30 Mar Stress psicofisico e malattia – di Silvana Fiorito
Ci sono delle ricerche che hanno dimostrato gli effetti delle psicoterapie sull’attività cerebrale, vuol dire attività fisiologica, chimica cerebrale. Sembra che i differenti trattamenti, la psicoterapia da un lato e la terapia farmacologica dall’altro possano avere effetti simili sul cervello. Soltanto che, mentre i farmaci agiscono dall’alto in basso, dall’esterno verso l’interno, cioè inducono una trasformazione in un senso, la psicoterapia agisce dal profondo: perché va a scavare quello che c’è in fondo e tira fuori quello che l’individuo ha nascosto in sé. Però, l’effetto finale è lo stesso. Quindi i nuovi risultati delle neuroscienze devono cambiare la strada, il modo in cui gli psicoanalisti pensano e trattano i loro pazienti da un lato, e dall’altro devono cambiare il modo in cui i neuro scienziati pensano, e questo cambierà la loro scelta di terapia.
di Silvana Fiorito
Dr.ssa Drazien: Vi ricordate la volta scorsa ciò di cui abbiamo parlato? Penso che nessuno poteva sentirsi estraneo a questo discorso (delle neuroscienze): sia dalla parte della psicanalisi sia dalla parte delle neuroscienze, ormai le neuroscienze sono molto importanti. Ma fino a questo momento c’è stata una mancanza di dialogo tra queste due discipline. Chi sa questo vuoto cosa ci porterà? Do la parola a Silvana Fiorito anche perché per noi è importante questo argomento: e sapete perché? Perché le neuroscienze nei servizi sono molto importanti; tutto ciò che riguarda la neurologia e scienze annesse. Sapete certamente che fino a pochi anni fa la psichiatria in quanto campo individuale della medicina non esisteva; esisteva la neurologia e tutti i pazienti venivano introdotti nel reparto di neurologia. Dopo è stata introdotta la neuropsichiatria. Quando io ho fatto gli studi era ancora vincente questo sistema. La neuropsichiatria era anche quella egemonizzata dalla neurologia: in quanto erano ‘gli scienziati’, gli psichiatri erano considerati gente un pochino leggera diciamo, gente che non aveva un preciso inserimento nell’ambito scientifico. La neurologia è una scienza “oggettivabile” si può “misurare e verificare”: valutazione di quanti riflessi ci sono, della sensibilità, della motricità ecc. Cosa è successo però: la nascita della psichiatria indipendente…
Patrizia Punti: la psichiatria non è nata così ma è nata in quanto una serie di situazioni…indistinguibile…ma anche traendo le proprie competenze da una molteplicità di scienze diverse…psicologia si è affiancata anche lei ulteriormente alla psichiatria, ci sono quindi vari campi che insieme sono andati avanti in questa direzione.
Dr.ssa Drazien: ecco, questo percorso in psichiatria ha portato all’uso del DSM.
Patrizia Punti: ma il DSM è una questione molto controversa, tra noi medici non c’è questo culto del DSM, anzi, c’è molta critica, non c’è tanta adesione. Il DSM nasce in America con una storia legata all’America e attualmente ha un influsso notevole su tutto il mondo scientifico psichiatrico al livello internazionale, ma non c’è l’adesione, nella pratica devo dire a parte il DSM quest’ultimo…era utilizzato solo per un discorso statistico…ci sono una serie di impegni di questo tipo: da ottemperare…fare una classificazione delle malattie, quindi anche quelle psichiche, e anche un discorso imposto dovuto ad un aspetto economico: organizzare le finanze, come dividere le risorse, in base anche al tipo di problematiche che ci sono, quindi epidemiologia…nella mia esperienza vedo che gli psichiatri non amano questo DSM.
Dr.ssa Drazien: Queste poche parole per dirvi come siamo arrivati alla discussione, al lavoro della dr.ssa Fiorito che io ho trovato estremamente interessante. Vediamo questa volta cosa ci porta.
Prof. Silvana Fiorito: Secondo me le ultime ricerche, quelle soprattutto degli ultimi 5, 6 anni, stanno saldando il gap che c’è tra organismo/corpo, fisiologia nel suo insieme e, diciamo così, disturbo psichiatrico. Io non parlerei di neuroscienze, io ho affrontato il discorso molto da lontano perché a mio avviso non si tratta più soltanto di neuroscienza – di scienza legata al funzionamento cerebrale – ormai è acquisito che il cervello, come il cuore, il fegato, i reni obbedisce, risponde, interagisce come un sistema: è un sistema. Esiste una barriera ematoencefalica che impedisce ai molte sostanze presenti nel sangue di attraversarla e di passare nel cervello a scopo protettivo. Adesso si è visto che gli stessi mediatori chimici che influenzano il funzionamento delle altre cellule dell’organismo hanno dei recettori anche sulle cellule cerebrali. Questo ha rivoluzionato un po’ il concetto di neuroscienze, nel senso che, secondo me, parlare solo di neuroscienze è un po’ una limitazione dell’argomento. Secondo me bisogna parlare di relazione tra eventi esterni che possono essere causa di stress o meno, e reazione dell’individuo, reazione del corpo, reazione che è chiaramente soggettiva e che dipende dal proprio vissuto, dipende dal proprio patrimonio genetico. Allora ci sono queste due entità che interagiscono.
Io seguirò oggi la scaletta delle diapositive che avevo preparato e poiché non posso fare delle proiezioni, sono abituata per mia forma mentis a preparare le mie presentazioni sotto forma di diapositive, le ho stampate. Le ultime due che avevo lasciato alla fine le voglio leggere all’inizio proprio per questo motivo: questi sono concetti riportati nel 2010 da una psichiatra o psicanalista che dice che le azioni ambientali come la psicoterapia (la psicoterapia è considerata un fattore ambientale, perché comunque viene dall’esterno), cosi come altri fattori ambientali possono modificare i circuiti neuronali del cervello. Io vi ho portato un articolo bellissimo, ma ne parliamo alla fine, che lo dimostra: cioè la psicoterapia, e comunque qualsiasi intervento che agisca sulla psiche, e quindi anche psicanalitico, influisce sulla plasticità del cervello. Le cellule cerebrali rispondono anche variando le loro risposte in rapporto alle azioni psicoterapeutiche come se rispondessero a dei mediatori chimici.
Ci sono delle ricerche che hanno dimostrato gli effetti delle psicoterapie sull’attività cerebrale, vuol dire attività fisiologica, chimica cerebrale. Sembra che i differenti trattamenti, la psicoterapia da un lato e la terapia farmacologica dall’altro possano avere effetti simili sul cervello. Soltanto che, mentre i farmaci agiscono dall’alto in basso, dall’esterno verso l’interno, cioè inducono una trasformazione in un senso, la psicoterapia agisce dal profondo: perché va a scavare quello che c’è in fondo e tira fuori quello che l’individuo ha nascosto in sé. Però, l’effetto finale è lo stesso. Quindi i nuovi risultati delle neuroscienze devono cambiare la strada, il modo in cui gli psicoanalisti pensano e trattano i loro pazienti da un lato, e dall’altro devono cambiare il modo in cui i neuro scienziati pensano, e questo cambierà la loro scelta di terapia.
Questo tipo di ricerche, che hanno dimostrato questa relazione strettissima, questa intercomunicazione/interdipendenza tra fattori psichici e fisici e quindi che tutto ciò che agisce sulla psiche influenza anche la risposta delle cellule cerebrali, sicuramente cambia anche la prospettiva con cui vengono viste anche le patologie psichiatriche gravi, non solo come vengono viste ma anche trattate. Per esempio le patologie su cui sono stati fatti il maggior numero di studi sono: il disturbo bipolare, l’autismo, la schizofrenia, l’ Alzheimer e i disturbi correlati. Io l’altra volta vi avevo detto del linguaggio genetico, di come i fattori ambientali possono modificare (questa è una nuova branca della genetica che si chiama epigenetica) non il codice genetico, che è quello che ereditiamo, ma una parte di questo codice genetico. Questo si può modificare, viene modificato dall’ambiente, e queste trasformazioni poi vengono trasmesse ai nostri discendenti. Questo è un lavoro del 2011 pubblicato su una rivista che si chiama Psichiatria Traslazionale, in cui hanno pubblicato moltissimi di questi lavori, che sono a cavallo tra la psichiatria/psicologia e la biologia. Un gruppo di ricercatori francesi ha preso tre gruppi di pazienti (100 pazienti con disturbo borderline di personalità adulti, 99 con disturbi depressivi maggiori e 100 normali) e ha studiato in questi soggetti le modificazioni epigenetiche (la metilazione ecc.) che riguardano il gene che codifica, dirige la formazione dei recettori per il cortisolo: il cortisolo è il principale ormone dello stress. I pazienti sono stati classificati in base al tipo di abuso che avevano subito nell’infanzia: abusi sessuali o fisici, stress emotivi, deprivazioni affettive e hanno visto che nei pazienti che hanno subito degli abusi gravi in età infantile c’è la presenza di questa trasformazione epigenetica del gene codificante per il recettore del cortisolo. Tale anomalia non era presente né nei soggetti normali né in quelli con disturbi psichiatrici che non avevano subito abusi. I ricercatori hanno trovato, inoltre, una correlazione altissima tra la presenza di modificazioni epigenetiche e la gravità dell’abuso subito. Questo significa che questi soggetti che hanno subito abusi sessuali, per esempio, esprimevano sulle loro cellule ematiche o su qualsiasi cellula un numero molto più alto dei recettori per il cortisolo. Il numero ma anche la funzione, perché se una molecola ha due recettori si lega di più. Quindi, l’abuso in età infantile è stato associato con un’ aumentata risposta cellulare all’ormone cortisolo. Che cosa è successo: questo stress prolungato nel tempo ha indotto, evidentemente, uno stimolo continuo della produzione di cortisolo. Poiché la risposta allo stress si manifesta con secrezione di cortisolo, catecolamine ecc. se uno secerne in continuazione cortisolo, questo va in circolo e fa dei danni da tutte le parti ed è questo che poi provoca la malattia fisica. E chiaro che tanto più c’è cortisolo in circolo e tanto più numerosi sono i suoi recettori cellulari, maggiore sarà la risposta delle cellule, quindi più cortisolo si lega alle cellule. Questa risposta, che all’inizio è una risposta fisiologica, cioè la normale risposta dell’organismo che risponde all’aumentata quantità di cortisolo producendo più recettori, alla fine, se lo stress si prolunga nel tempo, può indurre delle trasformazioni biochimiche che portano a una persistente aumentata espressione di recettori per il cortisolo sulla superficie cellulare. E’ come un cane che si morde la coda: più rispondo allo stress più gli effetti mi si ritorcono contro.
Dr.ssa Drazien: Questi recettori rimangono lì fissi? Allora questi recettori devono ricevere un controsegnale ed è lì che probabilmente si inserisce la psicoterapia, cioè la psicoterapia dà un controsegnale che abbassa i livelli di cortisolo, se si abbassano i livelli a poco a poco i recettori diminuiscono.
Prof. Silvana Fiorito: E’ la stessa cosa che succede per i farmaci. Non so se lo avete mai notato, più farmaco voi prendete e meno vi fa effetto, meno ne prendete certe volte più fa effetto. Perché all’inizio fa effetto? Perché trova tutti i recettori liberi. Più ne date all’organismo, più le cellule esprimono recettori, più si lega e più le cellule si abituano e richiedono maggiori quantità di farmaco. Questo lavoro io l’ho trovato bellissimo, perché stabilisce finalmente un legame dimostrabile tra il grado e la durata del trauma psichico subito e la cascata di eventi che poi porta in età adulta ad una determinata patologia. E’ stato anche visto che nei bambini nati da madri con sindrome depressiva in gravidanza era presente questo tipo di alterazione. Per tornare a noi io trovo veramente che il dialogo dovrebbe essere strettissimo tra psicanalisti e medici, ma purtroppo come ho detto l’altra volta è difficile, perché si potrebbe fare tantissimo senza ricorrere a terapie farmacologiche. La terapia farmacologica è più dannosa, ma certo dipende dal tipo di patologia.
Patrizia Punti: nei casi di abusi sessuali la risposta era la stessa?
Prof. Silvana Fiorito: no, era variabile. Loro hanno classificato i pazienti in base alla differente gravità, durata degli abusi, differente tipo, natura degli abusi. L’età dei pazienti era più o meno la stessa; l’età media del primo abuso era intorno ai sei anni; la durata dell’abuso in media di 7 anni. Sono stati valutati anche la frequenza degli abusi, chi aveva perpetrato l’abuso (se erano parenti di primo grado, genitori, poi parenti di secondo grado, amici, vicini oppure altri: prete, dottore, sconosciuti) e, se l’abuso si era ripetuto, chi aveva perpetrato il secondo abuso. Insomma…il problema psicologico principale che hanno valutato era: abuso fisico, abuso sessuale, abuso fisico nel senso di maltrattamento, abuso affettivo, abuso emozionale o assenza di emozionalità.
Dr.ssa Drazien: Questo studio è americano?
Prof. Silvana Fiorito: No, è francese: Dipartimento di Psichiatria, Università di Ginevra, di Parigi, Dipartimento di Genetica medica di Ginevra, Dipartimento di Salute Mentale Psichiatria di Ginevra, Dipartimento di Emergenza Psichiatrica di Montepellier (a Montepellier c’è un grosso ospedale psichiatrico). Io non conosco questi nomi, sono grossi centri, assolutamente…e poi loro riportano altri studi che non ho avuto, onestamente, il tempo di leggere, che però mi sembrano molto interessanti. Allora vi dico qualcosa sullo stress. Quindi, il concetto di stress é che nell’uomo la principale fonte di stress è data dalla percezione individuale del significato dello stimolo, non dallo stimolo in sé. Lo stesso stimolo su di me, su di lei può avere un effetto diverso, a seconda dell’elaborazione cognitiva dell’evento. E’ quindi chiaro che questo fa la differenza. Quindi un’esperienza può diventare patologica in relazione a precedenti esperienze emotive, alla costituzione genica e/o a disturbi psicopatologici preesistenti. C’è una risposta acuta allo stress, lo stress è una risposta fisiologica che serve a difendere l’essere umano e anche l’animale, tutti. C’è una risposta efficace che è quella allo stress acuto, lo stress acuto dà una risposta che serve a combattere contro l’evento stressogeno e a permetterci di capire se abbiamo la forza e la capacità di reagire, quindi serve a mettere in piedi un combattimento verso questa aggressione esterna, una risposta di attacco o di fuga. Uno si confronta, dice: che faccio lo meno o me ne vado? Dipende dalle forze che ho. Quindi è di attacco o di fuga. Se lo stress acuto, che per definizione dura alcuni minuti, al massimo un’ora, si protrae e compare nei giorni successivi, comincia a cronicizzarsi, per cui la risposta, che all’inizio è una risposta che poi ritornava alla norma, diventa una risposta continua. Lo stress cronico ripetuto, quando questo stimolo si protrae nel tempo, fa si che i parametri biologici (la liberazione degli ormoni dello stress) non ritornano alla norma e possono portare alle patologie le più svariate. Questo è dovuto al cronico aumento di cortisolo, neurotrasmettitori e ormoni che sono i mediatori biologici dello stress. Lo stress acuto fa aumentare la risposta immunitaria.
Di fronte ad uno stress acuto le cellule immunitarie reagiscono in maniera maggiore. Le cellule del sistema immunitario ci difendono da un attacco. Invece, lo stress cronico agisce inducendo una dis-regolazione del sistema immunitario e altera l’equilibrio di questo sistema, per cui questo sistema immunitario incomincia a produrre in maniera continua una serie di molecole, le molecole infiammatorie che inducono soprattutto un fenomeno che in senso generale si chiama infiammazione. L’infiammazione è alla base dell’invecchiamento, è alla base dei tumori, è alla base delle malattie degenerative, delle malattie metaboliche, alla base di tutto. Allora questo squilibrio indotto da questi ormoni accelera l’invecchiamento, riduce o sopprime l’immunità. Perché questi ormoni alla lunga inducono una depressione del sistema immunitario? Mentre nella fase acuta c’è una iper-risposta del sistema immunitario, la liberazione prolungata nel tempo di questi ormoni dello stress, è ormai definitivamente accertato, deprime le cellule del sistema immunitario. Se noi deprimiamo la funzione delle cellule del sistema immunitario siamo esposti a qualsiasi infezione, a qualsiasi attacco virale, ad attacchi di qualsiasi genere. Se le cellule impazziscono può darsi che comincino ad iperproliferare, parlo sempre del sistema immunitario, e producano più anticorpi rivolti verso il proprio organismo: gli auto-anticorpi (le malattie autoimmuni, quelle che sono considerate le malattie di autoaggressione perché è l’organismo che fa anticorpi contro sé stesso, ne fa talmente tanti perché è impazzito il sistema). Quindi, qualsiasi dis-regolazione del sistema immunitario influisce su tutto il resto. Quindi, lo stress è costituito da una costellazione di eventi che consiste in uno stimolo stressogeno di qualsiasi natura, che induce una reazione nel cervello, che è la percezione dello stress, e questo attiva la risposta allo stress. L’unico modo in cui questo agente stressogeno può indurre queste modificazioni nel cervello o nel corpo, è il rilascio di ormoni dello stress. I principali sono prodotti dal sistema nervoso centrale (SNC), che sono quelli che regolano tutta la risposta: l’epinefrina, la norepinefrina e la corticotropina, che agiscono sulle ghiandole surrenali; la corticotropina rilasciata anche a livello cerebrale stimola secrezioni di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali e poi da lì parte tutta la cascata. Prima si pensava che soltanto alcune cellule del corpo, tipo le cellule del sistema immunitario, possedessero dei recettori per questi ormoni, invece no, tutte le cellule del corpo, in qualsiasi parte si trovino, hanno i recettori per questi ormoni. Significa che questi ormoni si legano e vanno ad agire su queste cellule. Questo significa che le molecole, anche quelle infiammatorie, che fino a poco tempo fa si credeva agissero soltanto su alcuni organi e tessuti, adesso si è visto che agiscono anche sul cervello, su tutte le cellule cerebrali, anche su quelle delle aree preposte alle funzioni cognitive che sono quelle della corteccia prefrontale e dell’ipotalamo, ecc. Allora, per quanto riguarda la risposta immune, ci sono delle risposte immunoprotettive nei riguardi dell’organismo e delle risposte immunopatologiche (tra le risposte immunopatologiche c’è anche la risposta al cancro), oppure ci sono le malattie autoimmuni…).
Partiamo dal tumore: il tumore è una massa estranea e ha partenza da alcune cellule che non seguono più meccanismi normali, ma incominciano a proliferare in maniera anarchica, è una massa estranea che vive in simbiosi con l’organismo, che viene tollerata dall’organismo. L’organismo che la accoglie è dove si sviluppa: il tumore ha bisogno dell’organismo per svilupparsi, perché stabilisce dei rapporti molto stretti con i tessuti circostanti, si nutre dei tessuti circostanti, questo significa che viene tollerato, che c’è un rapporto simbiotico tra il tumore e l’organismo. Quindi, significa che come in tutti i rapporti simbiotici uno ha bisogno dell’altro. Per quanto riguarda i tumori non è facile, ci sono i fattori causali in senso lato, che sono molteplici, però sicuramente ci vuole un sistema immunitario depresso, altrimenti non si stabilirebbe lì; altrimenti queste cause verrebbero eliminate, il sistema immunitario non gli permetterebbe di arricchire, si verifica una tolleranza immunitaria. Gli studi fatti sui pazienti con tumori riportano che soggetti depressi con tumore della mammella hanno una minore sopravvivenza rispetto a quelli non depressi e che la psicoterapia effettuata in quei casi, dove è stato possibile effettuarla, ha dato una risposta ottima nell’evoluzione del tumore e nella prognosi, e anche nella prognosi e nell’evoluzione e nella diffusione delle metastasi: ha rallentato e in alcuni casi impedito la diffusione di metastasi. Questi studi sono stati fatti su grossi gruppi di popolazione, ce ne sono tanti sul tumore della mammella, ormai questi sono dati acquisiti tant’è vero che la psicoterapia su questi soggetti è molto invogliata. Nei casi in cui si può fare si deve fare, io adesso parlo di psicoterapia in maniera molto generica… ci sono studi fatti con differenti tipi di psicoterapia, però non ho avuto tempo di addentrarmi in questo, perché non è il mio campo, però se andate a cercare c’è un mare di cose. I gruppi di studio sono enormi: 1000 – 1500 pazienti che sono stati seguiti per anni: c’è, ovviamente, tutto l’altro filone per cui ridurre, diciamo, lo stato depressivo indotto dalla patologia e dal trattamento, contribuisce anche a ridurre la quantità di sostanze secrete dal tumore, perché il tumore a sua volta secerne delle sostanze infiammatorie, depressive, quindi sembra che ci sia un feedback positivo. E’ chiaro che nei tumori è complicatissimo intervenire con una psicoterapia, perché i pazienti sono sottoposti a notevoli trattamenti farmacologici per cui in genere rifiutano le psicoterapie, rifiutano questo aspetto della loro malattia; questa è la mia esperienza. Molti la rifiutano o molti la negano, oppure dicono che non vogliono più avere a che fare con essa.
Dr.ssa Drazien: certamente dipende molto dai medici, più i medici hanno fretta di finire la visita meno fanno parlare i malati più propensi alle psicoterapie.
Prof. Silvana Fiorito: però ho notato che c’è quasi un voler rimuovere il problema una volta che sono usciti, una volta che sono stati operati, ecc., poi non ne vogliono più parlare. Chi lavora con i malati di cancro si rende conto che è difficile avere un rapporto con loro, non si riesce ad agganciarli, è un modo per allontanare la malattia. Anche la mia amica psicanalista, che è riuscita con la sua autoanalisi a eliminare questa forma tumorale – mi è stato detto che ci sono numerosi casi di questo tipo – anche lei quando io le ho detto ,a distanza di tempo: “scrivi qualcosa”, ha detto: “no, non ne voglio più parlare”. Lei ha fatto il suo lavoro su se stessa, adesso sta bene ed è come se non volesse più toccare l’argomento.
Intervento dalla sala: come in alcuni casi di psicosi, una volta superata la fase critica, non ne vogliono più sapere.
Dr.ssa Drazien: ma anche nei casi normalmente nevrotici, pronunciare certe parole, c’è una relazione fobica, sono queste stesse parole che non si vuole pronunciare, come se ci fosse un tabù in questo…
Intervento dalla sala: ma sa, la psicanalisi si fa perché si è matti, io non sono matta, la mia malattia non c’entra niente…Ma perché nell’immaginario collettivo ha delle connotazioni…ma basta questa parola psico…” “Io non sono pazza, che è un’autoenunciazione”
Dr.ssa Drazien: la denegazione fa capire immediatamente dov’è il problema, non c’è bisogno di altro, è una chiave… indistinguibile … ma fa paura l’indagine su se stessi.
Prof. Silvana Fiorito: allora, disturbo bipolare: ci sono molti lavori e quasi tutti concordano sul considerarlo la conseguenza di un aberrante funzionamento del sistema immunitario-infiammatorio, diciamo. E’ stata trovata in questi soggetti una riduzione del numero delle cellule cerebrali gliali. Negli ultimi anni si è visto che oltre ai neuroni, ci sono le cellule gliali che hanno una funzione di supporto dei neuroni; prima si pensava che avessero una funzione passiva, adesso si è visto che sono molto importanti e c’è uno scambio diretto tra queste cellule, che sono cellule cerebrali, che fanno parte della sostanza di sostegno, tra queste cellule e i neuroni… si è visto che queste cellule, che si possono considerare l’analogo delle cellule sanguigne che si chiamano macrofagi, sono preposte alla infiammazione. E’ stato trovato che in questi soggetti c’è una riduzione notevole di queste cellule nella corteccia prefrontale, e ci sono segni di morte cellulare nella corteccia frontale e nel nucleo caudato, zone preposte alle funzioni cognitive. Questi sono risultati che hanno trovato in esami post mortem. Esiste un modello animale in cui hanno provato a vedere se le molecole infiammatorie iniettate inducevano effetti depressivi. Infatti queste molecole danno sintomi depressivi, tant’è vero che negli umani sottoposti a queste terapie a base di interferone per l’epatite, l’interferone è una molecola infiammatoria, la terapia ha un effetto depressivo, induce sia sintomi depressivi che disturbi cognitivi. Tant’è vero che questi sintomi depressivi, è stato visto, indotti in pazienti che facevano interferon, venivano attenuati con il pretrattamento con antidepressivi. Altri studi sono stati poi fatti proprio per dimostrare questo rapporto fra molecole infiammatorie e depressione: è stato valutato in soggetti che prendevano i normali trattamenti antidepressivi che si usano, litio, trattamenti antipsicotici nel disturbo bipolare, in che modo questi farmaci influenzavano il rilascio di queste molecole infiammatorie; ed è stato visto che il litio e i trattamenti antipsicotici riducono l’espressione genica e quindi riducono la formazione e la sintesi di molecole infiammatorie, quindi si pensa che restaurino l’equilibrio immunitario. Quindi si pensa che questi farmaci siano efficaci nella depressione bipolare proprio attraverso questo meccanismo, che riconducano all’equilibrio questo sistema alterato …
Intervento dalla sala: “Quali farmaci?” …
Prof. Silvana Fiorito: il litio e i trattamenti antipsicotici che si usano nella depressione bipolare…
Intervento dalla sala: diciamo che nella diagnosi è un po’ difficile intendersi, disturbi bipolari sono tanti.
Prof. Silvana Fiorito: penso che quando parlano del disturbo bipolare hanno delle caratteristiche precise…
Intervento dalla sala: non è così, ci sono delle classificazioni diagnostiche… sono una varietà di situazioni, di orientamenti di scuole diverse … una cosa è la psicosi bipolare, maniaco-depressiva…
Prof. Silvana Fiorito: probabilmente questi studi si riferiscono agli psicotici, perché questi farmaci si danno agli psicotici…
Intervento dalla sala: si dà il litio anche nei disturbi minori… il bipolare è diciamo un sintomo che si manifesta alternativamente…
Prof. Silvana Fiorito: ma non ci sono categorie diagnostiche per separare questi gruppi…
Intervento dalla sala: ci sono le classificazioni, ma nella pratica clinica non è così. Io lavoro in una struttura dove dall’ospedale ci arrivano pazienti, quasi tutti con disturbi bipolari, in realtà questi non sono realmente bipolari… Ci sono anche dei periodi in cui sono tutti bipolari, periodi in cui sono tutti depressi.
Prof. Silvana Fiorito: comunque adesso, a prescindere da queste distinzioni, quel che io voglio far passare è che in molte sindromi neuropsichiatriche ci sono interazioni biochimiche. C’è bisogno di un dialogo… ma ormai molti medici hanno capito questo, forse i neurologi sono un po’ più resistenti. I neurologi vogliono mantenere il loro potere, pensano che loro appartengono ad un’altra categoria professionale, non si vogliono mischiare con gli altri medici, i quali medici generici o internisti invece sono più a contatto con patologie di qualsiasi tipo, mentre dal neurologo ci va solo quello che ha già una patologia di nicchia, diciamo, dal medico internista ci vanno pazienti che hanno sofferenze più comuni. Basti che parli con qualcuno per un’ora e ti accorgi che dietro c’è un problema, sempre, e se poi vai a curare il problema psichico si risolve anche il problema fisico. A me sembra che sia così. In termini molto semplici, se andiamo a lavorare insieme, forse si possono avvicinare e trattare molti più pazienti e ridurre anche il numero di patologie gravi che sono in grande aumento.
Intervento dalla sala: alcuni pazienti sono felicissimi della malattia, è importante anche vedere il vissuto di ognuno.
Prof. Silvana Fiorito: molti usano la malattia anche per farsi… come espressione del proprio malessere…
Intervento dalla sala: pazienti che vivono la malattia come una scissione totale, gli psichiatri devono tener conto del vissuto delle persone.
Prof. Silvana Fiorito: penso che gli psichiatri facciano questo… a mio avviso bisogna lavorare insieme…
Dr.ssa Drazien: noi siamo interessati, a proposito dell’interazione tra il nostro mestiere e la tua ricerca, questo sì che è estremamente interessante.
Prof. Silvana Fiorito: questo vi dovrebbe guidare, la consapevolezza che con la vostra terapia si può avere un effetto sul sistema biologico. Voi dovete sapere che con una psicoterapia, adesso non voglio entrare nel dettaglio, a mio avviso più profonda è e meglio è, si può modificare l’andamento di una malattia; questo è fondamentale e bisogna assolutamente saperlo. Come anche il medico deve sapere assolutamente la stessa cosa, che il decorso di una malattia può essere modificato in senso positivo da un intervento psicoterapeutico. Questo è il mio messaggio su cui ho ormai delle sicurezze incrollabili.
L’autismo ha uno spettro piuttosto ampio, sembra che ci sia un’interazione complessa di tipo epigenetico tra ambiente e malattia, per cui l’ambiente ha indotto modificazioni genetiche, vuoi in epoca prenatale, vuoi nella prima infanzia o non si sa quando. Ci sono tantissimi lavori, soprattutto negli ultimi anni, sull’autismo che hanno messo in evidenza, ora qui c’è una grossa casistica, che ci sono molte anomalie non soltanto legate al sistema nervoso, ma è tutto un complesso, è piuttosto una malattia sistemica che non unicamente legata al SNC. Nelle ultime decadi, sia la ricerca che gli studi clinici hanno messo in evidenza che sono alterati sia i sistemi metabolici fisiologici, come una dis-regolazione immunitaria, sia che esiste una incapacità dell’organismo di liberarsi delle sostanze tossiche. Per cui individui, che sono evidentemente geneticamente predisposti, prendono tossici dall’ambiente e non riescono a detossificarsi. Ci sono degli studi recenti in cui hanno trovato che nelle urine dei bambini autistici ci sono alte concentrazioni di bifenoli – sono i metaboliti della plastica, per cui in molti paesi gli alimenti per bambini non vengono più messi in contenitori di plastica. Hanno trovato una quantità di bifenoli mostruosamente alta. Non bisogna mai tenere le bottiglie di acqua al caldo.
Dr.ssa Drazien: quest’osservazione che nei bambini autistici siano stati trovati tassi altissimi di bifenolo si comprende come l’inabilità ad espellere la sostanza?
Prof. Silvana Fiorito: hanno confrontato grosse popolazioni: bambini normali con bambini autistici e hanno visto che c’è una grande differenza tra questi due gruppi nella concentrazione di bifenoli nelle urine. Quindi, negli autistici probabilmente le cellule hanno un sistema di depurazione, di detossificazione.alterato. Le sostanze tossiche non vengono eliminate, si accumulano. Sono state analizzate 437 pubblicazioni sulla relazione esistente tra dis-regolazione del sistema immunitario e infiammazione e disordini dello spettro autistico. In 416 di questi lavori esaminati, nel 95%, c’era una correlazione altamente significativa tra dis-regolazione del sistema immunitario e sindrome autistica. C’è una pubblicazione in cui viene fatta una correlazione tra lo stress ossidativo – lo stress ossidativo è un altro tipo di stress ma gli effetti sono gli stessi dell’infiammazione – e i sintomi autistici. In questo studio la correlazione tra lo stress ossidativo e questo tipo di disturbi era del 100%. Un altro studio ha mostrato che in un totale di 115 pubblicazioni che investigavano la relazione tra disfunzioni mitocondriali e sindromi psichiche queste erano presenti nel 95% dei casi. Sono più di 500 gli articoli sull’argomento degli ultimi, credo, 5 o 6 anni. Gli studi sull’autismo negli ultimi 5 o 6 anni si sono sviluppati tantissimo… e queste anomalie sono state trovate, si ipotizza… Io non ho trovato un lavoro simile a questo sull’epigenetica in questi soggetti, non so se lo hanno fatto, però questa è l’ipotesi: che ci possano essere delle cause ambientali, l’ambiente inteso anche come stress, che può avere indotto delle modifiche biologiche nella madre in gravidanza. Questi seminari sono nati dal fatto… adesso faccio un po’ di storia… perché l’autismo… sono nate da quel famoso dibattito di cui anche Carlo Albarello mi scrisse chiedendo “lei che ne pensa?”… Ci fu praticamente un dibattito dai modi molto aggressivi tra un biologo della Sapienza e uno psicanalista. Lui ha aggredito lo psicanalista sul Sole 24 Ore… lui aggredì gli psicanalisti dicendo che …
Dr.ssa Drazien: gli psicanalisti non dovrebbero nemmeno avvicinarsi all’autismo perché non hanno un intervento idoneo…
Prof. Silvana Fiorito: il dibattito era nato dal problema che è sorto in Francia, c’è stato un problema in Francia.
Dr.ssa Drazien: comunque, come noi abbiamo assistito ad un interessantissimo intervento della Dr.ssa Laznik l’anno scorso sui problemi posti dall’autismo… è stato ciò che mi viene suggerito da tutto ciò che tu porti adesso, noi abbiamo visto bambini piccolissimi, perché lei tratta bambini molto piccoli, entro 3-4 mesi che sono diagnosticati con sindrome autistica e si vedono questi pargoli insieme ai genitori e si evidenzia in questo studio mamme depresse, per qualche ragione o un’altra, mamme disturbate che hanno fatto questi figli autistici. Allora l’interesse della cosa è sapere quante di queste persone non si erano avvalse prima della nascita di un figlio, dei loro particolari problemi di depressione, o di scompensi di vari tipi, aspettando che il figlio con un sintomo individuabile, il figlio con un sintomo diventa oggetto… e tutto viene scaricato sul pargolo.
Prof. Silvana Fiorito: probabile che appunto la madre abbia influito in una fase prenatale in questo…
Dr.ssa Drazien: è questa la novità, perché si ha la tendenza a pensare che una volta nato c’è una cattiva influenza della madre a quel momento produce questo autismo…
Prof. Silvana Fiorito: a questo proposito, ho trovato, c’è un lavoro in cui hanno visto che lo stato ansioso-depressivo della madre durante la gravidanza induce lo stesso tipo di trasformazioni epigenetiche che sono state dimostrate nei bambini che hanno subito abusi. Queste sono state evidenziate anche nei neonati di madri che durante la gravidanza avevano avuto uno stato depressivo; c’è qui il lavoro pubblicato su Epigenetics del 2008. L’esposizione prenatale alla depressione materna induce nel neonato aumentata risposta allo stress indotto al cortisolo.
Dr.ssa Drazien: il cortisolo è aumentato nel sangue del neonato?
Prof. Silvana Fiorito: se vuoi io ti trovo questo lavoro, sono lavori di genetica, mi sembra importantissimo se vedi che la depressione, l’umore della madre è in grado di modificare la risposta genetica nel bambino allo stress. E poi ci sono gli altri fattori presi in esame: un’incapacità di detossificazione, la possibile esposizione a tossici ambientali o alimentari. E’ chiaro che poi, quando uno trova la dis-regolazione nel sistema immunitario, l’alterazione mitocondriale, lo stress ossidativo sono tutte conseguenze. Anche nei disturbi tipo la schizofrenia e l’Alzheimer hanno trovato questo tipo di dis-regolazioni immuno-infiammatorie ed è stato dimostrato che l’infiammazione delle cellule nervose può indurre la formazione di placche dell’Alzheimer, enorme crescita dei neuroni, quindi un’altra causa dell’Alzheimer. Questo per dire che il funzionamento del cervello (anche psichico) è collegato allo stato generale dell’organismo, non ci sono separazioni.
Per quanto riguarda i tossici ambientali sono i metalli pesanti, sostanze chimiche, pesticidi, bifenoli. Tutte queste sostanze inducono, aumentano lo stress ossidativo di cui ho parlato prima, fanno diminuire le sostanze antiossidanti che le nostre cellule producono per difendersi, appunto, dallo stress ossidativo. La vitamina E è una sostanza antiossidante. Questi tossici ambientali inducono una diminuzione degli antiossidanti e quindi una maggiore suscettibilità alle sostanze ossidanti. Quindi è stato dimostrato anche che i tossici ambientali, come il mercurio, il piombo o l’arsenico, i bifenoli, sono cause conosciute di patologie del sistema nervoso… e sono state implicate queste cause… Il livello di questi pesticidi, di queste sostanze è stato misurato nel sangue di pazienti affetti e hanno trovato livelli molto alti sia nel sangue che nel cervello. Metalli pesanti sono quelli che inspiriamo nella strada. I bambini di madri allergiche che vivono in campagna (lo si consiglia) sviluppano meno allergie che non quei figli di madri allergiche che vivono in città. C’è un aumento mostruoso delle allergie, ma c’è nelle grandi città, nei Paesi industrializzati, non c’è in Africa, ma nei nostri Paesi occidentali. Come anche le malattie autoimmuni sono molto più frequenti nei Paesi occidentali e in quelli molto industrializzati. Per esempio, nel nord Europa c’è un’incidenza molto maggiore delle patologie autoimmuni, ma lì sono state correlate ad abitudini alimentari e alla mancanza di sonno, e comunque c’è un’incidenza di queste malattie molto più alta nei Paesi industrializzati che non in quelli in via di sviluppo. Loro hanno, magari, più forme infettive, ma qui da noi le allergie ce le hanno praticamente tutti. Nell’Alzheimer è la stessa cosa. Io sto facendo uno studio sull’inquinamento ambientale nell’Alzheimer perché sono convinta che c’è una connessione, c’è uno stato di dis-regolazione del sistema immunitario nell’Alzheimer, le cellule gliali sono molto coinvolte. Però non è facile, perché per dimostrare che una sostanza è tossica… ci sono dei gruppi che stanno studiando disturbi comportamentali nell’animale sottoposto a inalazione di tossici ambientali ed è stata dimostrata la comparsa di patologie comportamentali, come sindromi depressive, indotte da inalazioni di sostanze inquinanti ambientali. Se le cellule neuronali sono cellule come le altre, perché non dovrebbero rispondere alterando il loro funzionamento dietro questo tipo di stimoli?… Mi sembra che abbiamo detto tutto. Credo che sia un francese colui che dice: “l’alleanza tra psicanalisi e ricerca neuro-scientifica dovrebbe essere molto più efficace”. La ricerca biologica si potrebbe arricchire con l’aiuto degli psicanalisti e i medici potrebbero fornire diagnosi molto più verosimili sulla base del lavoro psicanalitico, che a me sembra ineccepibile.
Dr.ssa Drazien: questo è fantastico. Questo ci apre le porte del Paradiso, perché si impone scientificamente provato l’aumento dei recettori che vengono modulati dallo stress psicogeno.
Prof. Silvana Fiorito: ho letto ultimamente che vogliono affiancare i medici di base con degli psicoterapeuti… mettere in ogni studio medico lo psicoterapeuta. Questo ho letto, non so di chi sia questo progetto, non so se ne sai qualcosa tu… secondo me bisogna proprio innanzitutto sensibilizzare il più possibile la gente con l’argomento. Io ho visto che Recalcati fa dei bellissimi… non so… scrive su Repubblica… a me sembra bravo, come divulgatore è bravo, si fa capire… va sensibilizzato che scriva su questo anche…
Dr.ssa Drazien: lui si occupa delle questioni che interessano…
Prof. Silvana Fiorito: io vi do tutta la biografia che volete…
Intervento dalla sala: sono i medici da convincere, sono sospettosi…
Prof. Silvana Fiorito: non tanto i medici di base quanto i neurologi… insomma la documentazione esiste, ma bisogna andarsela a cercare.
(Trascrizione di Isabela Duma, rivista dall’Autore)