
06 Apr I tre tempi dell’Edipo (II) – Seminario V – Le formazioni dell’inconscio
Carmen Gurnari
I TRE TEMPI DELL’EDIPO (II)
Seminario V – le Formazioni dell’Inconscio Capitolo XI
L’Edipo freudiano, secondo Lacan è, cito: “una struttura costituita altrove rispetto all’avventura del soggetto, e nella quale egli deve entrare ” (p.200).
Qui c’è tutta la prospettiva strutturalista di Lacan perchè si tratta di una struttura che non è creata dal soggetto ma che gli preesiste ed è al di là di lui, una struttura in cui il soggetto si deve inscrivere, proprio come nel linguaggio. Ricordiamo che, per Lacan il padre è un nome ed il meccanismo edipico è una metafora dunque c’è correlazionte tra complesso di Edipo e linguaggio.
La prospettiva strutturale interessa anche i sociologhi che tuttavia non riescono a dimostrare la necessità dell’Edipo sul piano della finalità sociale, è solo la prospettiva psicoanalitica che dà la possibilità di vedere in che modo il soggetto debba introdursi in quel complesso di relazioni che Freud, ispirandosi al mondo della tragedia greca, ha chiamato Edipo.
In questo meccanismo gioca un ruolo centrale l’organo sessuale maschile che appare come, cito: “centro, perno, oggetto di quell’ordine di eventi -molto confusi e poco differenziati, bisogna dirlo – che viene chiamato complesso di castrazione” (ivi).
C’è davvero da stupirsi del fatto che la continua menzione di questo complesso di castrazione non susciti malcontento per la sua fumosità. L’intento di Lacan è distinguere sul piano concettuale i diversi livelli che vi sono implicati.
Il complesso di castrazione interviene sia a livello di una perversione “primaria” a livello immaginario sia di una perversione legata allo stesso compimento del complesso, cioè l’omosessualità.I
Abbiamo visto come nel primo tempo dell’Edipo il bambino abbia a che fare non con la madre ma con il desiderio della madre e questo fa un mondo di differenza. Si tratta, ci dice Lacan, di desiderio di desiderio ed è notevolmente diverso, cito: “desiderare qualcosa o desiderare il desiderio di un soggetto” (p.201).
Quello che fa la differenza è che si ha a che fare con un oggetto primordiale costituito in modo tale da avere un desiderio che possa essere desiderato da un altro desiderio, appunto quello del bambino.
Questo è già nella prima tappa, vale a dire che il soggetto umano non ha mai, fin dall’inizio, a che fare con un oggetto semplice che sia “oggetto” nel senso corrente del termine ma questo oggetto ha, da subito, una connotazione soggettiva, al punto che possiamo dire che soggetto e oggetto sono chiamati in gioco insieme. E’ questa la concezione dell’ “oggetto” in senso psicoanalitico e tutta la linea della cosiddetta psicoanalisi oggettuale che tanta fortuna ha avuto nella psicoanalisi post-freudiana prende le mosse proprio da qui.
Quello che però Lacan precisa meglio, consentendoci di compiere un passo avanti ulteriore è collocare nel desiderio una “soggettività” intimamente legata all’ “oggettività” che si inaugura con la pulsione.
L’oggetto primordiale è quello che il bambino lavora col Fort-Da. Si tratta di quel primo grande Altro che può essere presente o assente, è in gioco quell’alternanza fondamentale che rappresenta la base del meccanismo dell’opposizione significante.
L’oggetto rappresentabile, immaginarizzabile, può esserlo solo come presenza su uno sfondo di assenza e come assenza su uno sfondo di presenza, è questo il meccanismo significante che dà a tutto ciò che esiste un’esistenza simbolica.
Vedere tutto questo nell’Edipo, cogliere la possibilità di passare da questo Altro primordiale all’Altro dell’Altro, vale a dire passare dall’essere consegnati al “capriccio” della madre cioè dal dipendere da una legge selvaggia ed arbitraria (cui corrisponde quel Super Io arcaico di cui parla M. Klein) ad una legge regolata che implica quell’ Ideale dell’io freudianamente inteso come istanza paterna agente di stabilizzazione e di civiltà, è esattamente il passo che Lacan sta compiendo in questi capitoli in cui arriva a concludere che il padre, è un nome ed il suo meccanismo d’intervento non è altro che quello della metafora.
E cogliere il meccanismo di simbolizzazione del complesso di Edipo calandolo nella commedia, o nella tragedia, animata dai personaggi reali della vita del soggetto, personaggi in cui le diverse posizioni (madre-padre -bambino) e le loro relazioni strutturali si sostanziano, ci consente di dare un fondamento comprensibile, cioè logicamente fondato, ad elementi cruciali dell’intuizione freudiana come il fallo ed il complesso di castrazione che altrimenti restano lì come assiomi dogmatici non facilmente giustificabili. Per questo il meccanismo fallico è rimasto in ombra nella teorizzazione post-freudiana ed il fallo è stato confinato come oggetto parziale, collocato si all’apice dello sviluppo libidico dopo l’oggetto orale e quello anale, ma con un salto inspiegabile dalla sua qualità di oggetto parziale in quanto pulsionale, alla totalità matura della cosiddetta “fase genitale”.
Tornando a Lacan, il bambino nel Hilflosigkeit, si trova, cito: “sprovvisto di ogni cosa eccetto che del desiderio di questo Altro che egli ha già costituito come l’Altro che può essere presente o assente” (ivi) ed è proprio per questo che ad essere in gioco è il desiderio di desiderio.
Ciò che il nuovo soggetto deve “oltrepassare” (oltrepassare è il termine che usa Lacan) è proprio il desiderio della madre, vale a dire quel desiderio che è desiderato dal bambino ma di cui il bambino non deve rimanere prigioniero.
Come potrà il bambino raggiungere questo oggetto che, nella madre, si trova in uno stato infinitamente più elaborato (rispetto alle risorse simboliche del bambino) dato che la madre è, nell’esistenza, decisamente più avanti di lui?
Questo oggetto del desiderio della madre, nella sua forma prototipica ed universale è il fallo, ma in relazione al pene, cioè all’organo genitale maschile, esso rappresenta l’oggetto che non c’è.
Vale a dire che il fallo viene a rappresentare quella mancaza d’oggetto che sostanzia il desiderio umano e questo fa di lui l’oggetto simbolico per eccellenza e lo rende, come dice Lacan: “il perno di tutta la dialettica soggettiva” (p.202).
Ci sono vari livelli nel rapporto che la madre ha con il fallo, un primo livello è
quello che riguarda la sua (della madre) strutturazione in quanto soggetto, un secondo livello è quello di essere presa, in diverse situazioni, in quanto oggetto.
Quale funzione svolge il fallo nel meccanismo significante? Possiamo dire: una funzione metonimica, è un oggetto metonimico perchè, dal momento che non è mai quello (il fallo è l’ oggetto che non c’è…) sfugge passando da un significante all’altro correndo nella catena e circolando nel significato come un furetto.
Circola nel significato dato che il significato è, cito: “ciò che risulta dell’esistenza del significante. L’esperienza ci mostra che questo significato assume per il soggetto un ruolo capitale, quello di un oggetto universale” (ivi).
Ecco cos’è il fallo: l’oggetto universale, cioè l’oggetto per eccellenza ma, proprio in quanto tale, è strettamente legato al meccanismo significante e questo legame è diverso nella psicosi e nella nevrosi, come abbiamo visto è questo il tema affrontato nella Questione preliminare.
Al fallo è legata la differenza sessuale intesa non sul piano biologico ma sul piano psichico.
Ciò che fa scandalo, dice Lacan, è che la situazione dell’oggetto sessuale non sia simmetrica nei due sessi. Si vorrebbe che come l’uomo deve scoprire il suo strumento ed adattarlo alle vicissitudini cui va incontro nell’usarlo, anche la donna, nel suo sviluppo sessuale, fosse centrata sul clitoride, il “piccolo pene”, versione ridotta di quello maschile.
Che la faccenda non stia così è una scoperta fatta dalla psicoanalisi e questo prova che il campo dell’analisi è un campo specifico non sovrapponibile a quello dello sviluppo istintuale che fa riferimento all’anatomia ed all’esistenza reale degli individui. Ricordo, a questo proposito, che il soggetto non è l’individuo e questo proprio perchè l’uomo è un animale dotato di linguaggio, il passaggio alla parola è un salto senza ritorno, nulla è più come prima nel passaggio natura-cultura.
Ora se, come abbiamo visto, il desiderio del bambino nasce proprio come desiderio di desiderio, cioè come desiderio del desiderio della madre, come può questo desiderio soddisfarsi? Può farlo se il bambino riesce a venire al posto dell’oggetto del desiderio della madre.
Questo è un punto nodale da considerare perchè lega la domanda del nuovo nato con l’articolazione significante che egli incontra come già esistente. Tutto questo è rappresentato nel grafo del desiderio.
La costituzione del soggetto come io del discorso, ci dice Lacan, è già coinvolta dalla prima modulazione significante sebbene, al principio, nel punto del grafo segnato come io non ci sia ancora niente. Vale a dire che tutto comincia col significante, anche l’io che ci siamo abituati a considerare un’istanza immaginaria.
Nel discorso l’io si designa come tale per esserne il supporto, ciò perchè il discorso necessita di un supporto. Afferma Lacan: “In una interiezione, in un comando, Vieni! In una richiesta, Lei, c’è un io ma latente” (p.204).
Questa latenza è importante, nel grafo di p.203 si vede come di fronte al desiderio della madre D venga a collocarsi M cioè il messaggio che è il risultato dell’incontro della richiesta del bambino con l’esistenza della madre in quanto Altro.
Infatti, perchè il bambino arrivi a coincidere con l’oggetto del desiderio della madre occorre che l’io latente nel discorso del bambino venga a costituirsi nel
desiderio della madre, cioè a livello di questo Altro che la madre è, ed occorre che l’io della madre divenga l’Altro del bambino.
Potremmo aggiungere che, nella simmetria della situazione, altrettanto debba avvenire per la madre, per la quale il bambino dovrà arrivare ad occupare il posto dell’Altro distinto dal suo proprio io. Come si vede, nel rispecchiamento reciproco, il processo di identificazione è un gioco più complesso di quello che si possa pensare nell’ottica di una corrispondenza biunivoca. E’ l’esistenza della parola, vale a dire del linguaggio come sistema, a consentire tutto questo.
Afferma Lacan in riferimento al grafo: “ciò che circola a livello della madre in D (desiderio), nella misura in cui essa stessa articola l’oggetto del suo desiderio, arriva in M a compiere la sua funzione di messaggio per il bambino, il che suppone che costui rinunci, momentaneamente, a qualsiasi cosa che assomigli alla sua parola, ma ciò non gli costa fatica, dal momento che la sua parola a questo punto è ancora più o meno in formazione” (204).
E’ dunque quel che la madre articola come oggetto del desiderio che svolge per il bambino la funzione di messaggio, messaggio che dà parola al desiderio del bambino ancora muto in quanto non ancora formato. La via di formazione che viene offerta al desiderio del nuovo nato è appunto quella che passa attraverso il desiderio della madre, non dimentichiamo il noto aforisma lacaniano: il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro.
Afferma Lacan: “Il bambino riceve dunque il messaggio nudo e crudo del desiderio della madre, mentre al di sotto, a livello metonimico in rapporto a ciò che dice la madre, si effettua la sua identificazione con l’oggetto di costei“(ivi).
Sebbene questa fase più che un osservabile sia da considerare una tappa teorica, è comunque necessario postularla per poter concepire quel che succede dopo, vale a dire l’importanza del disegnarsi di un al di là della madre che è costituito dal suo rapporto con un altro discorso, quello del padre (da notare che è sempre tutto a livello di discorso).
Il bambino assume in maniera grossolana nella realtà del discorso il desiderio della madre essendo disposto ad iscriversi al posto della metonimia della madre, è questo che gli dà la posizione di “assoggetto” dice Lacan, e ribadisce che l’identificazione primitiva è basata su uno spostamento, in quanto consiste in quello scambio che fa venire l’io del soggetto al posto della madre in quanto Altro, mentre l’io della madre diventa l’Altro del soggetto, e questo corrisponde alla salita di un gradino nella scala dello schema del grafo del desiderio e corrisponde al secondo tempo dell’Edipo.
Si tratta dunque di cercare i tre tempi dell’Edipo sul grafo del desiderio.
Questo schema è reperibile nel testo in tre versioni nelle pagine 202, 203 e 205.
Abbiamo visto come il secondo tempo del complesso sia quello del padre che proibisce, ora, se nel primo tempo questa istanza terza appare come velata, nel secondo appare come mediata, mediata nel discorso della madre. Che vuol dire?
Vuol dire che mentre nella prima tappa il discorso era stato accolto allo stato “grossolano” come dice Lacan, ora invece non abbiamo più a che fare soltanto con ciò che la madre fa della parola del padre piuttosto col fatto che la parola del padre interviene in modo effettivo sul discorso della madre. Ecco perchè il padre, in questa
seconda tappa, appare in modo meno velato della prima ma non ancora in modo del tutto rivelato come nella terza.
Qui il padre interviene come messaggio per la madre. Vedete il costituirsi del messaggio: messaggio della madre per il bambino, messaggio del padre per la madre, l’Edipo diventa un gioco di messaggi, cioè qualcosa che è del tutto nel linguaggio.
E ciò che, a questo livello del complesso, si trasmette laddove il bambino riceve il messaggio atteso dalla madre è un “no!”
Dice Lacan: “questo no è un messaggio su un messaggio che, con mia grande sorpresa i linguisti non distinguono come tale…. vale a dire un messaggio di interdizione” (p.205).
Ma questo messaggio non è soltanto: tu non giacerai con tua madre, che è la nota interdizione che Edipo trasgredisce ma è anche un comando rivolto alla madre: tu non riassorbirai il tuo prodotto. Lacan afferma che la forma più primitiva di istinto materno, così come è visibile in alcune specie animali, trova qui il suo ostacolo, il suo limite, cito: “non riassorbirai ciò che è uscito da un’altra parte!” (ivi).
Questa interdizione arriva come tale in A (grafo di p. 205) laddove è il padre a manifestarsi come Altro. Dunque è ora il padre a trovarsi nel posto dell’Altro e questo colpisce in modo salutare la posizione del bambino come assoggetto scuotendola profondamente.
Ci dice Lacan: “E’ nella misura in cui l’oggetto del desiderio materno è toccato dall’interdizione paterna che il cerchio non si richiude completamente sul bambino e che egli non diventa puramente e semplicemente l’oggetto del desiderio della madre” (ivi).
In altri termini detto, il fatto che nel posto dell’Altro compaia un altro Altro, un terzo, cioè un Altro di secondo grado (per questo si sale di un gradino nella scala del grafo) è una garanzia, l’unica garanzia possibile a proposito di quell’autonomia che non esiste per la creatura nata nell’Hilflosickeit.
Il processo però può anche arrestarsi alla prima tappa dato che questa già comporta una triplicità implicita dal momento che il bambino non desidera tout court la madre ma il suo desiderio.
Cito: “Si tratta già di un rapporto simbolico che consente al soggetto un primo circuito del desiderio di desiderio ed una prima riuscita – la scoperta dell’oggetto del desiderio della madre. Nondimeno, tutto è rimesso in questione dall’interdizione paterna che lascia il bambino a bocca asciutta per quanto riguarda il suo ritrovarsi nel desiderio del desiderio della madre” (p.206).
Questa seconda tappa, ci dice Lacan, è un pò meno ricca di potenzialità della prima, non per niente è quella dell’interdizione, quella del no. Essa è istantanea, transitoria ma non è meno decisiva perchè è il cuore di ciò che si può chiamare il momento privativo del complesso di Edipo.
Infatti il bambino deve, strutturalmente, essere sloggiato dalla posizione ideale di cui lui e la madre potrebbero soddisfarsi ed in cui egli assume la funzione di essere il suo oggetto metonimico. E’ solo così che può stabilirsi la tappa seguente, quella feconda in cui il bambino diventa un’altra cosa perchè grazie all’identificazione con il padre può assumere il titolo virtuale di avere quello che il padre ha.
II
In apertura del secondo paragrafo di questo ultimo capitolo dedicato ai tre tempi dell’Edipo, Lacan apre una parentesi sulla psicosi e cita un articolo appena apparso sulla rivista La Psychanalyse che indica come riassunto del seminario III, quello dedicato appunto alla psicosi, si tratta della Questione Preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi.
A livello di ciò che avviene tra messaggio e codice e codice e messaggio che è il livello che abbiamo considerato, il Nome del padre, in quanto funzione simbolica è verworfen, forcluso.
In questa seconda fase, cito: “c’è l’intervento grossolano del messaggio – no – sul messaggio della madre al bambino. Questo messaggio, in quanto nudo e crudo, è anche origine di un codice che è al di là della madre” (p.207).
Messaggio nudo e crudo, codice al di là della madre.
Come è noto, Schreber, trovandosi ad una svolta essenziale della sua vita (promozione a Presidente della corte di Cassazione) si è trovato sollecitato a rispondere da un luogo cui non è mai arrivato, quello del Nome del Padre.
In questo passo Lacan specifica così questo passaggio: “Schreber, per essere stato sollecitato da una svolta vitale essenziale a far rispondere il Nome del Padre al suo posto, vale a dire là dove non può rispondere perchè non vi è mai giunto – vede al posto sorgere questa struttura. Essa è realizzata con l’intervento massiccio, reale del padre al di là della madre, in quanto lei non è assolutamente supportata da lui come fautore della legge“(ivi).
Dunque l’al di là della madre si disegna anche per lo psicotico (abbiamo detto che già nel primo tempo è in gioco una struttura triadica) solo che nella psicosi si disegna in modo diverso perchè l’intervento del padre è massiccio e reale.
Sarebbe dunque in gioco un padre reale, un padre che non funziona da Nome del padre, ed il punto chiave del passaggio mancante nella psicosi non è la presenza o l’assenza del padre ma il suo mancato supporto alla parola della madre come fondazione della legge. In altre parole la parola del primo grande Altro deve essere fondata dall’intervento dell’Altro dell’Altro (come dicevo un Altro di secondo grado) per poter funzionare dando consistenza alla posizione simbolica del soggetto.
A partire dal difetto di questo Altro dell’Altro Schreber è soggetto a due tipi di allucinazioni.
In primo luogo le voci relative al linguaggio in quanto codice. Sono le voci che parlano nella lingua fondamentale la cui proprietà è propriamente far conoscere al soggetto il codice. Si tratta di messaggi fatti di parole, neologiche o no (Lacan precisa che le parole in un certo senso lo sono sempre..) atti a far apprendere a Schreber un nuovo codice aprendogli (per ripetizione) un nuovo mondo, un universo significante. Si tratta dunque di messaggi relativi ad un nuovo codice provenienti dall’Altro. Lacan afferma che sono quanto di più terribilmente allucinatorio possa esserci.
Poi ci sono i messaggi interrotti, seconda forma d’allucinazione. Spezzoni di frasi del tipo, cito: “Lei infatti deve… Adesso io mi voglio…ecc. Inizi di ordini e talvolta veri e propri principi es.: Finire una cosa dopo averla cominciata… Insomma questi messaggi si presentano come puri messaggi, ordini o ordini interrotti, in
quanto pure forze di induzione nel soggetto, e i due lati, messaggio e codice, sono perfettamente localizzabili sui due lati in quanto dissociati. Ecco a che cosa si riduce l’intervento del discorso del padre quando è abolito fin dall’origine e non è mai stato integrato nella vita del soggetto” (208).
Il punto chiave che emerge da questi due ordini di allucinazione è la dissociazione tra messaggio e codice il che testimonia della mancata integrazione del discorso del padre nella vita del soggetto.
Si tratta dunque di fenomeni clinici preziosi per aiutarci a distinguere i vari livelli in gioco nel linguaggio e per intendere l’Edipo freudiano in questa prospettiva che è quella strutturale. Per questo Lacan dichiara ironicamente che per comprendere l’allucinazione (su cui ci siamo molto soffermati lo scorso anno) è molto più utile leggere l’opera di uno psicotico come il presidente Schreber che leggere i migliori autori psichiatri che hanno trattato il problema dell’allucinazione alla luce della soluzione preconfezionata dalla tradizione filosofica che distingueva, cito: “sensazione, percezione, percezione senza oggetto ed altre sciocchezze” (p.207).
A questo punto è tempo di passare alla terza tappa dell’Edipo che suppone, nelle condizioni normali, che il padre entri in gioco, come abbiamo detto nella lezione precedente, come colui che ce l’ha. Cioè, nella logica di questa struttura che chiamiamo Edipo, è necessario qualcuno che ce l’abbia perchè solo così può darlo.
Si tratta dell’apertura del registro dell’avere dopo (in senso logico e non cronologico) quello dell’essere relativo alle prime tappe, qui siamo alla questione della privazione, la privazione fallica che, lungi dall’essere la semplice mancanza dell’organo penieno nelle donne, è la questione della “manque”, cioè la questione centrale dell’essere nel simbolico come mancanza ad essere.
Tradotto nei termini edipici si tratta della mancanza ad essere l’oggetto del desiderio che colma la madre, cioè della possibilità di ricevere questo oggetto come dono acquisendo a propria volta la possibilità di donarlo o di riceverlo, questo oggetto che è l’oggetto per antonomasia, il fallo. Ricordiamo un altro aforisma famoso: amare è donare quel che non si ha….
Il fallo non lo si può avere, ma ciò non toglie che lo si possa donare e ricevere, e questo è l’unico modo di usarlo come oggetto sia simbolico che immaginario, l’unico modo di servirsene grazie all’intervento del Nome del Padre.
Afferma Lacan: “Egli (il padre) appare effettivamente nell’atto del dono. Non è più nell’andirivieni della madre che egli è presente, è dunque ancora semi-velato, ma ora appare nel suo proprio discorso. In qualche modo il messaggio del padre diventa il messaggio della madre nella misura in cui ora egli permette ed autorizza” (p.208).
Come si vede le parti si sono invertite, prima era nella parola della madre che era da ricercare la fondazione della parola del padre, ma dopo essere passati per l’interdetto che fonda la legge è la parola del padre a fondare quella della madre e questo sostiene il soggetto di fronte a quel radicale e sperequato confronto con l’Altro che apre i giochi agli albori della vita psichica.
E’ così che, come vedremo, il discorso freudiano di civilizzazione legato all’Ideale dell’io trova un fondamento teorico più solido.
La terza fase mostra come il soggetto arrivi a poter ricevere, cito: “dal messaggio del padre ciò che aveva tentato di ricevere dal messaggio della madre.
Tramite la mediazione del dono o del permesso dato alla madre, egli ottiene, in fin dei conti questo, che gli sarà permesso di avere un pene per dopo” (ivi).
Come si vede si tratta sempre di messaggi, tutto si svolge a livello significante, ed è diverso se ad essere in gioco è una madre tout court o se si tratta di una madre donata, cioè autorizzata da un padre. Perchè la madre non è solo interdetta ma anche donata. La differenza è nella fondazione della legge, nel passaggio dalla legge immaginaria dell’arbitrio in cui tutto è possibile a quella simbolica su cui potremmo dire, con Freud, può fondarsi la civiltà.
Mi vengono in mente a questo proposito certi meccanismi in gioco nelle associazioni mafiose o camorristiche, pur nelle loro differenze, in certi “folcloristici” episodi che in realtà sono del tutto drammatici proprio per le sorti della civiltà. Per esempio l’inchino della Madonna nella processione di paese, oggetto feticcio della massa (fallo immaginario potremmo dire), al momento del passaggio davanti all’abitazione del boss della Ndrangheta, sembra un cedere della madre di fronte al potere del padre invece è l’esatto contrario, è l’abdicazione della legge dello stato di fronte all’arbitrio ed alla prepotenza di un’associazione privata che tenta di sostituirsi ad essa.
Può sembrare stupefacente la presa che queste formazioni collettive possono ottenere sul singolo, si tratta della fascinazione di un oggetto totalizzante, un grande Altro primitivo che viene ad assumere tutto il suo potere in nome di un “materno” non autorizzato dall’istanza paterna come simbolica. Una brutta copia, o meglio la copia perversa di quel meccanismo collettivo descritto da Freud in Psicologia delle masse ed analisi dell’Io.
E’ forse per questo che queste organizzazioni si chiamano anche “cupole”, al femminile, sono affiliazioni fuori-legge che forniscono agli adepti un surrogato di consistenza identitaria prelevando e pervertendo l’immagine di quel simbolo universale che per la religione cattolica è la cupola di S. Pietro. Esse colgono forse in questo l’ambiguità insita nel potere patriarcale della chiesa come in ogni potere che si presenti come assoluto, è il potere di un’istanza che rimanda solo a se stessa chiudendosi in un sistema rigido. Se ne hanno anche altri esempi più “culturali” ma il cui volto violento tradisce il livello primitivo di organizzazione sociale che tenta di asservire il simbolico ad altri fini più elementari, ad esempio la loggia P2 degenerazione massonica che, appoggiandosi sui cosìdetti “poteri deviati” (servizi segreti ecc.), tenta di sostituirsi all’organizzazione dello Stato. Probabilmente è proprio la dinamica di un potere che pur utilizzando un’organizzazione gerarchica mira tuttavia all’assolutezza ed all’arbitrio di un capo assoluto.
Forse tutti i sistemi autoritari andrebbero considerati nella loro appartenenza ad una forma arcaica della legge in cui l’intervento mitigatore e pacificatore della seconda istanza, quella paterna è più debole di quello che tentano di realizzare i sistemi democratici pur nella loro intrinseca fragilità.
Insomma oso pensare che l’Edipo freudiano, riletto nei tre tempi analizzati da Lacan, possa offrire un’ efficace chiave di lettura anche del politico e del sociale.
Tornando allora alla trattazione psicoanalitica consideriamo quel che si realizza nella fase del declino del complesso cioè nel terzo tempo: il bambino deve uscirne con i “titoli in tasca”.
I primi due tempi: quello del padre che proibisce e priva e quello del padre che permette e dona, dona a livello della madre, possono sembrare, ci dice Lacan, astratti ma rappresentano due poli dialettici che aiutano a cogliere la dinamica di tutto il complesso, dinamica più complicata di quanto non appaia a prima vista nel discorso freudiano.
Ed una complicazione la troviamo a livello della madre a proposito di quella che Lacan chiama “voracità femminile” (p.209). A questo livello il fallo non è, cito: “puramente e semplicemente quel bell’oggetto immaginario…. è anche qualcosa che svolge la sua funzione a livello istintuale, come strumento normale dell’istinto. E’ l’ingetto, l’iniet, se posso esprimermi così – con un termine che non vuol semplicemente dire che lei se lo introduce, ma che ve lo si introduce. Questo “in” segnala quindi anche la sua funzione istintuale” (ivi).
Possiamo pensare che questa sia una chiamata in causa del reale nel momento in cui Lacan sta svolgendo una trattazione atta a situare il valore immaginario e simbolico del fallo grazie alla struttura del complesso di Edipo?
Penso proprio di si, infatti Lacan a questo punto dichiara: “E’ perchè l’uomo deve attraversare tutta la foresta del significante per raggiungere i suoi oggetti istintivamente validi e primitivi che noi abbiamo a che fare con tutta la dialettica del complesso di Edipo” (p.209).
Cioè il reale per il soggetto umano non è fruibile in modo diretto ed il complesso di Edipo con tutte le sue complicazioni ed i suoi esiti differenti è reso necessario dallo hiatus che il linguaggio apre per l’uomo nel rapporto con se stesso come vivente. Si tratta di quel salto natura-cultura che rappresenta un percorso senza ritorno.
Il genere umano si sarebbe estinto da tempo, dichiara ironicamente Lacan se non accadesse, di tanto in tanto, che l’uomo arrivi a raggiungere il suo oggetto reale nonostante le complicazioni simboliche ed immaginarie del complesso di Edipo.
Ecco una possibilità per la madre, afferma Lacan, ma bisognerebbe considerare quel che vuol dire per lei il rapporto con il fallo dato che, come ad ogni essere umano, il fallo le sta a cuore.
Per esempio possiamo pensare che per lei il fallo non sia solo un “ingetto”, ma anche un “aggetto”, l’adjet, vale a dire qualcosa che le manca e che, sul piano immaginario, può esserle dato o meno, qualcosa che ella ha il permesso, o meno di desiderare in quanto tale, e questo è di certo un buon argomento in analisi…
Il fallo interviene a questo livello nella donna, cito: “come mancanza, come oggetto di cui lei è stata privata, come l’oggetto del Penisneid, di quella privazione sempre sentita vivamente e di cui conosciamo l’incidenza nella psicologia femminile” (p.210).
Questo è di freudiana memoria ma, con la trattazione lacaniana dell’Edipo possiamo distinguere questo livello immaginario da quello della privazione reale e da quello simbolico nel quale il fallo può intervenire come oggetto che, afferma Lacan: “le viene comunque dato” (ivi) e questo è propriamente il livello del linguaggio.
Riporto a questo punto integralmente la conclusione di questo secondo paragrafo perchè mi piacerebbe discuterla con voi: “Insomma, se la donna ha tutte le difficoltà che comporta il fatto di doversi introdurre nella dialettica del simbolo per
arrivare ad integrarsi nella famiglia umana, d’altra parte ha tutti gli accessi a qualcosa di primitivo e di istintuale, cosa che la mette in un rapporto diretto con l’oggetto, non più del suo desiderio, ma del suo bisogno” (ivi).
Che vuol dire? E’ l’affermazione che la donna sarebbe più vicina al reale di quanto non lo sia l’uomo il quale, almeno nella posizione maschile conoscerebbe soltanto il godimento fallico mentre la donna, sul versante femminile, sarebbe divisa tra godimento fallico e godimento Altro?
Per questo però bisognerà aspettare il seminario XX Ancore, qui siamo nel V e Lacan, giocando con questi neologismi “ingetto” e “aggetto” come spesso ama fare, propone i diversi livelli a cui il fallo si colloca in quanto operatore simbolico nella metafora paterna, in quanto oggetto immaginario del desiderio materno ed in quanto oggetto reale sul versante del bisogno e dell’istinto.
A questo punto però chiude il paragrafo e si volge agli omosessuali.