vergogno, non mi piace, preferisco essere discreto; comunque mi sono messo lì per poter sentire cosa stavano dicendo e sono intervenuto e ho detto:“non so, se ho sentito bene quello che lei ha detto, ma mi sembra di aver capito questo …” e allora ho citato Agostino, perché l’ho sempre amato molto e conosco qualcosa di lui, e quindi ho detto che il soggetto di Lacan non ha niente a che vedere con il soggetto agostiniano; c’è un legame magari. Ma siccome lui si presentava come un specialista, sicuramente lo è, è professore universitario, specialista in Agostino e ha scritto un libro, che mi ha raccomandato di leggere, e gli ho detto “senz’altro lo leggerò”, sarà interessante, perché … e allora io ho citato un testo bellissimo, che penso conoscete, in latino, “Intimior”, quando Agostino, nelle Confessioni, e anche in altri testi, parla del soggetto – si è sempre considerato che Agostino ha creato questo statuto nell’occidente, lo statuto del soggetto. Perché prima erano gli individui, cioè fare parte di un gruppo, però un individuo non è un soggetto, è un’altra cosa. Comunque, io cito Agostino, questa sua bellissima frase: “Intimior intimo meo”, più intimo di quello che ho di più intimo. E segue la frase:“Superior summo meo”, cioè passa da una posizione d’intimità a una posizione di esteriorità. Ho detto:”Almeno che lei non lo voglia mettere in rapporto con quello che Lacan chiama “ extimitè”, cioè, questo soggetto che è al di fuori”, perché Lacan dopo aver introdotto “ex-sistence”, non ne parla più di soggetto. Lacan una volta che prende questa parola “ex-sistence” divisa in due, introduce questo taglio fra “ex” e “sistence”, non ne parla più di soggetto. Io penso che ci deve essere un progresso, un cambiamento nella posizione di Lacan riguardo quello che fino allora aveva chiamato soggetto e che va insieme con la questione della “extimità” e quindi con la topologia della bottiglia di Klein, è una questione topologica. Ho lanciato questo, perché mi sembrava troppo duro di fargli intendere; però come analista non potevo lasciar passare, e penso che ho parlato in un modo assai corretto, non potevo non dire qualcosa.
- Drazien: cioè, che lui sosteneva il rovescio di quello che propone Lacan, a proposito di questa “extimità”, che è la posizione di soggetto, invece questo signore, questo filosofo proponeva per Lacan l’adozione di questa intimità agostiniana …
- Cacho: intimità agostiniana che è fondata su Dio, questo è il punto. “Intimior intimo meo”, “Intimior” è Dio, è l’Altro, non è l’Altro barrato, è l’Altro vidente, assoluto. Ognuno può prendere l’opzione religiosa o non religiosa che vuole, è un tema molto delicato, ma non puoi come analista o chiamandosi studioso di Lacan, dire delle cose senza che siano chiarite. Era così interessante che poi ci sono stati molti interventi, e io sono intervenuto alla fine, dopo sei o sette persone, e tutti hanno difeso questa tesi, uno proprio dava i numeri e allora diceva: “Adesso che abbiamo questo papa argentino che parla così bene di Dio e la psicanalisi”. Voglio dire, questo discorso, sia lui che l’autore del libro hanno lasciato intendere questo; lui l’ha detto chiaramente, ma l’altro lo ha lasciato intendere, perché tutti gli interventi sono stati in questo senso qui.
- Drazien: perché loro si sono basati su Recalcati che, all’inizio di questo vademecum di Lacan, cita Agostino; mette in esergo una citazione di Agostino:”Chi compie la legge non è sotto la legge, ma è con la legge, chi invece è sotto la legge, non viene sollevato, ma oppresso dalla legge”.
Allora, sembra che questo è stato il leitmotiv per lui, la guida sulla quale lui ha creato quest’opera, questo è stato per lui il movente per riuscire a costruire quest’opera.
- Albarello: cioè, una nuova legge, di Lacan.
- Cacho: devo dire che il livello di questo signore, quello che ha scritto il libro, è molto elevato.
- Drazien: Recalcati.
- Cacho: è di un grande rigore il dibattito, ed è questo che è più pericoloso, cioè pericoloso, voglio dire. M. Drazien: pericoloso perché è una devianza, una perversione; una perversione, nel senso di pervertire un discorso ecco.
- Cacho: era interessante che delle persone così di tanto valore, anche dal modo di parlare, si vedeva che aveva una padronanza del linguaggio straordinaria, poi di grande cultura, l’altro un mi è sembrato meno, ma lui di una intelligenza molto singolare, che riesca a far intendere una tale questione, mi è sembrato … è un personaggio in Italia, nella psicanalisi. È molto furbo perché non l’ha detto come l’altro, lui ha lasciato dire all’altro quello che lui probabilmente pensa, lui ha lasciato intendere e infatti mi ha risposto e mi ha detto:“no, il problema è che Lacan era una persona che conosceva molto bene la tradizione”. Senz’altro, gli ho detto, ma conosceva anche Platone, Kojeve, cioè, quello non è un argomento. E quindi, lasciarono questa questione in modo “flottante” e questo per la psicanalisi è molto problematico.
- Drazien: si, è molto problematico.
- Cacho: è molto delicato. Ognuno deve fare una scelta, però una scelta che sia eticamente coerente con quello che è l’esperienza dell’ analisi, io penso, cioè è un modo di rispondere a, tra virgolette, definire il transfert in un modo infinito.
(dal pubblico): mi scusi, non per niente, ma lui ha definito il libro “Il Lacan di Recalcati”.
- Cacho: non mi colpisce, lui ha detto “Il mio Lacan”, lei c’era?
- Albarello: ma i tratti, tu ha parlato di inquietudine, perplessità …
- Cacho: nel senso di attesa di una disgrazia imminente. Un sentimento ulteriore di sconfitta, di scacco, come nel caso nella paranoia abortiva che ho appena citato. E’ una paranoia che non è riuscita e quindi questa paranoia abortiva non gode dei vantaggi curativi della paranoia “costruttiva” .
- Drazien: cioè, non è riuscita a costruire un delirio.
- Cacho: un’ulteriore osservazione, il carattere “xenopatico”, fa parte di quello che abbiamo appena detto, “xenopatico” nel senso di estraneità della parola per il soggetto. Quello che è “xenopatico” è la parola, è il rapporto alla parola, che ha questo carattere persecutorio e penso che questo è il punto che a Lacan ha interessato di più. Perché su questi esempi di parole, non vede, come nel caso di “troia”, e ne dà anche un secondo esempio “voiture rouge”, quella donna che ha vista per la strada una macchina rossa – chi non ha visto una macchina rossa nella strada? Però Lacan ha capito che lì c’era qualcosa e l’ha fatta parlare ed è apparsa tutta un problema di significazione personale persecutoria.
Mi ricordo di una paziente che era nel ospedale S.te Anne, era Marcel che l’ha presentata, questa donna, che sembrava completamente normale, molto gradevole, comunicativa, anche fisicamente molto carina, e allora Marcel gli chiese: “ ma, cosa l’ha portata in ospedale?” La paziente risponde:“non lo so, sono un po’ stanca …” e Marcel insisteva come poteva per farla parlare poi viene fuori così:“h, l’altro giorno mi è successo una cosa che non mi era mai successo, ho guardato un edificio e c’era una finestra aperta”. Tantissime finestre sono aperte negli edifici, ma lì Marcel ha incominciato a vedere che lì c’era qualcuno che la sorvegliava per comunicare alla polizia, tutto un delirio dietro, invece s’è presentata come una povera donna che aveva visto una cosa, che lei stessa era nella perplessità di cosa voleva dire questa finestra aperta. È stato, e non è che lei lo sapesse, il dialogo che ha permesso che la paziente riconoscesse e potesse, formulare, simbolizzare, tra virgolette, qualcosa d’un reale completamente persecutorio e pericolosissimo per lei. È stato un effetto del dialogo, quello che si chiamava prima il dialogo analitico – ti ricordi? E Lacan parla di dialogo a volte; non è quello che fa l’analista di solito, però nella clinica psicotica questo dialogo, secondo come lo si conduce, perché è molto delicato, ma può permettere al paziente di elaborare quello che per lui era un fenomeno di perplessità, il che è il peggio, che gli può arrivare, perché ha tutte queste caratteristiche che ho appena citato, di persecuzione, di xenopatia, di inquietudine, di angoscia, ecc., ecc., ecc..
Questi sono quindi, alcuni degli aspetti. Ma vorrei, e così finisco, parlarvi d’una questione che m’interessa molto e sulla quale Lacan insiste parlando di questo fenomeno. E’ l’oggettivazione del soggetto. La significazione personale è un modo di oggettivazione del soggetto. Il soggetto diventa un oggetto, per questo fenomeno – in che senso? Il soggetto, commentando quello che Lacan dice in “Funzione e campo della parola” a pagina 280. L’oggettivazione del soggetto, nel senso che non c’è nel suo rapporto con il linguaggio nessuna dialettizzazione, quindi se non c’è dialettizzazione, il soggetto non è rappresentato da un significante per un altro significante. Dal fatto della non dialettizzazione necessariamente il soggetto diventa un oggetto. Quindi Lacan trae le conseguenze ultime di questi fenomeni e vedete come vi orienta subito sulla problematica del rapporto del soggetto al linguaggio, o del non rapporto. A un certo punto Lacan dice, nel “Seminario Le psicosi”, credo che sia a pagina 30 e poi nella “Questione preliminare” a pagina 538, lo dico a modo mio, e dice: “non si sa se quello che la significazione personale significa, il soggetto, il malato, non sa cosa significa, e questo fa parte delle perplessità, però, e questo è molto importante, non sa cosa significa, ma sa che significa qualcosa”. Quindi, è una significazione della significazione; non è come per noi, che sentiamo delle cose che non capiamo, ma non è che diamo una tale importanza, qui l’inquietudine e l’angoscia non gli permette di capire; sanno che significa qualcosa il fatto che la finestra sia aperta, ma non sanno in che cosa consiste questa significazione, però, terzo elemento, sanno che questa significazione non saputa è una significazione che li riguarda, Eigen Beziehung che ha un rapporto con lui o lei, questo è l’ Eigen Beziehung, che in ogni modo il soggetto della significazione è lui, pur essendo un oggetto minacciato, è lui, al quale tutti gli oggetti si indirizzano, è lui il centro, l’unico riferimento di ogni oggettività. Sembra un paradosso incredibile, non so voi come lo intendete? Per me è una cosa molto misteriosa, perché qui si opera un’altra trasformazione – capite? Cioè, lui non sa cosa significa, ma sa che significa qualcosa, qualcosa di negativo che lo riguarda, pur se appare come vittima di quello che lo riguarda; invece è lui il centro al quale tutti i fenomeni si indirizzano, tutti i fenomeni parlano di lui, lui è il centro di ogni significazione. Cosi vorrei interrompere questo mio discorso, scusatemi, un po’ lungo, ma mi è sembrato importante sottolineare come Lacan va in fondo alla questione e ci invita a continuare i lavori, io ho fatto quello che ho potuto, voi continuerete, soprattutto quelli che lavorano con gli psicotici, psichiatri, ecc., è importantissimo questo insegnamento, è essenziale.
- Drazien: assolutamente.
- Cacho: E’ questo che volevo dirvi e poi un’ultima parola. Freud quando ha incominciato, tu sei lacaniana senz’altro, ma sei anche freudiana e questo non lo sai, ma io te lo dico, perché nelle mie ricerche avevo un mucchio di tutti coloro che hanno parlato dell’ Eigen Beziehung nella tradizione psichiatrica francese e tedesca, perché a un certo punto la tradizione francese, che è molto diversa, è diventata la tradizione tedesca, e poi c’è un mucchio di citazioni di Freud che riguardano il sogno e dice che come un deliro di Eigen Beziehung. Perché il soggetto lo riferisce tutto a lui. Quindi è un fenomeno naturale come tu dicevi, e non soltanto lì, ne parla – sai dove? Nel testo “Psicopatologia della vita quotidiana”, ne dà molti esempi di Eigen Beziehung una psicosi come un delirio normale, soltanto che lui la considera, contrariamente a Lacan, come un fenomeno esclusivamente narcisistico. Io adoro Freud, perché lo trovo di un coraggio straordinario, però Lacan va oltre, lo si sente bene in questo problema. D’altra parte, Freud parla in una delle lettere a Fliess, nel manoscritto “H” o “K” uno dei due, su questo “Eigen Beziehung Wahn” come delirio, però poi parla quattro o cinque volte nella “Psicopatologia della vita quotidiana”, come ho detto, e nei sogni, e sicuramente anche in altri testi, però non avanza più, dice la stessa cosa. Però sarebbe interessante riprendere questo fenomeno dell’ Eigen Beziehung come un fenomeno legato al narcisismo e quindi un fenomeno della struttura.
E poi, e cosi finisco veramente, una questione di Lacan dove parla delle famiglia, nel testo sulla famiglia, lui parla di questo fenomeno che precede lo stato dello specchio … Come si chiama?
- Gurnari: “I complessi familiari”.
- Cacho: si, ma lui parla di un fratello … (dal pubblico: “il transitivismo”), esattamente, il transitivismo. Allora, io penso che in Freud questo fenomeno dell’Eigen Beziehung , non come fenomeno patologico, ma come parte delle struttura, corrisponde molto più a questo fenomeno, che allo stadio dello specchio, perché Freud non conosceva lo stadio delle specchio, però corrisponde molto di più a quest’altro fenomeno, che voi avete nominato e io ho dimenticato.
- Drazien: allora qual è la differenza, se è un fenomeno che Freud elabora nella “Psicopatologia delle vita quotidiana”, che è la questione narcisistica, che il soggetto rapporta a sé ciò che percepisce come un segno, perché è un segno che gli viene inviato, più che un significante è un segno di qualcosa che è indirizzato a lui, a sé stesso. Allora qual è la differenza? Perché nella psicosi, questo segno viene recepito come enigma da interpretare, come se ci fosse la sicurezza, la certezza che questo enigma contenga un significato per il soggetto. Ciò che manca diciamo nella psicosi ordinaria è questa certezza.
- Cacho: non sempre però, perché ci sono forme di transfert negativo, non transitorio, perché tutti passiamo per momenti di transfert negativo, però qualcosa che si fissa, che diventa rigido, non dialettizzabile, in un transfert negativo; cioè questa lotta mortale con il fallo, con il significante fallico, ha una dimensione molto particolare, quando le cose si fissano in un modo tale che sono indialettizzabili.
Questa problematica del transitivismo, penso che è molto più vicina a quello che Freud dice sul fenomenodella Eigen Beziehung, nel senso in cui, nel transitivismo quello che è “proprio” è che c’è una sorta di equivoco del soggetto e dell’altro.
Mi ricordo un caso di psicosi, dove il fenomeno di transitivismo era patente. Era un uomo, che è arrivato al mio studio, e chiedeva dei colloqui; c’era il tavolo ed io stavo per arrivare al mio posto e lui si mette nel mio posto. Si può pensare alla rivalità, cioè, lui vuole mettersi al posto dell’ analista, fa parte dell’immaginario rivale; e non era così, è che lui non sapeva quale era il suo posto. Era l’altro che doveva indicargli quale era il suo posto; lui sapeva benissimo che non era il suo, visto che c’erano tutte le mie cose, ma era un fenomeno di transitivismo che si ripeteva nella sua vita, con sua moglie, non ne parliamo. È stato un caso molto interessante, perché mi sono chiesto, si tratta di un ossessivo che entra immediatamente con l’altro in questo rapporto di rivalità mortale, di farti fuori, di prendere il tuo posto, il significante uno, “qui sono io che comando, sono io che dirigo la cura”; lui no per niente, era un fenomeno che la clinica ha chiamato soprattutto la clinica psicologica, Lacan ne parla nella famiglia, con quei esempi dei bambini, pero è un termine delle psicologia francese, leggete Wallon, c’è un capitolo su questo fenomeno del transitivismo , che è splendido.
Bene adesso abbiamo veramente transitoriamente finito.
- Drazien: grazie, grazie e a domani pomeriggio.
Trascrizione: Blanca Sofia Bresani
Non rivista dall’Autore
Revisione a cura di Paola Giovani