Jean-Jacques Tyszler – Che cosa è la scrittura del fantasma?

Venerdì 14 dicembre 2012

Laboratorio freudiano Roma – Via Corsini, 3

 

Dr. Jean-Jacques Tyszler

Che cosa è la scrittura del fantasma?

Stasera parlerò con voi di qualche questione sulla scrittura del fantasma. Sono due anni (2006 – 2008) che organizzo un seminario sul fantasma che è stato già pubblicato nelle edizioni interne dell’associazione.

Il primo problema che mi ero posto riguardo il fantasma era come mai, nonostante  fosse una questione così cruciale per la psicanalisi, (tanto più che si può dire che un lavoro di cura analitica essenzialmente porta sull’identificazione e sul fantasma) se ne parlasse così poco nei nostri lavori dell’associazione. Non è una critica, ma sapete bene che la psicanalisi ha assunto una colorazione sociologica per cui alcuni colleghi sono interessati ai molti cambiamenti sociali ed è questo che guida le loro ricerche. Ma c’è anche un’altra tendenza angosciante che potremo chiamare scientista, che è una tendenza che porta in qualche modo la psicanalisi alla psicologia; ossia le parole che si utilizzano sono quelle della psicologia generale insieme con molti significanti della psicanalisi. Oggi è molto di moda la neuropsicanalisi che mescola le parole della psicanalisi alla psicologia scientifica. Non vogliamo certo censurare dei colleghi che lavorano in campi accanto ai nostri, ma secondo me è molto importante cercare di far vivere i significanti attuali della psicanalisi che non sono certo innumerevoli: c’è la pulsione, la rimozione, l’identificazione, il fantasma, quindi un certo numero, ma non incalcolabile, di parole. Forse questo è più chiaro nella cura dei bambini, perché appunto con i bambini voi lavorate sia dal lato dell’identificazione sia dal lato del fantasma, ossia  nel bambino interroghiamo quale tipo di tratto ha fatto per lui unità, quale tipo di tratto ha colto per fare identità, compresa appunto l’identità sessuale. Non è una questione così misteriosa la questione del tratto. Un bambino può raccontare come mai abbia prelevato questo o quell’altro tratto all’interno della sua filiazione. Così si parla sempre dell’identificazione al padre, ma è un modo generico di parlare; chiaramente si può parlare dei tratti prelevati dai nonni, o da un terzo che era lì presente, molto importante nella storia della famiglia. Si può cogliere come modalità attiva perché l’identificazione è una modalità attiva :” scegliere un tratto”, come dice Freud, per incorporarlo.

E’ importante perché non dobbiamo vivere le parole della psicanalisi come delle parole passive, non dobbiamo riceverle come una pioggia che ci cade addosso, ma come una parte attiva del soggetto e la stessa cosa vale per la pulsione.

Con la cura dei bambini siete sia in questo lavoro dell’identificazione, sia nel reperimento di ciò che per il bambino ha costituito la scena fantasmatica. Il bambino più piccolo racconta bene come per lui il mondo si sessualizza. Prima non mi occupavo dei bambini, ma poi ho trovato davvero incredibile come dei bimbi di tre , quattro anni raccontino come il mondo intorno a loro prenda delle posizioni per quanto riguarda la sessualità, come indentifichino le posizioni dei loro genitori, come vada  ad organizzarsi molto presto questa o quell’altra angolatura di attacco.

A mio avviso, una cura analitica, da un punto di vista diciamo freudiano, nel rispetto di Freud a cui Lacan si riferisce, cerca sempre di legare identificazione e fantasma e anche se questa cosa vi sembra più difficile avviene lo stesso in una cura analitica degli adulti. Difficile, dicevo, perché non potete cogliere questo così facilmente come nel bambino, ossia non lo potete guidare come il bambino verso delle questioni più precise e quindi bisogna attendere che il tema venga fuori attraverso il lavoro di analisi. Ma in ogni caso il ruolo del fantasma in una cura è una questione centrale e nello stesso tempo la libertà che un analizzato può prendersi verso ciò su cui è legato fin da  quando era piccolo è molto importante per la direzione di una cura.

C’è un altro punto di attacco nel passaggio da Freud a Lacan e che giustifica in Lacan questo tipo di scrittura, perché Lacan va a spostarsi dalle scene freudiane, ossia tutto il lavoro di Lacan si sposta dalle grandi scene visive freudiane verso il lavoro della lettera, la letteralità. Sembra poco ma in realtà è immenso come problema, perché in Freud tutto è riportato ad una scena, e anche oggi quando si interroga qualcuno sulla psicanalisi, per esempio un giovane studente, questi racconterà una delle grandi scene freudiane: Totem e tabu o la scena primitiva, evidentemente l’Edipo. E’ veramente incredibile tutto ciò che in Freud è giustamente la scena primitiva, ossia là dove colloca il modo attraverso il quale il bambino arriva a captare gli intrighi della sessualità (le scene di seduzione, le scene di castrazione). A questo punto tutto in Freud è meraviglioso perché si dà a vedere. Anche per noi è difficile fare il lutto di questo aspetto tragico, è difficile separarsi dalle grandi fissazioni freudiane, perché queste ci parlano.

Lacan, invece, proprio sulla questione del fantasma cerca di passare da uno scenario immaginario a quello che lo interessa: non la scena ma l’oggetto di godimento nella lingua stessa.  Per capire cosa è la scena è sufficiente riferirsi al seminario di Lacan: “La logica del fantasma”.  Il titolo è molto seducente ma Lacan nel seminario non dà nessun esempio di fantasma perché dice che l’esempio di Freud è più che sufficiente. In “Un bambino viene picchiato” Lacan dice che non ha nulla da aggiungere dal punto di vista del fantasma maschile mentre la posizione del fantasma femminile gli pone dei problemi. E interessante perché Lacan prende come unico esempio di lavoro questo di Freud ma  cerca di spostare la scena verso il divenire dell’oggetto letterale, ossia l’oggetto che è contemporaneamente godimento e lettera nella lingua del paziente stesso. Non è un passaggio logico facile, e anche per me non lo è di certo. Vi farò un esempio: è bellissimo l’esempio dell’uomo dei lupi. Nell’esempio “Un bambino viene picchiato” l’aspetto curioso e che ciò che Freud stesso dice, ossia la frase apparentemente più realista possibile : “io sono stato picchiato dal padre”, ebbene questa frase da un certo punto di vista non esiste. Freud dice non esiste perché non la possiamo ritrovare nel ricordo, non è mai esistita nella memoria e quindi è una frase verosimile prodotta per il transfert, fa verità solo nella costruzione del transfert. Proprio questa frase,che quindi secondo Freud non esiste, è la più importante, è quella che determinerà tutta la vita del soggetto. Quindi è una frase fuori scena, è una frase che sembra una scena ma non lo è, come se la si potesse vedere in televisione. Ma è sufficiente per questo riprendere il testo stesso di Freud, di cui Lacan è un lettore attentissimo.

In psicanalisi avete una tradizione dell’oggetto, quello che chiamiamo oggetto. E curioso che degli oggetti in psicanalisi siano stati nominati in un certo numero: quelli che Freud chiamava oggetti parziali, ossia che partivano da un bordo attorno al quale si organizza tutto il lavoro della psicanalisi stessa. Conoscete nel mondo della psicanalisi dei bambini gli oggetti di Melanie Klein, che dal punto di vista clinico restano giusti in quanto costituiscono il modo con cui il bambino accetta, dice “si” o dice “no” ad un certo numero di oggetti: il seno, il fallo, ecc., ossia come il bambino accetti o no che si entri nel suo campo di rappresentazione. Quello che dice Melanie Klein è molto interessante. C’è anche l’oggetto di Winnicott, ossia l’oggetto transizionale, l’oggetto della pulsione di Marie Christine Lasnik, ecc. Freud raccontava che qualsiasi oggetto può venire ad occupare il centro della pulsione e poi vengono gli oggetti del fantasma. Lacan fa in questo caso una forzatura perché riduce la lista topologica degli oggetti possibili a quattro: il seno, le feci, lo sguardo e la voce. Nella psicologia dei bambini si riconoscono bene soprattutto i due oggetti più complessi: lo sguardo e la voce. E interessante perché Lacan dice quattro e ogni tanto si chiede se mai un altro possa rientrare in questa serie. C’è un seminario, non ricordo quale, in cui appariva come oggetto “il nulla”, che da un punto di vista clinico potrebbe essere molto importante (per esempio nell’anoressia) e poi basta. Di tutti questi oggetti della psicanalisi ciò che gli interessa nel momento della scrittura del fantasma è il loro passaggio al rango di lettera, di letteralità, cioè di lettera nel significante. Abbiamo già l’esempio dell’uomo dei ratti: Freud percepisce bene le lettere stesse della parola ratto come un filtro del tessuto del linguaggio perché quando l’uomo dei ratti parla Freud percepisce come tutta la sua lingua sia filtrata da queste lettere. Non si tratta di ciò che vede dal punto di vista immaginario, cioè una scena cruenta dove ci sono dei ratti, ma quello che gli interessa in questo esempio è che le lettere stesse sono portatrici di godimento, sono la memoria del godimento, e che le lettere si infiltrino, in un certo senso, nel gioco dei significanti. La letteralità è materia dell’oggetto per cui quando si scrive quel materiale l’oggetto stesso e gli oggetti così come li ha declinati sono già materia per la lettera, ossia si può dire “un bordo corporeo” ma è il materiale del godimento. Si tratta del lavoro maggiore fatto da Lacan ma difficile da accettare fino alla fine, ossia spostare le grandi scene: resta la scena immaginaria del fantasma verso il modo con cui la lingua veicola i godimenti ma non c’è nessun altra materialità che si possa trovare. Da parte nostra non abbiamo altri tessuti per poter lavorare. O si lavora con il significante, con l’equivocità del significante, oppure con le inflessioni della lingua stessa che rivelano il godimento. Lacan fa sempre questo, ma non lo so se in italiano si comprende facilmente. Per es. quando dice “le Nom du Pere”e poi scrive “le non dupes  errent” fa un lavoro letterale che gioca su uno spostamento di lettere per cui sembra dire che è lo stesso sapere sul godimento. Essere “dupe” delle lettere è un modo di dire il Nome del Padre. E’ una proposizione molto elevata perché non colloca il nome del padre nella sua verticalità.

Stranamente il fantasma in una cura è quasi uno scenario a cielo aperto dal momento che riflette la nostra vita, per cui curiosamente si sa come si è accompagnati in permanenza dalle piccole scene fantasmatiche. Così il nostro modo di incontrare, scegliere sessualmente, l’esercizio stesso della sessualità sono legati a delle piccole scene molto semplici che qualcuno può raccontare con la stessa semplicità. Ma il problema nasce perchè se tutto questo sembra non avere nulla di misterioso per quale motivo rompersi le scatole fino ad arrivare e a coltivare una dialettica che sembra così complessa? Penso che questo succeda perché la parte immaginaria del fantasma, ossia lo scenario presente, chiaro ad ognuno, non regola il proseguire segreto della frase stessa: “sono picchiato dal padre”. Qualcuno può dire : quando ero piccolo ho capito spesso che in quel momento mio padre o mio zio erano una condizione fantasmatica della mia sessualità. Questo avviene praticamente a cielo aperto, ma qual è il reale che non si offre così facilmente? E’ il modo con cui le parole”sono picchiato” vanno in un certo senso ad alloggiarsi in tutti gli incontri aleatori possibili, negli altri grandi significanti della vita.

Il soggetto non si renderà conto che é picchiato da molti di questi aspetti,  ossia che si offre per essere picchiato perché la lingua lo attira continuamente verso queste congiunzioni ma non ritroverà queste ripetizioni così semplicemente. C’è un altro aspetto tecnico analitico: se vi attenete troppo alla lettura immaginaria del fantasma indurrete una lettura traumatica . Si dice spesso: “sono picchiato dal padre” ( fantasma masochista), ma secondo me si tratta solo di un modo per dirlo che però non è sufficiente. Se dite solo questo avete denunciato una lettura traumatica mentre in :“sono picchiato dal padre” si possono leggere tutte le equivocità che questa frase consente. In effetti ci vuole un colpo del padre, ma non necessariamente masochista. C’è dietro qualcosa  che non è stato completamente regolato, ossia la prossimità tra fantasma e trauma.

Non tra i lacaniani ma ci sono molte correnti nella psicanalisi che rileggono tutto attraverso l’angolatura del trauma, ossia fanno il cammino inverso in quanto partono dal trauma per arrivare al fantasma. I lacaniani, invece fanno l’errore contrario. Spesso i veri traumi non li interessano. Ma la lettera nell’inconscio ricopre territori molto più ampi e vari di quelli della lettera alfabetica. Quando ricevete dei bambini piccoli vedete che anche i segni che tracciano hanno una grafia molto particolare in quanto conservano ancora la traccia di una scrittura idiografica. Bisogna aspettare del tempo affinché il bambino separi la lettera, nel senso in cui noi la utilizziamo noi, dalla traccia stessa del disegno. I colleghi che si occupano di psicanalisi di bambini molto piccoli quando hanno il disegno di un bambino di due anni dicono se questo disegno è letteralizzato o no, ossia se c’è o no la lettera in quel disegno, ma questo è molto interessante perché non sono tutti gli stessi disegni. Un bambino psicotico di due anni fa dei disegni con una tipologia molto particolare e i miei colleghi dicono che nel suo disegno non c’è lettera, ossia non si trovano in questi disegni delle sequenze ritmiche che fanno lettera.

Vi è quindi un uso tecnico di questi spazi di letteralità, per cui di un disegno come di un sogno parlato si può già dire che è letteralizzato, anche se in ciò che si chiama sogno ci sono degli elementi di letteralità che non sono le lettere del alfabeto abituale. In un sogno ci sono delle ripetizioni idiografiche che hanno valore di lettera. Se volete un riferimento potremmo dire che questo capita spesso nella pittura, come per esempio in Mirò che ha delle proprie lettere, anche se non è l’unico perchè in ogni quadro ci sono degli elementi di letteralità. Lo dico per indicare che quello che si chiama oggetto in psicanalisi è molto vasto ma quando  utilizzo la parola lettera questa ha dei bordi molto larghi, ma non infiniti. Penso che ciò che è lettera nell’inconscio meriti una messa a punto perché spesso i colleghi credono che vi sia il significante, ma quello che chiamiamo il significante è una parola e all’interno della parola ci sono delle lettere. Questo è vero ma non è sufficiente per dire cosa sia la lettera. Cezanne come Mirò reinventano qualcosa come la letteralità, perché lo stile è il modo di rinnovare in maniera personale la letteralità  Così  Joyce distrugge per rinnovare le forme di letteralità, altrimenti non interesserebbe, nel senso che fa qualcosa che non è soltanto eredità del passato ma con gli elementi del passato viene a fare altre cose. Anche la psicanalisi ha bisogno di potersi rinnovare e con ogni generazione c’è un rinnovo delle parole della psicanalisi, dei nuovi modi di designare il godimento.

Mi sono soffermato a lungo sulla questione dell’oggetto ma se Lacan avesse voluto parlare del modo con cui noi siamo fabbricati, delle lettere primordiali,  o se Freud avesse detto che ciò che interessava in una psicanalisi è come le lettere primordiali vanno a fissare il destino di ognuno, anche se è rinnegato, rimosso, forcluso, perché fanno comunque ritorno nella vita e questo ne fissa l’orizzonte, se avesse voluto dire questo non avrebbe avuto bisogno di un punzone ma avrebbe potuto trovare una scrittura più semplice. C’è da chiederci quindi come mai ha utilizzato uno strumento matematico che sembra in un certo senso sottomettere questa letteralità ad altre dimensioni logiche che non ci aspetteremmo, ossia a qualcosa che non sia strettamente legata alla prima infanzia del soggetto, al suo ingresso/uscita dalla nevrosi infantile. Nel punzone c’è una moltitudine di possibilità di lettura logica. Si può decomporre il punzone in parecchie logiche formali. Per esempio: “se questo allora quello” – che è molto forte nella logica dell’ossessivo, ossia  “se faccio quello allora capita questo”. Poi avete tutte le questioni dedotte dalla logica del possibile e dell’impossibile, del possibile e del necessario e si percepisce come Lacan durante il suo seminario segua tutta l’evoluzione della logica classica fino alle logiche più moderne, quelle che chiamiamo logiche fluide o liquide. Sono interessanti perché si può dire una cosa senza contraddizione: si può dire una frase e il suo contrario senza contraddizione. E’ stata utilizzata in tutta la costruzione dell’identità sessuale. Se si può trasformare una donna in uomo, e all’epoca ne avevano parlato molto, è perché la logica formale che utilizzavano lo permetteva. E’ importante perché il punzone supporta per Lacan tutti i rimaneggiamenti possibili della logica formale. Non si interessa a questo perché vuole fare della matematica ma perché il punzone fa valere ciò che non apparirebbe in altro modo, quello che appare di più intimo sul fantasma, il più singolare ( ognuno ha il proprio grazie al punzone), ossia il fantasma di ognuno di noi parla del disagio della società e allo stesso tempo anche del disagio della civiltà. L’esempio di Freud è un esempio molto classico: “sono picchiato”e  sono molte le  persone che si presentano sotto questo enunciato freudiano. Capita spesso nelle cure che una frase fabbricata diversamente non abbia niente a che vedere con “sono picchiato”. Ci sono molti ingressi in analisi attraverso questa frase: i diritti, ciò che si deve, i diritti del corpo,ecc.( Melman ha raccontato tutti i diritti singolari) e questo “mi si deve” ha molto spostato il colpo freudiano “sono picchiato”. E’ vero che le scoperte scientifiche giustificano questo “mi si deve”, ma quello che è interessante è che il punzone supporta le metamorfosi possibili nell’intimo delle mutazioni logiche del campo sociale. Avete a disposizione una scrittura soggetta a trasformazione,  non una scrittura sottoposta a fissità, ossia non sono semplicemente le quattro lettere cadute quando aveva un anno che hanno fissato tutto un orizzonte letterale, ma se queste lettere incontrano altre logiche letterali questo fatto è permesso dalla scrittura del punzone. Non si può prendere tutto dal lato immaginario, ma ciò che è immaginario è il problema clinico precedente: sembra che in questi piccoli pazienti un fenomeno allo specchio sia stato precoce e in qualche modo abbia fatto difficoltà nell’identificazione. Il problema comunque non è questo perché a questo buco nell’immaginario è venuta a rispondere una logica, ossia un discorso prodotto prima dalla medicina e poi dal diritto che poi dato disposizioni nel Reale, ossia la trasformazione del corpo e del nome. Quindi, partendo da una discussione apparentemente immaginaria si è  messa totalmente in circolazione la dimensione del Simbolico e dell’Immaginario. Per quanto riguarda le psicosi si dice che un delirio è immaginario, anche se il delirio produce degli effetti, ma la definizione del delirio resta immaginaria. Quindi, l’immaginario non è da intendersi come una categoria minore nell’economia delle consistenze.

Dr.ssa M.Drazien : “ Non qualsiasi cosa del Immaginario è un fantasma, forse ci vorrebbe una definizione di ciò che è il fantasma”.

Dr. JJ Tyszler : Nel mio libro sul fantasma ho preso qualche esempio letterario tra cui l’esempio di Kafka. Si può dire che Kafka è il fantasma di tutti perché effettivamente è stato picchiato da suo padre, ma questa è una banalità. Quando Kafka comincia a raccontare tutto ciò si esce dalla banalità, ossia nel momento in cui Kafka ha la capacità di andare a cercare la forza delle lettere quando era piccolo ed era sotto l’induzione molto particolare del padre, quando lo trattava come uno scarafaggio. E’ interessante il significante stesso: scarafaggio, e il padre aggiungeva che tra le specie animali è una delle più schifose, perché è un uccisore gratuito. E’ interessante perché quando scrive la lettera al padre si chiede quali siano le lettere che sono entrate forzatamente nel suo corpo, quale parola precisamente, quale parola fa di se stesso questo essere in difficoltà, dal momento che per tutta la sua vita è rimasto in difficoltà. Come tutti gli altri geni ha la capacità di andare ai bordi di tutta questa letteralità, non solo per descriverla e non solo per aver fatto un lavoro verso il passato. Per sua fortuna  aveva dello stile ed è diventato quello che conoscete tutti. “La metamorfosi” si può considerare un trattamento particolare del significante. Qui non si parla tanto di fantasma, ma si può dire che l’odio del padre è venuto a produrre una defezione. Il vantaggio della frase “sono picchiato dal padre” è almeno che la scena è costruita, è protetta, c’è una scena. Sembra che, da quanto dice Kafka stesso, c’è un punto di attacco, di defezione in questa finestra che lui ha potuto, per fortuna, portare nella sua opera, non come per uno psicotico. Non è lo stesso problema di Joyce, ma si tratta di un attacco in un punto di defezione della finestra che ha fatto sì che al posto della metafora abbia prodotto delle metamorfosi. Ci si può fermare anche qui, perché è bellissimo quello che racconta Kafka, ma non darebbe tutta l’ampiezza che Lacan vuole dare al sociale, perché Kafka pone la stessa questione di Freud nella cultura, ossia che nella sua epoca era come se il padre avesse disertato. E’ la questione di Freud, ossia entrambi portano la propria difficoltà personale al livello del secolo, della cultura. Ci sono molti altri autori attorno a Vienna in quegli anni ( Kafka viveva a Praga ma l’ambiente intellettuale era lo stesso), autori che trattano di una questione intima, una difficoltà personale, una difficoltà della loro infanzia e portano questa questione al livello parossistico perché trovano altrove l’odio del padre. E’ questo approccio che mi interessa nella scrittura di Lacan, ossia non solo che si può riferire quello che è più intimo della storia personale, come nell’isteria la seduzione, ma come questo è stato detto, ossia quali parole sono entrate nel corpo. E questo fa si che un’ isterica non è mai simile ad un’altra, altrimenti non varrebbe la pena di fare delle cure ma di fare un film uguale per tutte. Nel seminario “La logica del fantasma” c’è un passaggio più difficile sulla scrittura dell’Altro. Se lavoriamo sempre avvicinando l’identificazione al fantasma si può pensare che c’è sempre un ruolo che prepara la tirannia dell’Altro, ci sono dei significanti che ti impongono gli altri: es. lo scarafaggio, ma senza nessun vuoto, per cui si ritrova per questo annodamento da un lato la logica dell’Uno, dell’identificazione e dall’altro lato, oggettuale, il mio desiderio. Quando incontrate uno psicotico non potete seguire il lato dell’Uno totalizzante e insieme quello degli oggetti. Potete aver reperito i suoi oggetti: es. lo sguardo persecutorio, mentre altre volte siete colpiti dalle megalomanie dell’Uno all’opera, ma nella cura non si può lavorare sui due bordi contemporaneamente. La struttura sfugge a questa presa che può mantenere un vuoto che permetta questo tipo di scrittura. Si ricevono soltanto messaggi diretti del tipo tirannico, come il piccolo Kafka. Piero Citati racconta che Kafka ha sempre vissuto il suo rapporto con l’altro “dice che c’era sempre l’impressione che vi sia un vetro che li separa” e quindi si comprende come sia  questo posto vuoto del desiderio. Non è psicotico ma c’è una difficoltà per lui tra questa attuazione del colpo dell’Uno e il luogo per desiderare. Ma la stessa scrittura dello punzone permette questo. Per darvi un esempio meno letterario, si può ricordare quello che Freud porta sull’uomo dei lupi, riguardo i problemi di sessuazione, come pensa i significanti che a quell’età (un anno, un anno e mezzo) sono incorporati. Quello che mi ha impressionato in Freud è questo materiale  molto precoce perché dice che il bambino accoglie ad un anno e mezzo un’impressione alla quale non può reagire, riceve qualche cosa di sessuale, la scena, ma una scena ripetuta tre volte  (per Freud qualcosa si deve ripetere per avere senso).

E’ importante per Freud la questione della ripetizione. già in Schopenauer Freud dice che il bambino non può comprendere la scena, per cui la vede ma c’è un buco nella significazione, c’è un effetto, è colpito e dunque non la comprende, mentre la riprenderà a 4 anni in occasione di un’altra scena sessuale.

E’ interessante in Freud che il bambino a 4 anni (non è un bambino grande) fa ritornare la scena primaria. C’è questa teoria della pre-reazione, ossia ci sono degli elementi identificati ma privi di significazione che vengono in luce, ma il paziente ci arriverà soltanto due decenni dopo nella sua analisi, nella sua cura, attraverso il transfert, a cogliere che cosa fosse veramente capitato.

E’ appassionante vedere come Freud pensi ad una scena, perché quello che chiama scena è una visione che fa buco. Rimane l’affetto, la percezione di questo, che poi è dimenticato. Tre anni dopo ritorna, ma il bambino non sarà in grado di darle piena significazione. Sa però che qualche cosa che lo ha colpito è stata molto importante e, come in un “bambino viene picchiato”, questa cosa è leggibile soltanto all’interno del transfert.

Questo è importante nella psicanalisi, ossia ci vuole un indirizzo per leggerla, non si può leggere da sola, ci vuole una direzione perché il significante prenda una rappresentazione. Quindi, come dice Lacan,  nel transfert degli elementi di fissazione primordiale prendono una logica, cominciano a scriversi logicamente. E’ interessante perché Freud non si ferma a questo, ossia si domanda ogni volta qual era l’ambiente attorno alle parole, il tessuto significante attorno a tutto ciò.

Dice: va bene, ho la scena sessualizzata, ma questo non mi è sufficiente, bisogna che comprenda come la lingua ha veicolato ciò, ossia le modalità di godimento. Quindi ritorna su una piccola frase molto semplice, perché la mamma dell’uomo dei lupi accompagna alla porta un medico che aveva chiamato (aveva dei dolori dovuti alla digestione) e l’uomo dei lupi racconta la frase che ha sentito dall’altro: la mamma ha risposto al medico “non posso più vivere così’ ”. Sembra una frase piccola, corta: “non posso più vivere così”, ma Freud, come per “un bambino viene picchiato”, dice che questa frase sarà determinante nella sua vita, ossia sarà incorporata da parte del bambino e accompagnerà in un certo senso tutta la vita del paziente. Apparentemente è una frase non legata ad uno scenario sessuale, ma è il bambino, come spesso capita, che va a  fare questo confronto tra le scene di sessualità e i dolori della mamma.

Freud dice che farà un conglomerato che conserverà nella sua memoria, spostando i dolori da ciò che  per lui era la causa vera.

La curiosità di questo caso è che per tutta la sua vita l’uomo dei lupi si lamenterà dei dolori dovuti alla digestione; è un caso con tutta la sua particolarità di cui il termine era l’ipocondria, diagnosi molto discussa da Marcel Czermack e Charles Melman e non solo da loro.

Quando Lacan ha letto questo, nel dire “ritorno a Freud”, deve aver letto il testo, così come faccio con voi, e deve aver reperito come una scena si costruisce in tappe successive la cui  ricostruzione non è possibile senza il transfert. Così anche la frase “sono picchiato dal padre” è una costruzione per l’analisi.

C’è quindi questo aspetto della scena, ma ciò di cui era appassionato Lacan è che Freud non si ferma alla scena, ma si domanda: “ma il godimento, che ritorna nei dolori digestivi condivisi tra l’uomo dei lupi e la madre, è veicolato da quali parole? Perché questo non è nella scena sessuale e quindi Freud va a fare un lavoro di polizia, va a cercare queste parole come Sherlock Holmes, le tracce di una piccola frase, come per Kafka, la formazione di una piccola frase :“non posso più vivere così”, che però il bambino ha ricevuto con dramma; questo ha comportato una difficoltà per l’attuazione del fantasma.

Penso che questo sia il doppio lavoro di Freud, ossia chiedersi quale significante si sia iscritto nel corpo, quali sono le lettere che hanno oltrepassato il bordo del corpo (e sappiamo che questo esiste perché il godimento del corpo ne porta traccia). Freud non inventa niente, perché l’uomo dei lupi ha gli stessi dolori della madre. Per essere completi c’è un altro aspetto nel punto in cui siamo nel rapporto con Freud, perché Freud tratta questo caso dal lato dell’ analità  (stadio anale).

Freud ha sempre delle risposte attraverso le topiche che utilizza, quindi le sue conclusioni teoriche possono sembrare poca cosa rispetto al materiale che ha messo a disposizione all’inizio. Sappiamo che la frase della madre “non posso più vivere così” è la frase esatta dell’uomo dei lupi quando va a lamentarsi del suo corpo. Non dobbiamo avere una visione troppo rigida perché il seminario dell’uomo dei lupi è il seminario zero in Lacan. Lacan fa un’analisi tecnica sul transfert di Freud, non si interessa soltanto della tipologia clinica, ma dice di pensare che Freud abbia fatto un errore di tecnica, (anche se la sua osservazione vale per quello che vale) e dice quindi che Freud si è messo troppo nella posizione del padre nel transfert. Non si tratta di sapere se sia vero o no, ma è interessante che pensi la tipologia clinica anche in rapporto alle manovre del transfert, ossia pensa che una certa posizione di Freud abbia precipitato l’identificazione del godimento.

Cosa fare di tutti questi tessuti di parole, di lettere, per non renderle lettere morte? In queste questioni del fantasma ci sono anche delle questioni di tecnica analitica interessanti.

Non facciamo un lavoro da archeologi, non andiamo a dividere le lettere precipitate. Ecco perché Lacan termina con il tema “le modalità del godimento”: se le lettere sono portatrici di queste modalità differenti di godimento, quando interpreta un paziente su quale lato lavora? E’ interessante che nel suo lavoro, rimettendo il fallo da una parte e la causa del desiderio da un’altra, forse troviamo anche un senso di inquietudine rispetto a questa prima attuazione, ossia c’è un grandissimo rispetto per il testo di Freud, ma anche delle interrogazioni circa l’evoluzione della psicanalisi.

Non è sufficiente dire che noi non facciamo come Freud, ma ci sono degli interrogativi da porsi senza dare lezioni. Ho lasciato completamente da parte la questione del fantasma femminile, ma richiede tutto un lavoro sul seminario “Encore” che non è proponibile in breve tempo. I cambiamenti sociali, il luogo delle donne, la posizione delle giovani donne: bisogna appunto interrogarsi su come si organizza la lettura fantasmatica o la libertà che una giovane donna prende in rapporto con questioni del genere.

Questo non è direttamente in Freud, ma bisogna parlarne partendo dal materiale di oggi. Ho lasciato da parte la questione della defezione del fantasma che prevede altri problemi che riguardano la psicosi. Mi sembra che nel momento in cui Lacan scrive questo, la topologia che accompagna questo sforzo è una topologia di tagli sulle superfici. Vandermersch, Czermak e altri autori hanno raccontato come per leggere questa formula topologica si serviva di superfici sulle quali faceva dei tagli, ossia diceva : ho il tessuto del significante e il significante è intaccato dai colpi di forbice. Così quando utilizza la questione della bottiglia di Klein, per dimostrare come i messaggi provengano dall’altro la taglia in varie forme a seconda che il messaggio sia diretto come nella psicosi o al contrario.

Il problema è che tutte le scritture del fantasma sono legate a questa topologia delle superfici. In una cura la questione dell’oggetto può essere designata e separata (all’epoca c’erano vari slogan tra i Freudiani), e c’è l’analisi con l’attraversamento del fantasma. L’attraversamento del fantasma è rimasto enigmatico.

Dopo aver fornito questa clinica ancorata sulla topologia delle superfici, Lacan passa stranamente ad un’altra matrice, ossia la clinica dei nodi. In una cura siamo in difficoltà ad identificare l’oggetto, quando separato, mentre questo sembrerebbe essere invece il garante della tenuta insieme delle grandi categorie che Lacan utilizza da sempre, già negli anni ’50: Reale, Simbolico, Immaginario.

Sembra dire che il lavoro sull’oggetto causa del desiderio, ossia l’oggetto che fa buco nella letteralità, è ciò che è garante della tenuta insieme possibile. C’è un punto là che meriterebbe di essere chiarito, cioè che una cura non porta verso una separazione dall’agalma, perché altrimenti vi potrebbe dare l’idea non di una psicanalisi strutturalista, ma completamente determinista, ossia  pensare che le prime lettere rimosse, quasi forcluse dice Marcel Czermak,( perché di queste non ne abbiamo memoria), forcluse dal tessuto primitivo, si sessualizzino.

Se pensate che questa sia la totalità di ciò che c’è da dire, ossia che tutto il lavoro di una psicanalisi sia di identificare questo agalma, date una versione completamente determinista di ciò che si chiama psicanalisi, mentre in un certo senso le lettere nel nodo borromeo e la loro stessa scrittura, come per il punzone, sono molto mobili.

Possiamo dare molte forme di scrittura del nodo. Ciò che forse interessava a Lacan, a quel tempo, era l’incontro di queste lettere primitive con tutti i vicinati letterali possibili. Così come un tipo geniale come Joyce ha potuto fare con la sua follia e questo verrebbe a reinterrogare ciò che si può chiamare strutturalismo in psicanalisi.

Quello che io oggi chiamo “Le Nom du Pere” è ogni volta che un incontro attualizza questo patto letterale. Non sono incontri di numero incalcolabile, ogni volta che un incontro fa patto si può chiamare questo “Nom du Pere”, e questo dà al nome del padre un’iniziale per distinguere la nevrosi.

Tutto questo non è facile perché, nel migliore dei casi, siamo stati formati alla scuola della clinica delle superfici.

 

 
Trascrizione a cura di Isabela Duma

non rivista dall’Autore

 

 

Sabatoì 15 dicembre 2012

Laboratorio freudiano Roma – Via Corsini, 3

 

Dr. Jean-Jacques Tyszler

Che cosa è la scrittura del fantasma?

Dr.ssa M. Drazien : il fantasma è uno di quei significanti che sono entrati nell’uso comune, per cui tutti pensano di sapere cos’è un fantasma. Ma quale importanza ha nell’ambito della cura? Sappiamo che il fantasma emerge da un discorso ed è un elemento specifico della clinica. Ma come possiamo individuarlo meglio ? Il fantasma non fa parte dei “concetti fondamentali della psicanalisi” di cui parla Lacan nel suo seminario 11. Quindi apparentemente Lacan non l’ha considerato tale, alla stregua di altri, come il trasfert, la ripetizione, l’inconscio e la pulsione. Il fantasma è stato quindi un po’ trascurato, per cui trovo molto importante l’apporto del Dr Tyszler alla questione.

Dr. Tyszler : In questo volume ci sono molti esempi clinici e questo spiega perché non è ancora un testo  completo né pubblicato  dato che non è semplice parlare di questi casi che sono tuttora in corso.

Vorrei ora aggiungere qualcosa a  proposito dell’oggetto sguardo . Ieri non ho avuto occasione di parlarne molto, ma potremmo definire il fantasma come una scena supportata da una frase. Freud dice che si tratta di una scena masturbatoria, nel senso che procura subito un godimento sessuale sia nel ragazzo che nella ragazza. Dal momento che è una scena, il fantasma è  legato allo sguardo. L’oggetto sguardo, in qualche modo da questo punto di vista è ubiquitario, è una condizione sine qua non, quindi obbligatoria. Vi sono dei casi in cui l’oggetto sguardo diventa l’oggetto stesso del fantasma, per es. se si pensa a dei casi di feticismo erotico in cui l’oggetto del fantasma si specifica come oggetto dello sguardo , ossia l’oggetto sguardo sembra essere la costruzione stessa  del fantasma.  Lacan ne parla anche attraverso esempi clinici in un seminario leggibile dedicato all’”angoscia”. Intendo dire che alcuni seminari di Lacan, come quello dedicato alla famiglia di Velasquez, sono molto difficili da leggere , così come quello sulla logica del fantasma perché  si ha l’impressione che non stia parlando del fantasma e ne risulta così difficile collocarne la questione. Nel seminario sull’angoscia, invece, affronta delle questioni molto cliniche e parla, per es. dell’immagine o meglio, come diceva un tempo, dell’”imago” e ne offre dei brevi esempi clinici. Quando noi stessi ci guardiamo allo specchio quello che abbiamo di fronte, ossia il nostro volto, la nostra altezza, la nostra forma e persino i nostri occhi, ossia la nostra immagine, lascia sorgere la dimensione del nostro sguardo. Da questo punto il valore dell’immagine comincia a cambiare e molto spesso quando ci guardiamo così sorge un sentimento di estraneità che è la porta aperta per l’angoscia, come ognuno di noi ne può avere esperienza.   Anche nella clinica attuale si trovano molti esempi di tutto ciò, soprattutto nei bambini e negli adolescenti. Si sa pure che l’idea stessa dell’immagine è maggiore per le donne e in psicopatologia troviamo come segni dello specchio una serie di disturbi psicotici riconosciuti, ossia nel caso in cui il soggetto non si riconosca in un certo senso allo specchio. Tutto questo ha molto interessato Lacan, a partire da una clinica quotidiana, e ne dà una formula singolare:”il passaggio dall’immagine speculare a questo doppio che mi sfugge”, ossia ci si guarda ma la nostra immagine ci sfugge , c’è qualcosa che non funziona. Aggiunge che questo punto d’angoscia, che talvolta in clinica chiamiamo depersonalizzazione o derealizzazione,  pensa che sia la funzione dell’oggetto. Questo piccolo esempio ci permette di capire come si possa passare attraverso un oggetto che è apparentemente facilmente situabile, per cui posso dire “quella è la mia immagine”(ognuno di noi ha la propria forma, statura e immagine), per cui apparentemente è reperibile. Così posso anche dire che se do una fotografia di quest’immagine a qualcuno, si tratta di un oggetto che posso scambiare. E’ interessante quindi perché parliamo di un oggetto che apparentemente si può situare da qualche parte del campo fenomenologico, ma improvvisamente si produce qualcosa per cui quest’oggetto non è comunicabile ma comincia ad essere totalmente privato ed è in questa  trasformazione in qualche modo che Lacan andrà a definire la funzione dell’oggetto nel fantasma. Così dirà :” come avviene la trasformazione di un oggetto che fa sì che da un oggetto reperibile e che può essere scambiato si arriva ad un oggetto incomunicabile e tuttavia dominante che è il nostro corpo correlativo nel fantasma, cioè che ci accompagna nel fantasma.  Ecco come Lacan nel seminario “L’angoscia” parla di una nozione molto  considerata nella psicologia evolutiva, ossia l’immagine.

Per es. una mia paziente si preoccupava  molto del fatto che il suo bambino non riusciva a disegnare un uomo. Si trattava di una paziente di origine italiana e quando il pediatra ha chiesto al bambino di disegnare un “bonhomme” il bambino non sapeva cos’era un “buon uomo” in italiano…, (cioè un tale, una persona qualsiasi, ecc.), per cui non è riuscito a disegnarlo. Il pediatra allora si è preoccupato perché a tre anni “bisogna saperlo fare”…, per cui la madre si è molto angosciata fino a quando il bambino non è riuscito a disegnarlo. C’è quindi, come dice Lacan, un’immagine che apparentemente può essere scambiata, ossia comunicabile, situabile anche se , come aggiunge,  questo è vero e non lo è  nello stesso tempo. Infatti se si cerca di collocare in qualche modo la propria immagine sorge l’angoscia dal momento che la propria immagine non funziona e il mio sguardo va subito a riferirsi ad altro che è privato, fantasmaticamente privato,  che fa sì che quest’immagine apparentemente collocabile si trovi alla fine ad essere depersonalizzata. Si tratta di qualcosa di interessante perché appartiene alla clinica quotidiana, come per es. negli adolescenti che trascorrono molto tempo davanti allo specchio  dato che, senza essere folli, sanno che la loro immagine non è fissata una volta per tutte. Così si possono ritrovare questi disturbi dell’immagine, in particolare una defezione dell’immagine,  quando le persone invecchiano, senza per questo pensare che si tratti di demenza di Alzheimer o di altre forme degenerative .  Nel seminario sull’angoscia Lacan ricapitola tutto questo e afferma che vi sono due tipi di oggetto,da un punto di vista fenomenologico, ossia gli oggetti che si possono scambiare e quelli che non si possono condividere. E’ interessante perché introduce una funzione logica molto semplice, ossia che in ogni campo fenomenologico un oggetto può essere scambiato o meno,  ossia per es. possiamo visitare la mostra di Vermeer e condividere lo sguardo, ma se ci si ferma a fissare da soli un quadro tra noi e il quadro si produce uno scambio che non può essere condivisibile,  cioè si può condividere una parte dello scambio dello sguardo ma non si può condividere tutto il campo fenomenologico. Lacan considera quindi che gli oggetti di cui parliamo in psicanalisi, e qui occorre introdurre una piccola difficoltà, un paradosso, ossia che questi  oggetti sono cedibili, possono essere ritagliati dal punto di vista topologico. Così, per es. il seno,l’oggetto dell’analità, la voce e lo sguardo, di cui abbiamo parlato, sono degli oggetti che si possono cedere, cioè possono porsi all’interno della relazione con l’altro . Lacan dice spesso che il seno non si sa a chi appartenga, ossia appartiene al campo interrelazionale tra la madre e il bambino, quindi è un oggetto “ambocettivo” in un certo senso, dal momento che appartiene ai due campi. Tutti gli oggetti lacaniani sono in qualche modo cedibili, ma dal punto di vista fenomenologico non si possono condividere. Così il fallo immaginario non può essere condiviso con il vostro vicino, quando nel contempo la dimensione fallica è condivisa da tutti. Nella psicanalisi vi è quindi uno statuto dell’oggetto in qualche modo anteriore all’oggetto comune, come Lacan ne parla nell’”Angoscia”, non nel senso di un oggetto primordiale, ma neanche come gli oggetti prodotti dall’industria, bensì un oggetto umano che arriva dal punto di vista fenomenologico. Tutto questo  si comprende bene negli scambi dei bambini piccoli con l’altro, per cui non è l’oggetto comune, cioè non si può dire “do il mio sguardo” così come posso dare un bicchiere d’acqua. Questo seminario è interessante perché le puntualizzazioni che fa Lacan sono rigorose, con una logica molto ferrea  riguardo la descrizione di ciò che per lui è l’oggetto .  La sua descrizione dell’”oggetto sguardo” da un punto di vista clinico è per noi molto indicativa dato, per es.,  che anche oggi se vi fosse richiesto quale sia la vostra immagine non sapreste cosa rispondere.

Dr.ssa M. Drazien : la voce, il seno, lo sguardo, ecc. sono oggetti cedibili, ma se guardo qualcuno posso condividerlo.

Dr. Tyszler : il proprio sguardo privato non può essere “donato”, perché si guarda solo attraverso il proprio fantasma.

Dr.ssa J.JerKov : ma questo non dipende dal fatto che lo sguardo è sempre nel campo dell’Altro?

Dr.Tyszler: tutti gli oggetti lacaniani hanno questa caratteristica , ossia di appartenere sia al campo del soggetto che al campo dell’Altro. Se si riflette bene su cosa sia una voce ci possiamo chiedere a chi appartiene la voce interiore che ci guida (e qui ci aiuta l’esempio delle psicosi), ossia da dove viene questo messaggio che ci parla,oppure se nel sogno appartiene all’Altro o è semplicemente un mormorio.

Dr.ssa J.JerKov : ma quando Lacan parla della “macchia”a proposito dello sguardo dice che è un effetto di essere guardati attraverso l’altro.

Dr.Tyszler: Bisognerebbe ricordarci che quando Lacan riflette su situazioni cliniche la sua matrice non parte mai dal soggetto, mentre in psicologia si parte sempre dal soggetto, per cui quando Lacan parla di una situazione clinica parte sempre dall’Altro, cioè qual è la sua attuazione attraverso l’Altro, quindi sia l’Altro del corpo che l’Altro del linguaggio. Ma a partire dall’Altro non fa sorgere il soggetto, ma cerca l’oggetto che ne deriva, ossia a partire dal tessuto del Grande Altro, qual è l’oggetto che sarà specificato, in questo caso, per es., l’oggetto sguardo. Per il momento non c’è nessun soggetto, ma uno sguardo e da quest’oggetto andrà a specificarsi poi eventualmente un soggetto, dico eventualmente perché non avviene sempre. Questa è quindi la matrice lacaniana fenomenologica, per qualsiasi fatto clinico.

La nozione del soggetto in psicanalisi ha questa matrice e quindi  non è altro che l’attuazione d questa messa in gioco, perché altrimenti la psicanalisi non sa cosa sia un soggetto. Il soggetto è sempre supposto in psicanalisi ed è un effetto della psicologia moderna quello di farci parlare permanentemente del soggetto mentre in Lacan è solo un effetto logico di ciò che ci viene dall’Altro, di quello che viene prima di tutto a specificare un oggetto nel campo dell’Altro. Per es. come un bambino è stato incluso nelle fantasmagorie sessuali dei genitori, anche se in quel momento non è soggetto, ma oggetto.   Se se ne assumerà la responsabilità eventualmente può dichiararsi soggetto, ma se si considererà costantemente traumatizzato non sarà mai soggetto, potendo dire soltanto di essere stato vittima di…, ma qui non c’è soggetto, dato che ciò che interessa Lacan è il soggetto dell’enunciazione, ossia colui che dice là dove ero oggetto ora prendo la parola, secondo la formula di Freud : “là dove ero oggetto addivengo in quel momento”. Tutto questo non è obbligatorio, tanto che spesso nelle sedute d’analisi non c’è soggetto, per cui ci viene raccontato il discorso che viene dall’Altro, ma di tanto in tanto vi è un effetto di soggetto. Questa forma di attuazione è specifica della psicanalisi lacaniana, per quanto a mio parere è presente anche in Freud, anche se purtroppo i freudiani ortodossi vi hanno inserito dell’io immaginario che Freud non utilizza. Per es. quando Lacan usa la formula :”l’angoscia non è mai senza oggetto” si tratta di una bella formula e non è un’interpretazione, tanto che anche una mia paziente cui l’ho detta l’ha molto apprezzata. Lacan dice anche, a proposito del fallo, che  “un uomo non è senza averlo” e si tratta di una formula grammaticale, ossia un gioco della grammatica. Quando dico questo non è detto che si sappia di quale oggetto si tratti e trovo questo formidabile, ossia la frase in sé indica un posto, quindi c’è un’indicazione, c’è un oggetto, ma non è detto di sapere quale sia questo oggetto. Questo è quindi un  modo molto lacaniano, ossia è la grammatica stessa, il modo con cui  utilizzo la lingua che crea un posto per l’oggetto, senza dire “ecco l’oggetto”.  La sua concrezione resta quindi un mistero perché essa stessa è fatta di concrezioni letterali , per cui non posso dire ,al posto dei pazienti, di cosa sia fatta.

Questo precisa la posizione dell’oggetto in Lacan  e, per quanto ho potuto io stesso riassumere, si tratta  di un oggetto che da un punto di vista fenomenologico non appartiene solo al campo della percezione (se ci si fermasse solo al campo della percezione non saremmo nel campo della  psicanalisi), ma topologicamente lo stesso oggetto appartiene al campo dell’Altro . Sembrerebbe che non sia complicato dire “il campo dell’Altro”, ma per Lacan non si tratta nemmeno dell’altro che posso toccare, per cui può essere il corpo dell’altro, ma non sappiamo veramente cosa tocchiamo nel corpo dell’altro, perché per Lacan è nello stesso tempo l’Altro del linguaggio. Si tratta quindi di un campo fenomenologico alquanto  complesso in cui ci si reperisce attraverso delle formule che vengono in se stesse dalla lingua, ossia :“non è senza l’essere o senza l’averlo”, per cui gli strumenti che abbiamo per entrare in questo campo sono linguistici, naturalmente non nel senso della linguistica classica ma quello che Lacan chiama “la linguisteria”, ossia la linguistica psicanalitica. Si tratta cioè di operatori del campo della lingua, così  per es. quello che chiamiamo “fallo” è un operatore del campo della lingua, ossia è un operatore che permette di compiere delle operazioni paradossali nel campo della lingua. Ieri ho cercato di mostrarvi come Lacan riuscisse ad accompagnare mentalmente le logiche formali più complesse, ma  per sostenere delle logiche formali così occorrono degli operatori, altrimenti si diventa rapidamente folli.

Dr.ssa J.JerKov : dicevi che sono degli strumenti della lingua quelli che ci permettono di cogliere  l’oggetto e pensavo che fosse il bordo della significazione fallica. Nel nodo borromeo l’oggetto è all’incrocio dei tre registri, per cui il nodo ci permette di distinguere i bordi, reale, immaginario e simbolico dell’oggetto. Chiedevo quindi a Tyszler di dirci qualcosa sulla possibilità di operare e di far tesoro di questa differenziazione  che ci permette di fare il nodo.

Dr. Tyszler : è interessante riprendere la tua questione ma dall’inverso. Ogni volta che utilizziamo una parola occorre cercare di mettere in atto le tre categorie che Lacan utilizza, ma spesso non lo facciamo. Per es. se l’oggetto è una lettera possiamo provare a dare dei bordi alla lettera nell’esperienza umana. Così quando il bambino entra nella dimensione dello scritto c’è una dimensione ideografica che resta nel significante, cioè il bambino entra nella lettera attraverso il disegno, come avviene, per es., nella tradizione araba o nella calligrafia, come pure in alcune tradizioni orientali (in particolare quella cinese).Quindi è molto importante l’ingresso nella lettera attraverso il bordo immaginario. La lettera ebraica primitiva ne porta ancora la traccia. Per es. la lettera Aleph porta la traccia ideografica del toro. Si tratta quindi di un bordo immaginario che resta ancora attivo, contrariamente a quanto si pensa. Levi Strauss  lo dice benissimo quando parla di un bordo ideografico del significante che dimentichiamo spesso, ossia in un significante resta spesso una traccia della sua forza ideografica, cioè un attaccamento all’immaginario molto forte. L’elemento simbolico puro della lettera si rinviene quando il bambino capisce che quando deve scrivere il proprio nome occorre che identifichi, separandola, ciascuna lettera. Quindi riconosce che la lettera è la stessa ma per riconoscerla occorre separarla dalle altre lettere. A questo punto,( non so se avviene tra i tre o i quattro anni), entra in un gioco simbolico puro e non potrà scrivere le stesse lettere allo stesso posto, perché sarebbe difficile. Questo richiede un certo tempo nei bambini perché possono scrivere una lettera in alto a destra, oppure in basso a sinistra, per cui hanno una gestione dello spazio simbolico molto particolare. Forse questa è una libertà formidabile che poi perdiamo, mentre poi , al contrario, diventiamo  superordinati , per cui c’è un lavoro molto importante che è una forzatura simbolica e che quindi all’inizio deve avvenire di forza. Se questo non avviene e il bambino si ribella a questa fase d’ingresso si possono avere dei disturbi gravi dell’apprendimento fino alle psicosi infantili. Questo quindi introduce nel legame sociale, nel legame fallico, una difficoltà. Nello stesso periodo viene introdotto un altro bordo della lettera che secondo me è molto più reale, ossia il bordo ingiuntivo della lettera. Negli stessi anni il bambino comincia ad apprendere i numeri ma il modo con cui l’inconscio fa i calcoli, l’automaticità nel fare di conto,  è già qualcosa che appartiene al reale, ossia l’inconscio conta i colpi e dà conto di questi colpi, cioè si tratta del versante reale del fantasma : “un bambino viene picchiato”, ossia nella vita tutto si paga. Questo quindi non è qualcosa che appartiene solo al simbolico. Oggi tutti si lamentano nel modo sociale o nei luoghi di lavoro, ma non si ha a che fare con dei discorsi simbolici, ossia non si ha a che fare con il versante simbolico della lettera e nemmeno con quello immaginario, ma si ha a che fare con degli ordini di tipo cifrato, ossia è la contabilità che guida. Non è un discorso ma è un ordine del reale e l’inconscio lo riceve perché era stato preparato molto presto all’aspetto reale della lettera. Il bambino quindi a quest’età mette in opera  la lettera nel suo rapporto con il simbolico che nel migliore dei casi porterà ad un discorso e poi subentra  il versante imperativo, quello cifrato, che da un certo punto di vista viene dall’inconscio che conta i colpi e ogni colpo si paga. Questi sono i diversi versanti che fanno sì che quando un bambino disegna una piccola asta, per es. a due anni, nelle aste c’è già dell’immaginario perché la mano prova un piacere nel produrre questa traccia (per es. in pittura la traccia è molto importante). Il bambino sa che un’asta è un’asta e comincia a ripeterle, per cui nel modo più semplice, attraverso questa ripetizione,  entra nel simbolo. Tende quindi a separare molto velocemente le piccole aste dai cerchi. In genere quando una maestra di scuola elementare chiede ai bambini di disegnare delle aste fanno sempre dei piccoli cerchi, per cui i bambini non amano che si chieda loro forzatamente di disegnare delle aste, ma nelle aste c’è già il colpo del reale. In francese si usa lo stesso termine per indicare dei colpi.

La questione dei numeri per l’inconscio è molto interessante. Nella Bibbia c’è un libro che si chiama “Libro dei numeri” che è molto interessante perché qui si vede che c’è un modo particolare nell’utilizzare i numeri nella Bibbia. Evidentemente nella Bibbia è Dio, l’Altro che parla e per es. Dio dice che non si possono enumerare le tribù di Levi, che era la tribù più vicina a Mosè ed era a protezione del Tabernacolo . E’ interessante perché nella Bibbia si dice che possiamo enumerare tutto, per cui ogni tribù ha un numero, ad eccezione della tribù di Levi cui Dio interdice tale possibilità. Mantengono una funzione reale, ossia ce ne è uno che dice di no al numero, ossia c’è un buco nella numerazione. E’ interessante ed è per questo che Lacan leggeva spesso i testi biblici, perché vi trovava l’attuazione del Reale, Simbolico e Immaginario.

Sapete che in psicanalisi lacaniana si utilizza molto il Nome del Padre. Si dice che sia la funzione simbolica, per eccellenza,  che permette ogni esercizio della metafora nel linguaggio. Ma quando Lacan riprende la propria terminologia si chiede “cosa volevo dire quando ho detto il Nome del Padre?”e quindi disarticola la frase stessa, la riprende e va ad aprire le parole nei loro diversi versanti per farle intendere diversamente. Per es. possiamo dire :il Nome del Padre (scandendo le parole), per cui è sufficiente aprire uno spazio in cui Padre può essere sì il  significante Padre mentre cos’è il Nome? Certo non  è un simbolo . Dice quindi che le lettere di questo “Nome” non sono una metafora. Nel seguito del suo seminario c’è un tutto un lavoro che tende ad aprire il Nome del Padre  sottoponendolo alle categorie del Simbolico, dell’Immaginario e del Reale.  E’ interessante quindi che ogni termine, che sembrerebbe evidente, di uso quasi quotidiano, è invece ripreso da Lacan e riaperto per essere ricollocato spesso nelle categorie del Reale, Simbolico e Immaginario, persino un grande significante come il Nome del Padre. Nel mio seminario ho preso dei piccoli esempi tratti da Lacan dai “Racconti di Montpassant”, in particolare “Orland”. Quando questi si guarda allo specchio percepisce una figura che gli si presenta di schiena. In  francese l’autore lo chiama “fantome”(spettro), che ha la stessa etimologia di “fantasma”. In Brasile non è stato possibile tradurlo perché lì quello che noi chiamiamo “fantasma” viene chiamato spettro( per cui traducevano “La logica dello spettro in psicanalisi…”). Non è falso rispetto all’esempio che usa Lacan per l’immagine speculare, perché quando questo vede un suo doppio fantasmatico nello specchio  vede l’immagine di schiena, per cui ne rimane un po’ stupito. Ad un certo punto lo spettro si volta e lo spettatore vede che si tratta di lui stesso.  Si vede qui il problema del doppio: il doppio era di schiena, è un fantasma,uno spettro e quando si rigira lo spettatore ricade sulla sua propria immagine. Ci sono molti romanzi che raccontano questo genere d’esperienza, tanto che anche Freud parla di un momento di derealizzazione della propria immagine. Lacan dice che è qualcosa che appartiene al reale, non di qualcosa dell’immaginario, né può essere simbolizzato perché non abbiamo le parole per descrivere quello che accade, ma si riferisce ad un punto dell’impossibile nello sguardo e dice che il reale non fa che ritornare in questo stesso luogo, nel senso che qualcosa era già là, come se lo spettro fosse già là e non fa che ritornare nel momento in cui il soggetto cerca di riguardarselo.

E’ interessante questa psicopatologia molto comune e che è ben descritta dagli autori i quali raccontano come ciò che è immagine speculare diventa un’immagine invadente del doppio, anche se ognuno deve percepirlo personalmente, per quanto non a tutti capitano episodi così caratterizzati. Da un punto di vista clinico è curioso che  non sappiamo cosa sia una schiena, nel senso che parliamo molto dell’immagine del corpo ma non abbiamo alcuna idea della nostra immagine del corpo, nel senso che ci si può vedere nella nostra immagine solo davanti mentre tutto ciò che è dietro è forcluso.  Così il protagonista del romanzo si vede di schiena e poi si volta. Si dice che certi  bambini autistici che non si lasciano toccare si lascino avvicinare solo di schiena, quando gli si mette la mano sul dorso. Anche in Becket  troviamo un passaggio interessante al riguardo. Becket  è come Joice,  nel senso che aveva un rapporto con il padre molto particolare. Qualcuno dice che fosse melanconico, anche se non lo credo, per quanto si ponesse su un versante un po’ singolare, non come Joice anche se condivideva con Joice la difficoltà con il Nome del Padre.  Racconta molte  cose su quando ci si trova in luoghi oscuri,quando non possiamo collocare il nostro sguardo e qualcosa comincia invece a parlare nel buio, parla di schiena nell’oscurità. Si possono trovare molte evocazioni cliniche di Becket  su questo spettro.

Dr.ssa M.Drazien : non ho in mente il racconto di cui parli, ma ciò che tu distingui, cioè vedere di schiena ciò che si rivela essere il soggetto stesso, sempre supposto, ha qualcosa di heimlich. Penso che ci sia un legame molto stretto tra l’heimlich e il fantasma, ossia con ciò che si chiama lo spettro che è più parlante del fantasma.

Dr. Tyszler : è interessante questo termine di heimlich  che in francese è molto difficile da tradurre, per cui è stato reso come “inquietante estraneità”, ma un heimlich è una parola costruita su un termine che significa “nella propria casa”, quindi sarebbe come trovarsi nella propria casa con ciò che vi è di più familiare. In genere quando si è in una situazione che è tra le più familiari, abbassiamo la guardia, in qualche modo, cioè non c’è bisogno di essere armati. Quindi Freud dice che all’interno di ciò che vi è di più familiare, si produce qualcosa, un punto d’angoscia,  un qualcosa che va a creare un effetto di derealizzazione in una situazione che per noi è di più familiare. Nella filmografia il più grande specialista di tutto ciò è Hitchcock, che voi tutti conoscete. Per es. si vede qualcuno che si trova sul balcone di casa sua, quindi di fronte ad un paesaggio abituale, che gli è familiare, in cui improvvisamente sorge qualcosa, non sa cosa, ma l’angoscia lo colpisce e tutto comincia a vacillare. Un  heimlich significa tutto questo, cioè all’interno di ciò che ci è più familiare sorge qualcosa.

Dr.ssa C.Tyszler : unheimlich ha a che fare con la defezione del fantasma,con la porosità estrema del punzone. Il fantasma è anche ciò che permette che il nostro universo esista.

Dr. JJ Tyszler : in qualche modo è allo stesso tempo familiare e estraneo

Dr.ssa M.Drazien : ogni volta che sorge un fantasma c’è qualcosa di molto familiare e intimo, come hai detto ieri, ma anche qualcosa di heimlich, una situazione onirica che percepiamo e che non sappiamo se sia reale, sogno o altro, quindi penso  che quando un fantasma sorge avviene qualcosa che intimidisce anche chi produce il fantasma.

Dr. JJ Tyszler : penso che sia molto interessante. In tedesco questa parola è molto più forte che in francese in cui nella traduzione si è persa la forza del testo tedesco. Quindi  Il fantasma è ciò che ci è molto familiare ma la cui crudeltà è assoluta, ossia fa e disfa nello stesso tempo, è sempre al limite di ciò che ci permette di annodare e contemporaneamente ciò che è al limite della rottura, una finestra si apre e insieme  ci distrugge, anche effettivamente nell’esempio “un bambino viene picchiato”. A questo proposito ci sono dei testi di Freud molto belli. Lacan dice che ha appreso da Joice..non è facile sempre rendere conto di come Lacan scivoli, senza mai fermarsi, dall’oggetto in quanto oggetto del corpo alla lettera, ed è per questo motivo che scrive “oggetto piccolo a”e dice che questa intuizione l’ha presa da Joice, nello scivolamento semantico che Joice fa in inglese tra “lettera” e “litter” (spazzatura), affermando quindi che una lettera è una spazzatura. Per es. nel seminario “l’angoscia”, quando scrive sugli occhi di Edipo si comprende come descrive Edipo passando dall’oggetto scarto all’oggetto significante. Così dice : “Edipo vede ciò che ha fatto” e poi continua “vede”,  ecco la parola cui miro”, cioè dice vede perché Edipo arriva ad accecarsi, quindi dice: “Edipo vede i propri occhi strappati e gettati al suolo”, per cui diventano un mucchio di spazzatura perché li ha strappati dalle proprie orbite.  Lacan quindi usa una formula grammaticale :”ha perso la vista”, cioè si è strappato gli occhi, ma tuttavia non è senza vederli, da cui lo straordinario gioco dei significanti, ossia da un certo punto di vista è cieco, ma per un’altra via vede in quanto l’oggetto causa è svelato, l’oggetto causa del fatto di aver voluto sapere troppo. Quindi non soltanto è cieco, ma vede altresì gli occhi,  e in più da quel momento si dirà che Edipo è diventato veggente, ossia potrà vedere l’avvenire e vedrà il futuro della storia. E’straordinario come Lacan utilizzi la stessa parola “vedere”, per cui gli occhi sono diventati oggetti di scarto, spazzatura, ma alla fine può vedere questa spazzatura e da queste stesse lettere (vedere) diventa veggente. E’ da notare la prossimità tra vedere e sapere, cioè saprà ciò che diventerà Atene . Naturalmente conoscete il seguito della vicenda, ossia la storia di Antigone,  che porta ugualmente in sé un sapere, cioè quello di suo padre che si è strappato gli occhi, e nello stesso tempo sa quanto ella debba alla legge. E’ bello questo passaggio di Joice da letter a litter, cioè l’oggetto scarto diventa le lettere di un destino, quello di un uomo e della sua discendenza, ma anche quello di tutto un popolo. Ecco come un oggetto individuale può diventare il destino del popolo stesso, ciò  che gli antichi chiamavano il Fato, ossia trovarsi là dove bisognava essere, per cui non si poteva sfuggire al destino. Lacan dice che nel raccontare tutto ciò è stato ispirato da Joice e per quanto in Lacan non ci siano delle fonti uniche fa riflettere questo riferimento che trova in Joice,  come anche  in Freud e nella clinica, soprattutto nella clinica della psicosi , dato che non era certo partito dall’isteria, come Freud, e poi attingendo ai grandi testi della letteratura che spesso sanno raccontare le cose meglio di noi. Diversamente sarebbe più complicato il passaggio dall’oggetto alla lettera ma dal momento che ne parla, per es. come nel mito di Edipo, si comprende meglio come la parola sguardo oppure vedere gli occhi che diventano scarto ma anche tutte le metafore possibili a partire da questo scarto,  attraverso il gioco libero della lingua : vedere, sapere, ecc. e tutte le parole che conoscete. Questo per me è molto interessante e ci si potrebbe riferire ad esso  per tutti i miti Freudiani, per es. il mito del Padre o del cannibalismo primitivo, in cui troviamo una  forma di realismo oggettuale che diventa poi una delle grandi metafore culturali, come Totem e Tabù.

Dr.ssa M.Drazien : ieri aveva parlato della questione :”Un bambino viene picchiato” dicendo che era un fantasma maschile. Vuole dire qualcosa in proposito?

Dr. JJ Tyszler : lo farò sottolineando più le difficoltà di attuazione di questo rispetto alle risposte che si possono dare. Si dice spesso che non c’è un fantasma femminile,  propriamente parlando, anche se una formulazione del genere può sembrare molto strana, quasi ingiusta come proposizione, una specie di curiosità da parte della psicanalisi. Ma perché si può dire così? Potremmo individuare due tipi di argomentazioni :  una teorica, che vale per quello che vale, ossia che la questione del fantasma, il posto che in quanto oggetto vi è nel fantasma, per come  Lacan deduce da Freud, è un’attuazione maschile perché anche negli esempi femminili “Il bambino picchiato” è sempre un maschietto.  Lacan deduce da ciò che una bambina non può entrare spontaneamente nel campo della rappresentazione, ma il suo ingresso sarà mediato dall’Altro maschile. Questo è quindi un postulato teorico : una bambina dovrà attendere e avrà bisogno di un altro (maschio) per entrare nel campo della rappresentazione fantasmatica. Dicendo questo non dico che sia un’idea facile da accettare . Vi ricordo soltanto anche come Lacan, partendo da Freud,  ha cercato di mettere in opera questa idea della rappresentazione fantasmatica.

In genere preferisco però farmi guidare piuttosto dall’esperienza clinica. A tale riguardo possiamo dire due cose molto diverse: ci sono molte fantasmagorie femminili nel momento d’ingresso nella sessualità, per es. tutti i fantasmi di trasgressione , di essere state violentate, di essere state scelte in un harem, ecc. Molti di questi fantasmi ricordano più semplicemente i rapporti hegeliani di dominazione, ossia la vecchia storia del servo e del padrone da cui Lacan diceva che prima o poi bisognava venir fuori. Nelle cure troviamo molto di questo materiale clinico, ma l’aspetto più interessante è che le fantasmagorie femminili sono molto mobili come se il loro motivo potesse essere mutevole, ossia una stessa donna può raccontare più motivi che per lei fanno scena e che  quindi possono facilitare il suo ingresso nell’erotismo. Al contrario, secondo Freud ,il fantasma maschile è assolutamente immobile, un po’ banale, dato che in una frase ci sono quattro parole e con quelle si costruisce la totalità della vita erotica, per cui non è molto affascinante. Qui non vi è nulla di dialettico, mentre nell’esperienza clinica una donna non conosce questo tipo di fissità. Tutto questo darebbe del filo da torcere alla tesi di Lacan secondo cui una donna entra piuttosto nel campo della rappresentazione sottomettendosi a quella che le impone il partner.

Ho spesso raccontato il caso di una giovane donna che ha una fobia dei mezzi di trasporto. Al giorno d’oggi se ne vedono molte di queste fobie. A Parigi la cosa è meno grave perché hanno messo delle biciclette che si possono prendere ovunque, per cui la mia paziente si sposta sempre in bicicletta (non prende né bus né metropolitana), anche se rimane sempre entro le mura di Parigi e non può avere altri incontri di tipo professionale. Accanto a questa fobia ha però una vita sentimentale molto decisa  in cui  da una parte ha trovato riparo presso un uomo e dall’altra si è sempre concessa di prendersi dei momenti che lei chiama “colpi di fulmine”, ossia dei momenti di passione con altri uomini.  Quando si è presentata da me per la sua analisi è venuta, in qualche modo, per interrogarsi su questo duplice registro, ossia da una parte c’era la sua fobia e dall’altra cercava la significazione eventuale della sua vita amorosa. Ma perché per lei era un problema una vita di questo tipo, dato che si potrebbe dire che vivesse complessivamente bene, a parte i limiti che le venivano imposti dalla sua fobia ? Ma faceva un po’ come Lacan perché un giorno ha detto (e occorre capire la frase da un punto di vista grammaticale):” da un certo punto di vista non sono sicura che io viva con qualcuno”. Si tratta di una formula interessante perché  da un punto di vista fenomenologico non solo vive con qualcuno, ma ha anche delle avventure ripetitive molto appassionanti , quindi “vive con molti”. Ma non era questo quello che cercava di dire mentre ciò che vuole capire è la metafora stessa, ossia cosa vuol dire vivere con qualcuno. Una giovane donna così da un certo punto di vista è lei a dare un ordine alla sua vita fantasmatica, ossia conduce la sua vita intorno a se stessa ( da una parte il marito, dall’altra i suoi compagni), al prezzo di una fobia che indica certamente un limite all’organizzazione che si è data.  Si tratta dell’inverso del caso freudiano, ossia non ha nessuna paura per i “trasporti” amorosi, ma ha una fobia dei trasporti.  Di giovani donne simili se ne possono incontrare molte, sia nella vita analitica che in quella sociale e sono guidate da questo tipo di fantasma . E’ proprio questa paziente che mi ha fatto lavorare nel ricondurre tutto ciò in una griglia edipica nella misura in cui lei pensava che la psicanalisi fosse questo e ha ricondotto il lavoro all’inizio sulla coppia familiare dei due genitori, ecc., ma è un sapere che non ha avuto nessun ritorno né sulla fobia né sull’organizzazione della sua vita sociale

Dr.ssa C. Tyszler : sei tu che colleghi subito la questione della fobia a quella della sua vita sessuale perché invece solitamente si dice che il paziente nella fobia non ha un rapporto con il fantasma .

Dr. JJ Tyszler : è interessante quest’aspetto. D’altra parte vediamo al giorno d’oggi che la determinazione della donna in rapporto a certi tipi di sguardo sulla sua vita fantasmatica riguarda comunque anche la propria determinazione e che bisogna accettare questo come un materiale che ci viene offerto. E’ interessante perché è lei stessa a porre la questione logica in quanto si chiede : “in fondo con chi vivo?”, ossia con quale oggetto vivo? Apportava anche delle stranezze semantiche: in genere ha un compagno (dice così perché non sono sposati)  e poi c’è sempre un amante  e c’è una parola per dire questo, ossia “amante”. Talora c’era anche un altro uomo che interveniva, un nuovo colpo di fulmine , ma non sapeva più quale parola utilizzare per designarlo perché non poteva più dire “il mio amante” in quanto la parola era già stata confiscata da quello precedente e quindi alla fine andava ad affrontare delle questioni di logica, ossia : “quando posso dire di vivere con qualcuno?” Si tratta proprio di una buona domanda, cioè in quale modo si stabilisce un’alleanza, perché non è sufficiente di vivere accanto a qualcuno o di condividere qualcosa.

Donne del genere sono spesso molto determinate(la paziente ha fatto anche degli studi di filosofia). Per il fatto però che sia così determinata non si può dire che abbia un fantasma maschile.

Dr.ssa M.Drazien : Si è parlato di fantasma maschile o femminile ma non ho ancora capito come tu arrivi a dire questo. Il fantasma del ” bambino viene  picchiato” è una formulazione di A. Freud, per cui ci si può chiedere da dove venga questa differenziazione tra fantasma maschile e femminile.

Dr. JJ Tyszler : Lacan attenderà fino al seminario “Encore” per cercare di riprendere la parte femminile della questione, perché  dirà che fino ad allora aveva  pensato così perché Freud aveva messo all’opera tutto questo, ma quello che aveva detto non esauriva quel che c’era da dire sulla posizione della donna. Occorrerà poi aspettare molto prima che cominci a dire qualcosa e quando lo farà gli esempi clinici che troverà lo continueranno a mettere in difficoltà. Il problema di una donna è che se non è tutta in questa rappresentazione tende a fare di questo “non tutta” una forma di privazione. Per es. gli esempi clinici dati dalla mistica sono una ricerca ancora più infinita dell’Uno. Ho detto spesso che questo seminario non è potuto passare nella cultura a causa di questo perché pone una buona questione, cioè la psicanalisi non ha detto quanto è sufficiente sulla femminilità ma quando va a fare il seminario, per es. sulla ricerca dell’Uno, come nel caso delle grandi mistiche, non è un tema che può essere accolto facilmente nella cultura. Così se si interroga al giorno d’oggi  qualcuno che studi filosofia non troviamo tracce di questo seminario di Lacan. Così anche in Francia è un seminario che non compare affatto, se non limitatamente ai circoli lacaniani. La proposta di Lacan è importante, ossia occorre che la psicanalisi dopo Freud rinnovi le sue riflessioni sul versante femminile ma i quadri clinici che porta fanno sì che sia un discorso un po’ campato in aria. Penso infatti che la nostra generazione paghi così il prezzo rispetto al fatto che Lacan non ha lasciato molti esempi clinici. Non è stato così certo per quelli che vivevano all’epoca di Lacan perché allora si parlava molto di clinica e Lacan stesso faceva la presentazione dei malati, ecc. Ma i giovani che son venuti dopo non hanno avuto altro che i suoi seminari e dal momento che non dà esempi clinici la psicanalisi rischia di rinchiudersi in un discorso troppo teorico. Nella cultura quindi è passato qualcosa dei quattro discorsi ma per il resto non è passato niente.

Domanda dalla sala: vorrei chiederle se il fantasma fa nodo e come collegarlo alla fine dell’analisi.

Dr. JJ Tyszler : si tratta di una delle questioni più impegnative in psicanalisi, ossia cosa ci si deve attendere da una cura . Secondo me non siamo molto andati avanti su questo. Lacan ha detto che la posizione di Freud poteva essere deludente perché  diceva lui stesso di essere deluso, parlava di una “roccia”e quando una cura si ferma ricominciano le rivendicazioni, cioè dice che il soggetto non può mantenere una situazione di gratitudine. Lacan diceva che se non c’è che questo….Quindi nel sottolineare la forza della letteralità nell’inconscio e soprattutto quella indotta dalla scrittura del fantasma, non ha mai pensato che si potesse fare a meno di tutto questo.  Solo il folle si è liberato di questo e penso che anche per tale motivo la clinica delle psicosi è più ricca di quella delle nevrosi. In effetti ci si annoia meno nell’ascoltare i pazzi piuttosto che i nevrotici, dal momento che hanno a che fare con un mondo incredibile. La clinica delle nevrosi è un campo molto ridotto. Freud parla di fobia, nevrosi ossessiva, isteria ma nessuno di noi ha mai trovato una nevrosi straordinaria, per cui la clinica delle nevrosi è molto più limitata. Lacan pensava che se si prende in considerazione la questione del carattere intricato delle lettere questo potrebbe dare all’analizzante la possibilità di scoprire altri mondi e quindi di non ricondurre tutto all’unica finestra del proprio fantasma, ossia può sentirsi autorizzato ad interessarsi ad altri tipi di rappresentazioni . Lo si vede meglio nelle cure quando il paziente è meno sotto il fardello di sintomi troppo pesanti e si capisce che è in grado di appassionarsi anche ad altre questioni.  Al di là di questo  non sono sicuro che Lacan abbia  pensato anche qualcosa sulla fine della cura o ne abbia dato un’altra forma, perché non ne ho un’esperienza concreta. Così  non sono affatto certo che le fine-cura dell’epoca fossero più entusiasmanti di quelle di oggi e che ci siano degli orizzonti così rivoluzionari. Non ne abbiamo testimonianza anche se penso che una questione sia quella relativa al narcisismo,  quello che Freud definisce come una roccia e che sia più difficile da lavorare. Così quando qualcuno non si trova più sotto la suggestione del transfert siamo spesso stupiti del ritorno del narcisismo  e questo fa sì che la vita scientifica e intellettuale sia il più delle volte molto difficile perché si vede che non è un oggetto comune che viene messo in causa, mentre spesso si tratta di rivalità di potere o altro. Secondo me dopo cent’anni da Freud su questo punto non abbiamo fatto molti passi avanti, ma non è un motivo per rinunciarvi perché  all’interno di una psicanalisi il soggetto può interessarsi anche ad altri nodi oltre ai propri. Molti amano la storia del nodo borromeo, ma la questione non è interrogarsi tutta la vita sulla coerenza del proprio nodo perché non è questa la questione che pone Lacan, mentre dice : Vi interessa l’ex-sistenza ?, ossia tutto l’infinito complementare del nodo, tutto ciò che c’è da vedere al di là del nostro ombelico, in altre parole, la vita stessa, altrimenti la psicanalisi resterebbe “ombelicale “e questo sarebbe una follia, mentre una cura a volte porta ad altre prospettive.

Relativamente alla delusione di Freud riguardo la gratitudine, riprendendo anche i testi di M. Klein riguardo l’ingratitudine, che Lacan sottolinea, possiamo dire che tutto ciò rimane comunque problematico e questo fa sì che la vita dei gruppi resti molto complessa.  Il problema del fantasma è che si tratta di una finestra molto piccola e il nostro rapporto con la vita è molto ridotto e intricato. Certo sarebbe stupido invidiare gli psicotici ma è chiaro che si potrebbe avere un rapporto con il reale molto più ampio.

I grandi testi sia della letteratura che della scienza sono fatti da personaggi un po’ al limite dal punto di vista della struttura . E’ importante la questione dell’incompletezza in psicanalisi , ossia che ci sia bisogno di un buco in ogni sapere e questo lo si deve soprattutto all’influenza di Godel nella matematica perché ha bloccato il fantasma di onnipotenza dicendo che la scienza aveva dei limiti e dimostrandolo dal punto di vista logico. Si tratta di un’idea formidabile, ma Godel  era un pazzo ed è stato anche perseguitato, per cui spesso quando qualcuno fa dei passi avanti verso i limiti poi ne paga le conseguenze. Il fantasma quindi non è come i pezzi  del Lego che si possono ricostruire oppure riprendere le nostre lettere e fare come un volo con queste, perché non lo sappiamo fare, ma forse è meglio. Secondo me lo scopo di un’analisi è ricordare ad un soggetto che vi è un’ex-sistenza , nel senso che può guardare un po’ fuori della finestra, ossia non è così obbligato a guardare dalla finestra partendo solo dal proprio fantasma, ma  può interessarsi anche ad altre questioni. Per es. domani vado a vedere la mostra di Vermeer pensando che Vermeer  abbia da dirmi qualcosa che non posso conoscere da solo.

Domanda dalla sala: vorrei sapere qualcosa in più sulla defezione del fantasma e del suo eventuale rapporto con gli attacchi di panico, anche in relazione con l’idea di morte il rapporto con il proprio corpo (in genere riferito al cuore) che spesso accompagna queste manifestazioni.

Dr. JJ Tyszler : ho un paziente, un grave schizofrenico, che ho conosciuto quando era piccolo e che poi per caso mi ha ritrovato più tardi e che ricevo ogni tanto al mio studio. Per di più è anche un tossicodipendente, che ho ricevuto solo perchè lo conoscevo da molto tempo, dato che in genere non vedo questo tipo di pazienti al mio studio. Quando viene abitualmente mi parla di poesia, perché ne scrive diverse ed io gli presto dei libri di poesia. Un giorno arriva, come dice che gli succede spesso, con un’angoscia di morte. Come  capita con gli schizofrenici, lo vedo molto teso, con respiro affannoso e  con degli aspetti angoscianti per un medico e mi spiega in dettaglio come a volte passi attraverso queste angosce di morte. Poiché lo conosco da quando era piccolo ho con lui un rapporto quasi familiare e quando non sta bene non si tratta per me di qualcosa di così perturbante. Quando l’ho visto in questa forma di terrore gli ho detto semplicemente che non credevo che si trattasse di angoscia di morte ma che aveva l’angoscia della vita. Queste parole l’hanno molto incuriosito, per cui se ne è andato e la settimana dopo quando l’ho rivisto ha ripreso questa formula trovando che questo piccolo spostamento l’aveva interessato e  dicendo che in fondo tutta la sua vita l’angosciava. Nel nostro lavoro è interessante proprio questo, cosa che a volte possiamo fare anche con uno psicotico, ossia produrre il massimo scarto possibile e aprire il significante. Quindi lui aveva detto “angoscia di morte” : come medici e psichiatri parliamo di “angoscia di morte”, ma in questo caso non possiamo dire così perché altrimenti non ci sarebbe nessuno scarto e il significante sarebbe già morto, mentre qui cerco di aprirlo al massimo.  Anche Lacan diceva la stessa cosa, ossia che l’angoscia non è mai senza oggetto, intendendo senza oggetto di desiderio, ma io non potevo dirlo così ad un soggetto psicotico che non avrebbe certo tollerato che gli parlassi di oggetto del desiderio, anche se quello che ho detto l’ha interessato. Penso che per le grandi angosce dei fobici sia la stessa cosa, ossia non si tratta di angosce di morte ma avvengono perché lo spazio è talmente  sessualizzato( quasi un pansessualismo),che sono angosciati dalla vita che a loro sembra una specie   di tirannia sessuale:  è l’angoscia per una vita troppo viva.  Penso che nel nostro lavoro possiamo produrre degli scarti del significante come in questo caso, cercando di fare in modo che la  parola stessa non si richiuda su di sè come una tautologia. Questo può riguardare anche le parole che si utilizzano in psichiatria. Per es. poco fa ho parlato di “uno schizofrenico”, ma tra due schizofrenici ci sono due mondi completamente diversi e il nostro lavoro è anche quello di creare uno scarto nella parola stessa.

Dr.ssa C.Tyszler : si potrebbe dire al paziente di produrre lui questo scarto, cioè trovare un modo di dirlo diversamente, quindi invitarlo a “poetizzare”, a fare anche lui della poesia .

Dr. JJ Tyszler : per es. questo paziente, pur essendo psicotico, ama moltissimo la poesia e ne parla molto bene, pur essendo, appunto, uno schizofrenico paranoico che fa anche uso di sostanze, ma quando parla di poesia lo fa molto bene, e la  sa leggere veramente. E’ questo che mi interessa nelle mie esperienze, cioè degli incontri del genere che sono formidabili. E’ interessante per me perché conoscendolo fin da piccolo l’ho accompagnato, in un certo senso, per cui si tratta di un transfert quasi “familiare”.

 

Trascrizione a cura di Patrizia Piunti
Non rivista dall’Autore