Scienze biomediche e psicanalisi: quale dialogo? – di Silvana Fiorito

La ricerca clinica è sempre di più indirizzata verso lo studio delle potenziali relazioni tra fattori psichici e insorgenza/mantenimento/cronicizzazione di numerose malattie. E’ ben noto che svariati fattori concorrono alla genesi di un processo patologico: su un terreno di predisposizione genetica agiscono molteplici cause di natura ambientale che vanno dall’azione di virus e batteri, alle sostanze chimiche, agli agenti fisici, all’alimentazione, agli inquinanti atmosferici e, ultimi ma forse più importanti di tutti, ai fattori di stress psichico e sociale.

di Silvana Fiorito, Dip. di Medicina Clinica (Università La Sapienza, Roma)

La psiche, che è radicata nella soggettività è stata spesso opposta al corpo e ai modelli biologici che al contrario sono quantificabili e oggettificabili. Ma negli ultimi anni le più approfondite conoscenze sul comportamento dei fattori genetici, dimostrando che l’espressione di fattori genetici dipende da fattori ambientali, hanno fornito un buon esempio della possible esistenza di prospettive di interdisciplinarietà tra questi due campi.
Nel mondo scientifico, soprattuto anglosassone, esiste sempre di più un grande interesse verso un dialogo possibile tra psicoanalisi e neuroscienze e tra psicoanalisi e biomedicina più in generale, in considerazione dei legami che si vanno rivelando sempre più stretti tra mente e corpo e l’interesse a sviluppare prospettive interdisciplinari nel rispetto della specificità di ciascuna disciplina.
Ciònonostante, molto recentemente è comparso su alcuni quotidiani nazionali un dibattito dai toni molto aspri tra alcuni esponenti del mondo “scientifico”: biologi, e operatori del mondo “umanistico”: psicanalisti, nato dalla contrapposizione esistente in Francia tra questi due mondi sul modo di diagnosticare e trattare un disturbo come l’autismo. Disturbo definito dai medici come:” disturbo neurologico con basi genetiche che dipende da un’organizzazione disfunzionale del cervello che pregiudica lo sviluppo delle capacità di cognizione sociale” e dagli psicoanalisti francesi come “una psicosi causata da un’eccessiva freddezza della madre nei confronti del bambino, già in utero e/o dopo la nascita”. Una profonda incomunicabilita’ e’ emersa tra questi due ambienti che, malgrado si occupino ambedue dell’essere vivente in genere e umano in particolare, continuano ostinatamente a ignorarsi e disprezzarsi reciprocamente dando prova, su ambedue i fronti, di grande ignoranza degli studi recenti e delle fondamentali conoscenze, rese possibili nell’ultimo decennio da sofisticate tecniche di indagine, sui meccanismi molecolari che regolano i meccanismi biologici in generale e in particolare sulle interazioni tra questi e l’ambiente. Gli stretti rapporti e le connessioni complesse tra “psiche” e “corpo” e il linguaggio profondo esistente tra queste due entita’ che si esprime con parole-messaggi chimici, ipotizzato da Freud con le sue geniali intuizioni gia’ un secolo fa, hanno trovato conferma negli ultimi anni non solo attraverso esperimenti condotti sia in vitro che in vivo ma mediante dimostrazione nell’uomo dell’esistenza di un’altro linguaggio, oltre quello parlato, fatto di mediatori chimici interagenti tra loro ed emessi in risposta a stimoli di varia natura, che fa comunicare le cellule del sistema nervoso tra loro e con le altre cellule dell’organismo. Tale linguaggio sarebbe a sua volta modulato da stimoli ambientali di varia natura che sono in grado di influenzare perfino il comportamento dei geni attivandoli o spegnendoli a seconda dello stimolo e delle necessita’ dell’organismo. Il linguaggio tra le cellule non e’ ne’ visibile ne’ udibile con i mezzi comuni ma regola e condiziona qualsiasi funzione sia fisica che psichica. Anzi, per meglio dire, esso modula il comportamento e le reazioni dell’essere vivente all’ambiente esterno e viene a sua volta modulato dagli stimoli, di qualsiasi natura essi siano, che riceve dall’ambiente che lo circonda e con il quale si deve confrontare e al quale si deve adattare per sopravvivere.
Lepigenetica è quella scienza che mostra che i geni non si auto-controllano, ma sono controllati dall’ambiente. L’epigenetica dice che i segnali ambientali influenzano l’espressione genetica, e questi segnali ambientali talvolta sono chiari e diretti, e tal’altra sono rappresentati dalla percezione che l’individuo ha dello stimolo ambientale e quindi dall’interpretazione positiva o negativa che ne da.
Ritenere che una malattia, con l’esclusione ovviamente di quelle a trasmissione genetica esclusiva, sia solo il frutto dell’azione di un virus e/o batterio, di un agente fisico o chimico e via dicendo, e che nella sua manifestazione clinica non intervengano e non siano importanti fattori di ordine psichico, e che nel suo decorso e nella sua risoluzione questi ultimi non rappresentino fattori determinanti che ne influenzano la prognosi, e’ solo indice di enorme arretratezza culturale. Cosi’ come non dare valore alle ultime scoperte scientifiche che dimostrano che alla base di alcune patologie ritenute finora di natura prettamente comportamentale e derivanti da atteggiamenti parentali inadeguati e/o carenti dal punto di vista affettivo in fase pre o perinatale, esistono invece alterazioni di mediatori del segnale neurologico su base genetica, non e’ altro che il segno di una grande chiusura e arroganza mentale nei riguardi di tutto cio’ che, non facendo parte del proprio ambito intellettuale, non merita neanche di essere preso in considerazione.
La ricerca clinica è sempre di più indirizzata verso lo studio delle potenziali relazioni tra fattori psichici e insorgenza/mantenimento/cronicizzazione di numerose malattie. E’ ben noto che svariati fattori concorrono alla genesi di un processo patologico: su un terreno di predisposizione genetica agiscono molteplici cause di natura ambientale che vanno dall’azione di virus e batteri, alle sostanze chimiche, agli agenti fisici, all’alimentazione, agli inquinanti atmosferici e, ultimi ma forse più importanti di tutti, ai fattori di stress psichico e sociale. Dal concorrere di questi vari fattori scaturisce la condizione di malattia. E’ altrettanto oramai acquisito tra coloro che si occupano di medicina clinica, che l’insorgenza di uno stato morboso rappresenta sempre, nel linguaggio del corpo, l’espressione di un disagio profondo della persona con il mondo esterno o con il proprio mondo interiore.
Per meglio esemplificare quanto si sostiene verrano di seguito esposte le strette correlazioni esistenti tra uno stato di stress psichico e il mantenimento, la diffusione metastatica e l’esito prognostico piu’ sfavorevole della malattia neoplastica. Verranno anche riportati gli studi che hanno dimostrato in quale modo e su quali basi biochimiche si realizza tale rapporto e come alcuni farmaci che antagonizzano gli ormoni dello stress sono in grado di indurre un’evoluzione piu’ favorevole di tale malattia, bloccandone la diffusione metastatica.
Per quanto riguarda in particolare malattie gravi quali il cancro, negli ultimi 20 anni la ricerca si è orientata verso lo studio dei potenziali fattori di rischio allo scopo di identificarne l’importanza e poterli eliminare o ridurre il più possibile. Tra questi l’alimentazione e lo stile di vita, l’inquinamento atmosferico, il fumo sono ormai considerati concause determinanti per l’insorgenza della malattia e vengono quindi sistematicamente indicate dai mass media come bersagli contro cui combattere per evitare di ammalarsi. La Società Americana per il Cancro ha recentemente pubblicato una statistica che afferma che il 60 per cento dei tumori sono evitabili, cambiando stile di vita e dieta. Studi clinici ed epidemiologici effettuati negli ultimi dieci anni hanno confermato e dimostrato che fattori ambientali, tra i quali lo “stress” in senso lato, inducono modificazioni biochimiche che sono in grado di stimolare la sintesi e la secrezione di molecole che, attivandosi a cascata, sono responsabili delle alterazioni/mutazioni del DNA che sono alla base dello sviluppo, della propagazione e quindi della cronicizzazione della patologia neoplastica. Contemporaneamente è risultato evidente che lo stress psico-sociale ha un ruolo chiave non solo nello scatenare la malattia ma anche nel facilitarne la diffusione e nell’indurne un esito negativo. Numerosi studi hanno messo in evidenza che fattori psico-sociali come lo stress prolungato dovuto ad eventi negativi e traumatici, la depressione cronica e la mancanza di supporto sociale costituiscono fattori di rischio determinanti per la progressione del cancro e la comparsa delle metastasi. E’ come se il corpo mettesse in atto, in risposta a quella che lui percepisce come una aggressione esterna, una risposta altrettanto aggressiva e incontrollabile che, esprimendosi con l’unico linguaggio che il corpo conosce, quello delle molecole e dei mediatori chimici secreti da tutte le cellule dell’organismo, sarebbe l’espressione fisica e la conseguenza di uno stato di disagio profondo e talvolta sconosciuto alla coscienza e quindi indicibile a parole. Un gran numero di fattori stressogeni quali traumi importanti per la perdita di persone care, disaccordo coniugale, depressione e isolamento sociale sono stati associati a disregolazione o alterazione di vari ormoni neuroendocrini, in particolare le catecolamine e il cortisolo. E’ stato dimostrato che la risposta fisiologica allo stress rappresenta molto verosimilmente uno dei mediatori piu’ importanti degli effetti dei fattori psicosociali sulla progressione del cancro.
La risposta dell’organismo allo stress e’ un processo complesso che nasce dall’interazione tra il contesto ambientale, la valutazione dell’organismo del potenziale pericolo e la sua capacita’ a reagire. Questi fattori danno inizio a una cascata di reazioni a catena sia a carico del sistema nervoso centrale e periferico che ormonale. Tutto cio’ porta all’attivazione del sistema nervoso simpatico e dell’asse ipotalamo-ipofiso-surrenale. E’ stato dimostrato che la norepinefrina e l’epinefrina, ormoni del sistema nervoso simpatico, sono elevati nel sangue e nel microambiente tumorale di individui sottoposti a stress sia acuto che cronico. L’attivazione neuroendocrina è stata dimostrata indurre un aumento di metastasi 30 volte pù alto nell’animale. Tali effetti erano mediati dagli ormoni del sistema simpatico. L’attivazione farmacologica degli stessi ormoni induceva effetti simili e il trattamento degli animali stressati con molecule antagoniste di tali ormoni inibiva la diffusione metastatica tumorale (1). Durante periodi di stress il sistema nervoso simpatico rilascia l’ormone corticotropina che attiva le ghiandole surrenali a rilasciare l’ormone adrenocorticotropico il quale a sua volta attiva le ghiandole surrenali a rilasciare cortisolo che insieme all’epinefrina e alla norepinefrina mobilizzano il corpo alla risposta di “combattimento” (2). L’aumentata attivita’ adrenergica in risposta allo stress cronico promuove non solo la crescita tumorale, stimolando il microambiente tumorale, ma anche la diffusione di metastasi. La formazione di metastasi e’ un processo molto complicato che richiede diversi passaggi per arrivare a svilupparsi: neovascolarizzazione, proliferazione, invasione, embolizzazione, ed evasione dal controllo del sistema immunitario. La crescita di un tumore oltre 1 millimetro richiede la vascolarizzazione e questa e’ necessaria per la disseminazione delle cellule tumorali metastatiche. Inoltre, una cellula tumorale deve essere capace di allontanarsi dal tumore principale, attraversare la membrane basale vascolare ed embolizzare nel torrente circolatorio. La cellula quindi si ferma nel letto dei capillari e deve essere abile a stravasare dal circolo e aderire ai tessuti parenchimali di un altro organo. Tale cellula per arrivare a destinazione deve anche sfuggire al controllo del sistema immunitario. Non appena si e’ ambientata nel nuovo habitat, la cellula metastatica incomincia a interagire con il suo nuovo microambiente ove cresce e sviluppa il suo proprio sistema vascolare. Le cellule che falliscono in uno di questi obbiettivi non possono metastatizzare e la cascata si interrompe. E’ risultato sempre piu’ evidente che la risposta allo stress puo’ influenzare molte parti di questa cascata di eventi. Gli ormoni associati con il sistema nervoso simpatico possono favorire meccanismi angiogenici nei tumori umani. E’ stato dimostrato che la norepinefrina fa aumentare il fattore di crescita vascolare (VEGF) nel tessuto adiposo (3). Studi clinici hanno mostrato che esiste una correlazione tra piu’ alti livelli di supporto sociale e piu’ bassi livelli di VEGF nel sangue (4 e nel tessuto tumorale (5) in pazienti con cancro ovarico. La depressione e la bassa qualita’ di vita sono state correlate alla presenza di VEGF nel cancro del colon-retto (6). Il supporto sociale e’ stato correlato a piu’ bassi livelli di interleuchina-6, un altro fattore proangiogenico, sia nel sangue periferico che nel liquido peritoneale in pazienti con cancro ovarico in stadio avanzato (7). In pazienti con cancro mammario avanzato la depressione e’ stata correlata a una riduzione della risposta immune cellulare a una grande varieta’ di antigeni (8). Dolore e sofferenza psichica in pazienti con cancro ovarico al momento del trattamento chirurgico sono stati associati a una minore attivita’ delle cellule “natural killer” nei linfociti infiltranti il tumore, e a una ridotta produzione di linfociti T nel sangue periferico, mentre il supporto sociale e’ stato correlato a una maggiore attivita’ delle cellule “natural killer” sia nel sangue periferico che nella massa tumorale (9,10).
In conclusione, tutti questi dati evidenziano il ruolo fondamentale giocato dallo stress cronico nello stimolare la crescita tumorale e la diffusione metastatica. Interventi integrati di tipo sia farmacologico che biocomportamentale si stanno sperimentando allo scopo di contrastare le dinamiche neuroendocrine nel microambiente tumorale e creare terapie antineoplastiche piu’ efficaci (11).
Poichè la terapia del cancro va nella direzione di una sempre maggiore personalizzazione, ci sembra molto importanto definire quali pazienti possono trarre beneficio da un trattamento associato farmacologico e psico-comportamentale e/o psicoanalitico allo scopo di bloccare gli effetti nocivi dello stress psico-sociale sul decorso della malattia.
E’ dal dialogo tra psicoanalisi e scienze biomediche, attraverso la connessione di questi due campi diversi mediante l’unione delle loro complementarietà e delle loro contraddizioni , che possono emergere nuove associazioni di idée e tutto ciò può essere di stimolo alla nostra creatività sempre rimanendo nell’ambito del proprio approccio disciplinare specifico. Il dialogo tra psicoanalisi e scienze biomediche coinvolge il riconoscimento dell’incompletezza di ogni singola disciplina e ci permette un maggiore arricchimento intellettuale mediante un approccio complementare piuttosto che uno totalitaristico. Riteniamo dunque che un’alleanza tra l’osservazione psicoanalitica e specifici programmi di ricerca biomedici debba essere più incisiva ed efficace.

Bibliografia

1) Sloane E.K et al.Cancer Res; 70(18); 7042–52. ©2010
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4) Lutgendorf SK, et al. Cancer 2002 ; 95 (4):808–815.
5) Lutgendorf SK, et al. Clin. Cancer Res 2008; 14:6839–6846.
6) Sharma A, et al. Psychooncology 2008; 17 (1):66–73.
7) Costanzo ES, et al. Cancer 2005; 104: 305–313.
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10) Lutgendorf SK, et al. Brain Behav. Immun 2008; 22: 890–900.
11) Moreno-Smith M. Et al. Future Oncol. 2010 ; 6 (12): 1863–1881