A proposito del grande altro Lacaniano – di Christine Dal Bon

Le definizioni del concetto lacaniano di Grand Autre, Grande Altro, sono numerose. Ognuna trascina nella scia il complesso dell’opera di Lacan ma anche altri campi. L’antropologia ci dà, di questo punto di vista, una luce che serve anche alla clinica. Penso a Ernst Cassirer, citato da Lacan per il suo tentativo di elaborare l’idea del simbolico. Penso, in particolare a proposito del problema dell’autismo, a quel famoso antropologo francese che è Marcel Détienne e al suo libro La déesse parole, quatre figures de la langue des dieux (1995).
In quest’ultimo, ad esempio, si può leggere che nella religione Cuna il comportamento strano, bizzarro di un individuo segna l’intrusione di un essere di specie diversa, un dio o, più raramente, un demonio. Le parole pronunciate vengono fuori dalla bocca spinte da un vento divino o demoniaco. Il soggetto parlante è solo il porta-parola. Se si ripetono questi fenomeni incomprensibili, il medesimo individuo è designato “malato dell’anima” e fa parte della comunità sciamanica. Di solito questo passo è breve. Infatti, il futuro sciamano è nominato sin dall’infanzia, appena incomincia a parlare. Se non guarisce, diventa sciamano. Certo, possiamo riferirci alla nostra coltura dove, nel migliore dei casi, si porta il bambino che sta male direttamente all’ambulatorio. Tutto questo ha a che fare con il modo di trattare il malessere. Ma al di là della religione possiamo studiarlo soprattutto come il modo di trattare il linguaggio. Il ricorso alla storia della Dea Parola ci fa intuire che il vento che attraversa il soggetto ha un percorso che lo supera: ciò che dall’al di là lo fa parlare, lo spinge da dietro per raggiungere un punto sempre più al di là. La parola colpisce il corpo, lascia suo segno. Non sappiamo da dove venga e dove vada.
L’enigma del vento della parola presso i Cuna mi fa proprio pensare a Edipo. Il dramma che questo personaggio attraversa da parte a parte è quello di essere sottoposto alle bugie dei suoi genitori. Il mito non è solo che Edipo ha tradotto in atto uno scenario sessuale; l’ha fatto perché era sottoposto alle bugie dei suoi genitori. La parola che lo attraversa ha a che fare con suoi genitori: essendo una bugia, il modo di raggiungere l’obiettivo ha a che fare con le sue origini sbagliate. Questo significa che, di fronte a dei significanti pervertiti, il soggetto è in posizione di dover cercare in un modo tutto particolare la propria posizione sull’ellisse della parola.
Da questo punto di vista possiamo pensare al grand Autre (grande Altro) come a ciò che tiene in tensione la parola tra uno soggetto e un’altro, coinvolgendo desideri, corpi e il tutto della lingua che già ci pre-esiste. Da questo punto di vista, il grand Autre di Lacan non fa parte dell’essere o dell’avere. Non appartiene a un soggetto più che a un altro ma sorge tra due soggetti e, come tale, è il tesoro dei significanti.