RSI nella nevrosi ossessiva – di Janine Marchioni – Eppe

Ciò che compone l’ossessivo è una parola scritta, con lui siamo in permanenza nel rapporto tra la parola e lo scritto e dunque tra lo scritto nel Reale e la parola nel Simbolico. Che cosa incita un ossessivo a fare della sua parola uno scritto? La risposta che mi sono data è forse il tentativo di evitare ciò che è scritto nella parola e ciò che è parola nello scritto. Una parola scritta è un tentativo di fondare la consistenza della parola unicamente sul dire e non sul detto. Possiamo dirlo in un altro modo: fondare la parola sull’enunciato, evitando tutta la dimensione dell’enunciazione. Conferenza tenuta presso il Laboratorio Freudiano di Roma, il 12/12/2011

di Janine Marchioni? Eppe

Inizierò nel trattare insieme il Simbolico ed il Reale nella nevrosi ossessiva, perché come ben sapete, è questa la grande difficoltà dell’ossessivo. È quella si separare ed articolare correttamente questi due registri e poi tratterò dell’Immaginario. Per parlare del Reale e del Simbolico nella nevrosi ossessiva ho scelto due porte di accesso. La prima è il rapporto dello scritto con la parola e la seconda è il rapporto del soggetto con l’oggetto.
Inizierò dal rapporto dello scritto con la parola.
Ciò che compone l’ossessivo è una parola scritta, con lui siamo in permanenza nel rapporto tra la parola e lo scritto e dunque tra lo scritto nel Reale e la parola nel Simbolico. Che cosa incita un ossessivo a fare della sua parola uno scritto? La risposta che mi sono data è forse il tentativo di evitare ciò che è scritto nella parola e ciò che è parola nello scritto. Una parola scritta è un tentativo di fondare la consistenza della parola unicamente sul dire e non sul detto. Possiamo dirlo in un altro modo: fondare la parola sull’enunciato, evitando tutta la dimensione dell’enunciazione. Per fare questo, l’ossessivo ricorre a tutta la logica dell’enunciato, una logica formale in cui la verità non consiste che nel legare il successore con l’antecedente, e non sull’enunciazione. Dunque un detto che si imporrebbe come una scrittura logica di proposizione in cui il dire si eclisserebbe. L’ossessivo si trova costretto a ricorrere a questo per ciò che ha rifiutato o che tenta di rifiutare, la castrazione, che non ha completamente rifiutato, visto che l’ha vissuta anche lui altrimenti non si tratterebbe di una nevrosi, e cerca di distruggere l’ordine Simbolico fallico, per fare sparire l’enunciazione, vale a dire l’espressione di un soggetto del desiderio. Questo fare sparire l’enunciazione è particolarmente sensibile nell’osservazione principe di Freud della nevrosi ossessiva, dell’Uomo dei ratti. Al messaggio, e Freud lo dice benissimo, che riceve “Tu devi restituire i soldi”, la risposta è “non rendere i soldi”. Ciò testimonia bene che l’ossessivo riceve dall’altro il suo messaggio in forma diretta ma negativata e non, come si dovrebbe, sotto una forma rovesciata. Non è “non voglio restituire”, ma è “ non restituire”. Non c’è più il soggetto. È come quando si legge sui treni “vietato sporgersi alla finestra”, non è indirizzato a nessuno. Lui risponde come se questo “non rendere i soldi” non fosse indirizzato a nessuno.
Dunque la stessa parola semplicemente negata con un “no”, ma non c’è nessuno. E tra l’altro è anche un qualcosa che tocca solo il fare, “rendere o non rendere”.
C’è una logica, perché ci sono due proposizioni, ma si attribuisce la risposta e tenta di farne un dire, e tra l’altro è in questo che si vede che si tratta di nevrosi, anche se la nevrosi ossessiva è stata messa dalla psichiatria classica al limite dalla nevrosi e psicosi. È stato esitato molto e ci sono un’infinità di scritti che cercano di dire che è una psicosi. È vero che alcune produzioni della nevrosi ossessiva fanno credere ad un vero delirio.
Questa risposta prende dunque la forma di un enunciato logico e non di un’enunciazione, poiché non ha ripreso al titolo dell’Io. Risponde dunque con lo scritto il che mi permette di cancellare il dire. Dunque la soggettività finalmente. Tutto questo succede poiché non c’è più la referenza fallica che installa la dimensione del Reale. La sola possibilità di dire “no” fa riferimento alla scrittura della sua parola al suo posto, riprendendola tale e quale, ma negativandola. Questo tra l’atro rende conto di uno dei principi, sintomi dell’ossessivo, che sempre in tutte le esternazioni ritroviamo, e che è il dubbio, perché se non c’è più soggetto che risponde e decide, come si potrà decidere qualcosa ? Anche sbagliando, non importa, ma lì non c’è più soggetto. È un dubbio continuo (“rendere o non rendere”) e nell’osservazione si vede bene che fa tutto un giro straordinario “a chi, come, dove” e dura un tempo infinito. Non ci si stupisce allora che per realizzare questa operazione di scrittura, l’ossessivo privilegia la lettera al significante, e non soltanto privilegia la lettera, ma certe lettere. Noi sappiamo che c’è sempre una caduta di lettere, ma una lettera è stata perduta. Per lui sono delle lettere privilegiate e anche lì ritroviamo benissimo le nevrosi di Freud, perché ci sono già la R, la A e la T e i significanti che contengono queste lettere sono una bella quantità (ad es. “Ratten”, il ratto); e ritroviamo anche alla fine dell’osservazione di Freud, queste tre lettere W, L, K e vediamo il tentavo di Freud di farne qualcosa di queste lettere. Sono per lui solo lettere particolari, ma lettere e Freud ne fa un’interpretazione per tentare di mettere un significante al posto delle lettere. Dunque l’ossessivo cerca di ridurre il significante alla lettera per poterlo utilizzare in una formazione letterale in cui c’è una successione logica di lettere che dà consistenza alla parola. Come si vede nel caso di un enunciato matematico (A+B…ecc) che cerca di fare di una parola la stessa cosa.
L’ossessivo perverte il Simbolico trasformando la catena dei significanti in catena di lettere, come Lacan ci fa vedere negli Scritti a proposito del “La lettera perduta”, e ci mostra che c‘è sempre un’impossibilità di una lettera che non può stare nella catena. L’ossessivo fa della catena significante una catena significante e una catena di lettera, dunque Reale e Simbolico. È qui il suo problema, perché per lui non si possono separare questi due registri. Non lo fa a caso, perché il vantaggio di questa operazione è quella di permettere di pensare che il taglio del significante potrebbe essere padroneggiato. E il significante stesso, che è preso come un aggregato di lettere, potrebbe essere uguale a se stesso. Come sapete Lacan fa tutto un discorso per dire che un significante non è mai uguale a se stesso, come non lo è a tutti gli altri. E lui vorrebbe far saltare quel significante per avere il vero oggetto, il vero significante, “una parola vuol dire questo”, nessun gioco possibile. Ora, a livello della catena tra S1 e S2, vorrebbe poter annullare il taglio tra questi due e dunque arrivare ad una parola ultima, e quindi ad una verità ultima.
Domanda: “Sarebbe come dire ricompattare il significante ed il significato, trovare un significato”?
Vuol dire trovare un significato del significante. Questa parola vuol dire questo. Ora sappiamo bene che non è così e questo lo fa assomigliare molto alle psicosi. L’ossessivo si mette dal lato S1 del concetto, che vuol dire “tenerlo in mano”, ma il significato non è così. È dunque la cura ha un tratto tutto particolare. Il suo discorso sarà completamente diverso dal discorso dell’isterica perché o resta in silenzio ore e ore, e non perché non sa cosa dire, ma perché sta sempre cercando il modo di dire esattamente ciò che vorrebbe dire; è sempre nel dubbio “è così? Capirà bene? È quello che volevo dire?”; un’altra ragione è che potrebbe sorgere una parola della sua enunciazione, del suo desiderio e quindi pensa “ Se faccio attenzione a ciò che dico, non uscirà nessuna formazione dell’inconscio”. Tra l’altro ci vogliono anni e anni spesso affinché un ossessivo porti il primo sogno. Credo che i suoi sogni siano come quelli di tutti, ma non vuole saperne nulla di ciò che potrebbe dire questo sogno. Per questo credo che Lacan non ha detto che gli ossessivi non sono “inanalizzabili”, ma che non si porta quasi mai la cura al suo termine, perché la resistenza è così forte che è molto difficile.
Lacan ci dice che l’inconscio è ciò che si legge in ciò che il soggetto dice e che nella cura dobbiamo leggere al di là di ciò che intendiamo e voi sapete che Freud, e Lacan dopo di lui, ci dicono che la sola espressione del soggetto nell’inconscio possiamo trovarla nelle formazioni dell’inconscio, che non sono da leggere come un messaggio cifrato. Sono lettere, quello che noi non percepiamo sempre. L’esempio più clamoroso è il lapsus, in cui sentiamo subito che non si tratta di un significante che possiamo inserire in una catena, da altrove, e che può dire qualcosa; ma con questo dire sorge qualcosa che non è più legato al precedente, all’antecedente ed al successore. È questo che detesta l’ossessivo, un qualcosa che non è più in una logica ben strutturata e sa benissimo perché lo detesta, perché dirà qualcosa del suo inconscio, del suo desiderio assoluto. E qui vorrebbe poter cancellare questo desiderio.
Ho trovato questo esempio, che però non è traducibile in italiano, ma ha senso solo in francese. Lacan ci parla in francese di una “negazione espettiva”. È questa negazione viene a dire qualcosa, con due piccole lettere, del desiderio del soggetto. Ecco l’esempio “Je crois qu’il ne meurt”. Questa negazione non ha nessun senso in francese, “Je crois qu’il meurt”, sarebbe sufficiente per dire “temo che muoia”. E invece no, “Je crois qu’il ne meurt”. È questo “ne”, questa negazione, viene a dire il desiderio inconscio del soggetto, perché finalmente non è “temo che muoia”, ma “voglio che muoia”, che è tutta un’altra cosa.
Domanda: Questo “Je crois qu’il ne meurt” in realtà va tradotto alla lettera, cioè “temo che non muoia”, nel senso che appunto “voglio che muoia”, solo che appunto mi domando che cosa è successo a livello della lingua francese che ha barrato un modo di intendere letterale. E’ la questione della morte che fa si che non ci sia il doppio senso, e questo è problematico perché la struttura è la stessa, ma il significante è barrato”
E tra l’altro questo “ne” in francese è veramente la parte scritta nella parola, in uno scritto che viene a dire il desiderio del soggetto. Introducendo il “ne”, dove il suo desiderio inconscio? Probabilmente nel lato del “ne”, dunque “voglio che muoia”; è un maccanismo di negazione particolare che vuol dire sempre la stessa cosa. C’è uno scatto al contrario, un’opposizione tra l’enunciato e l’enunciazione.
È per il fatto della parola, e quindi dell’ordine del significante, che l’ex-sistenza del soggetto appare al momento stesso della perdita dell’oggetto e noi sappiamo è il Nome del Padre che produce questo Reale. In questa prima rimozione, e sapete che Freud dice che c’è anche un prima identificazione al padre ma è la stessa cosa delle prima rimozione, cade un significante che è l’unico significante per il quale si può dire a=a. è un significante che non è come tutti gli altri dove a è diverso da a. Dunque a livello della lettera a=a. Tutto questo lo vediamo bene nel seminario sul transfert, che è uno dei primi seminari, dove Lacan non è ancora tanto chiaro su questo punto, non ha ancora sviluppato tante cose che dirà più tardi. Non è un segno, è un significante, ma l’unico uguale a se stesso ed è forcluso perché è caduto nel Reale. È l’operazione della metafora paterna che lo fa cadere nel Reale. Vediamo che è la caduta di una lettera che iscrive nella parola, nella catena significante S1..S2, costituisce la perdita dell’oggetto ed è per questo che Lacan dice che l’oggetto perduto non è perduto veramente. C’è di struttura una perdita e tra l’altro questo grande significante viene a segnare che qualcosa c’è della perdita. Noi diciamo sempre “L’oggetto perduto” e se è perduto forse potremmo ritrovarlo e tra l’altro è tutto il lavoro dell’ossessivo “come faccio a ritrovarlo”?, “Voglio ritrovarlo assolutamente”.
L’oggetto piccolo a è anche l’oggetto reale perduto, c’è un buco, ma sappiamo bene che se c’è una ricerca particolare è perché uno si è ritagliato nel corpo, in funzione della domanda, del desiderio e degli altri che hanno curato il bambino piccolo. Anche lì non possiamo dire che il seno è perduto e credo che è per questo che la nevrosi ossessiva è molto interessante, perché tutte le questioni di struttura sono percepite benissimo dall’ossessivo. Ritroviamo tutta la questione della struttura ed è l’unica struttura che ci permette di vedere tutte questi tratti.
L’ossessivo cerca di ridurre il significante alla sua letteralità ma, ricorre per fare questo, non solo alla parola come lo scritto, ma anche e soprattutto forse ad uno scritto che sarebbe da leggere e non da ascoltare. I lapsus ad esempio. Lacan dice che non esistono i lapsus linguae, sono tutti calami, giustamente perché hanno valore di lettere. Noi analisti siamo lì per ascoltare lo scritto, ma lui vorrebbe che uno scritto venisse fatto solo per essere letto e sicuramente non ascoltato. Perché altrimenti non sarebbe più uno scritto definitivo se ricominciassimo a farlo entrare in una catena significante, perderebbe la suaa=a.
La lettera è fatta per essere ascoltata e l’ossessivo non vuole questo e credo che sia la spiegazione anche di un tratto fondamentale della nevrosi ossessiva questa inibizione e particolarmente inibizione al lavoro analitico, perché se voglio l’oggetto definitivo, il vero, non parlo più, non scrivo più, non dico più niente e per mettermi a lavorare ho tanti dubbi sul concetto certo e sono paralizzato completamente.