La perizia psichiatrica nell’ordine giuridico: imputabilità e pericolosità sociale nel secolo XXI. Il caso Bilancia – Gabriela Alarcón

Proseguendo sulla scia dell’analisi fatta dai miei colleghi sul ruolo della perizia psichiatrica all’interno dell’apparato giudiziario, vorrei fare prima alcune considerazioni generali sulla perizia psichiatrica legata al concetto di imputabilità e pericolosità sociale facendo un breve excursus storico per poi dedicarmi all’analisi del testo della perizia psichiatrica nel caso di Donato Bilancia con l’obiettivo di riflette sul ruolo “impossibile” che la perizia viene a occupare .

La perizia psichiatrica è uno strumento ibrido che si costituisce tra due campi eterogenei: il discorso giuridico e il discorso medico-scientifico. Ciò che viene chiesto al perito sono due quesiti ben precisi: 1. valutare se il soggetto attualmente e al momento del reato era capace di intendere e volere, o se queste capacità erano scemate in qualcun modo; 2. Se il soggetto sia socialmente pericoloso.

Nel campo giuridico questi due quesiti sono legati in modo stretto, vale a dire, se il soggetto risulta imputabile non è possibile affermare che sia socialmente pericoloso. Se il soggetto è socialmente pericoloso lo si spiega attraverso l’infermità di mente. Per il codice penale la pericolosità sociale si lega soltanto alla malattia di mente. Sappiamo che la psichiatria attuale avrebbe tanto da ridire su quest’affermazione. Ma come si è arrivati a questo dilemma? Nel secolo XXI questa premessa si dimostra obsoleta, insostenibile e paradossale ma tuttora, dal punto di vista giuridico, si è sotto l’influsso del passato secolo.

Il problema giuridico della non imputabilità (e quindi della non responsabilità del soggetto) è sorto a cavallo fra il ‘700 e l’800 anche se figure come quella di Fortunato Fedele (1551-1630) avevano già posto la questione in termini organicistici.

Molto più tardi si passò dalle teorie organicistiche ad altre concezioni delle malattie psichiche con Esquirol (1772-1840) allievo di Pinel, Kahlbaum e Jasper.

All’inizio dell’800 cominciò a consolidarsi la concreta idea penalistica che il malato di mente potesse non essere considerato responsabile di eventuali reati non voluti da lui ma causati dalla sua malattia. Con molta probabilità si deve a Georget (1795-1828) il primo ed autentico approccio medico-legale, criminologico e psichiatrico-forense, quale appare in “Discussion mèdico-legale sur la folie” (1826), ove emerge il dilemma tra le diagnosi psichiatriche allora possibili e le decisioni che i giudici dovevano trasferire in sentenza. Il codice napoleonico del 1810 stabiliva all’art. 64 che “non vi è né crimine né delitto quando l’imputato era in stato di demenza al tempo dell’azione o quando vi è stato costretto da una forza alla quale non ha potuto resistere”.

Il codice Zanardelli, entrato in vigore nel 1889, ha recepito appieno i principi della scuola classica, ispirati al diritto romano, ritenendo illogico punire chi in ragione della propria malattia non poteva rendersi conto di ciò che faceva e pertanto prevedeva un trattamento diverso per i soggetti non imputabili, che, tuttavia, comportava soltanto un eventuale internamento dei folli rei nei manicomi civili. Il manicomio criminale si avviò ad assumere la fisionomia che gli è propria con il Regio Decreto del 1° febbraio 1891 n. 260, che rese possibile, con provvedimento motivato del Giudice, il ricovero dei folli rei e dei giudicabili in fase di osservazione, ma fu pienamente legittimato soltanto con l’emanazione del Codice Rocco, che prevedeva le misure di sicurezza.

La psichiatria, quando nel 1930 venne elaborato il Codice Rocco, aveva una sua ben definita concezione della malattia, che era quella organicistica e positivistica del secolo XIX, e che venne fatta propria dai legislatori che si sono succeduti.

La riflessione moderna sul crimine e sulla risposta penale che culminò nell’opera di Cesare Beccaria (1738-1794) – fondatore della cosiddetta “scuola classica” – considera l’individuo come un essere razionale, indipendente, capace di scegliere liberamente tra il delitto ed un comportamento conforme alle leggi. L’opera di Beccaria, paradigmatica del pensiero illuministico, si fonda su alcuni principi innovatori che ispireranno tutti i successivi orientamenti in materia penitenziaria: 1. Il principio dell’umanizzazione della pena intesa come castigo inflitto nei limiti della giustizia in proporzione al crimine commesso e non secondo l’arbitrio del giudice; 2. Il principio della pena come mezzo di prevenzione e sicurezza sociale e non come pubblico spettacolo deterrente per la sua crudeltà.

“Dei delitti e delle pene”, pubblicato anonimo nel 1764, rappresenta la più nota, lucida e sintetica esposizione della nuova concezione liberale del diritto penale, che segna l’inizio di una nuova filosofia della pena, e che sarà il precursore dei futuri approcci criminologici.

La scuola classica, che si oppone all’autorità arbitraria della monarchia e della chiesa, propone un sistema penale basato sul principio del contratto sociale e caratterizzato dalla chiarezza della legge, dall’eguaglianza dei cittadini, dalla proporzionalità delle pene rispetto ai delitti e da una serie di garanzie a tutela dei diritti dell’individuo. Un sistema penale di questo tipo deve anche servire, secondo Beccaria, ad esercitare un’azione di prevenzione, in quanto gli individui, messi di fronte a leggi chiare e giuste, essendo in grado di scegliere liberamente, più difficilmente dovrebbero compiere azioni criminose.

Cesare Lombroso (1835-1909), medico e psichiatra, sotto l’influsso del pensiero Darwiniano identificò alcune particolari anomalie somatiche e costituzionali, che affermò essere alla base del comportamento criminale. Nacque così l’antropologia criminale, una nuova disciplina che aggregò intorno a sé molti studiosi e molti ricercatori.

Accanto a Lombroso, che affronta il problema della delinquenza da un punto di vista prevalentemente clinico, occorre ricordare l’opera di Enrico Ferri (1856-1929) e di Raffaele Garofalo (1852-1934), che approfondirono gli aspetti sociologici, giuridici e psicologici di questo nuovo approccio positivista.

In Italia, il decadimento delle scienze criminologiche nel periodo post-lombrosiano è testimoniato anche dall’assenza di un insegnamento ufficiale di tale materia in ambito universitario, dall’anno della morte di Lombroso (1909) fino al 1963, anno nel quale venne nuovamente istituita, a Roma, una cattedra di Antropologia Criminale.

In campo giuridico il conflitto tra la scuola classica e la scuola positiva fu superato con l’emergere della cosiddetta “terza scuola” o scuola eclettica, che cercò una mediazione attraverso l’elaborazione del cosiddetto sistema del doppio binario, fondato sul dualismo: responsabilità penale – pena retributiva; pericolosità sociale – misure di sicurezza. Il codice Rocco del 1930, tutt’ora in vigore in Italia, ispirato a questo sistema, restò comunque saldamente legato a questo dualismo.

La proposta di sostituire il vetusto concetto di pericolosità con quello, più moderno e sicuramente più fondato da un punto di vista empirico, del “bisogno di trattamento” è stato ripreso e teorizzato anche nel “Progetto Grosso” (riforma penale 1998) che però si è limitato alla parte generale del codice penale lasciando intatta la questione.

Gli psichiatri risultano attualmente molto divisi circa questo tema, in quanto, mentre alcuni continuano a sostenere l’intervento psicologico e psichiatrico all’interno del processo penale attraverso la sistematica utilizzazione della cosiddetta perizia “psicologica” o “criminologica”, altri propongono l’ipotesi di limitare l’intervento della psichiatria – che a volte viene strumentalizzata  e manipolata dai giuristi –  all’interno del sistema della giustizia penale, fino a giungere alla proposta di considerare sempre imputabili i rei affetti da patologia mentale.

Se nel ’78 con la legge 180 chiamata la legge Basaglia, la riforma psichiatrica ha permesso la chiusura delle istituzioni manicomiali civili, le cose sono andate diversamente per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Davanti al folle reo la società si trova di fronte ad un’altra questione: quella del riconoscimento o meno del diritto di queste persone ritenute socialmente pericolose ad essere giudicate e processate per il reato commesso. In che maniera le persone potevano soggettivare ciò che hanno fatto se vengono “dimenticate” dentro gli OPG? Queste strutture sanitario-carcerarie erano diventate inaccettabili, ma fino a poco fa (31.03.2015) erano ancora in funzionamento.

Nel Corso tenuto presso il Collège de France (1974-1975) Michel Foucault tratta il tema della perizia medico – legale rilevando come la perizia psichiatrica rappresenti una sorta di paradosso, creata per demarcare una divisione netta fra la responsabilità giuridica del soggetto normale e la irresponsabilità del soggetto anormale. Al dire di Foucault “la perizia medico – legale non deriva né dal diritto né dalla medicina (…) in fondo nella perizia la giustizia e la psichiatria sono una nell’altra adulterate…la perizia si rivolge agli anormali”. Con quest’autore, possiamo dire che la perizia non appartenendo né al campo psichiatrico né al campo giuridico s’istituisce come istanza di controllo dell’anormale. Nel libro “Il folle reato”, lo psichiatra E. Venturini riconosce quanto la perizia aderendo a un discorso di pericolosità, di paura, di necessità di protezione assume un ruolo insidioso, di derisione del sapere psichiatrico in detrimento di questa congiuntura con il campo giuridico nell’esercizio di un potere. Sul vocabolario delle perizie afferma: “il folle criminale viene spesso descritto come un immaturo, con un io debole, con un mancato sviluppo del super io (…) attraverso un linguaggio debole, dal punto di vista della struttura logica, è possibile scambiare più facilmente nozioni tra categorie così profondamente antitetiche, come quella giudiziaria e quella medica, senza che prevalga una sull’altra(…) Passando da un discorso di responsabilità a quello di pericolosità sociale, mette al posto di un individuo giuridicamente responsabile un soggetto-oggetto, l’anormale psichiatrico”. Ancora l’autore ci avverte: la pericolosità sociale non corrisponderebbe a nessuno dei criteri che costruiscono la diagnosi in psichiatria ma avrebbe una funzione di pura difesa sociale – la collettività agisce e si protegge di fronte alla malattia mentale chiedendo una predizione delle condotte future del folle reo, cosa che sappiamo è abbastanza improbabile. Nelle parole di Pirella “il perito deve tradurre la colpa in malattia e isolarla in una zona controllabile”. Che implicazioni soggettive avrebbe per un malato mentale che ha commesso un reato, non essere ritenuto capace di rispondere per il suo gesto, cioè, non essere messo nelle condizioni di assumere la responsabilità dell’atto che ha commesso? Quali sono i criteri che le perizie psichiatriche attualmente eseguono nel fare la valutazione che determina l’imputabilità o meno di un soggetto che ha commesso un reato?

La psicoanalisi ci insegna che siamo responsabili non solo degli atti compiuti consapevolmente ma soprattutto di quelli inconsci, restituendo così la dignità di essere umano al soggetto parlante. Il soggetto è sempre responsabile degli atti da lui compiuti, essendo capace di prendere una posizione rispetto ad essi, indipendentemente della malattia o meno. Per fare una perizia è consentito cercare nell’anatomia, nella psiche, nell’ambiente oppure nei condizionamenti socio familiari tratteggiati sin dall’infanzia, tutto benché vada spiegato chi è l’autore del reato e come è arrivato a commetterlo (spiegazioni che talvolta sono molto lontane nel dirci qualcosa riguardo la posizione del soggetto e le coordinate del passaggio all’atto). Ma la richiesta più importante è sempre la stessa: mettere una etichetta, imputabile o no, che orienterà se trattare il reo lasciandolo dentro o ai margini della società. Ora, cercherò di fare un breve esercizio di analisi di una perizia psichiatrica con il caso Bilancia.

 

Il caso Donato Bilancia

Cosa è scattato nella mente di Donato Bilancia, per trasformare un uomo di 46 anni, «ladro gentiluomo» all’ Arsenio Lupin, accanito giocatore d’ azzardo, prodigo con gli amici, in uno spietato omicida che nell’arco di pochi mesi ha ucciso 17 persone? – si chiedono i giornali. Tre sono le perizie psichiatriche esistenti nel caso Bilancia. La prima è la consulenza psichiatrica, a cura dei dottori Romolo Rossi e Francesco De Fazio, richiesta dal Pubblico Ministero poco dopo l’arresto di D. Bilancia, allo scopo di chiarire la possibilità di mettere in moto il processo, l’imputabilità o meno e, per quanto possibile, i meccanismi che stavano alle spalle dei comportamenti del Bilancia; la seconda è la perizia a cura dei dottori Pierluigi Ponti, Ugo Fornari e Giacomo Mongodi, consulenti della Corte nominati dal Tribunale di Genova. La terza, la perizia dei consulenti della difesa a cura dei dottori Elio Di Marco e Giacomo Canepa, è l’unica perizia che si è conclusa affermando la incapacità di intendere e volere del Bilancia. Mi è stato possibile reperire interamente soltanto la prima perizia, sulla quale mi soffermerò. Alle restanti due ho avuto acceso in modo indiretto, e devo dire che mi è parso molto interessante fare uno esercizio di confronto delle diverse analisi fatte dai periti per arrivare in ogni caso a conclusioni diverse.

Prima di cominciare ad esaminare la perizia psichiatrica richiesta dal P.M., cercherò di descrivere sinteticamente i crimini per i quali Donato Bilancia è stato processato e condannato a 13 ergastoli e 26 anni.

I crimini di D. Bilancia

Il 15 ottobre 1997 inizia la serie di omicidi. La prima vittima è stata Giorgio Centanaro, ex imprenditore, legato al mondo delle bische clandestine. Secondo quanto afferma Bilancia, il motivo dell’uccisione va ricercato proprio all’interno di questo ambiente; era stato Centanaro insieme a Maurizio Parenti, ad introdurre Bilancia in una bisca genovese, dove aveva perso quattrocento milioni di lire; egli era convinto che fosse un piano architettato dai due per truffarlo, ascoltando, per caso, un dialogo tra i due all’interno della bisca stessa. La frase di Maurizio sarebbe stata “hai visto che sono riuscito a incastrare Walter” (così era chiamato Bilancia dagli amici), nella sua testa è successo un qualcosa. Afferma:“con quella frase pronunciata da Maurizio per l’ennesima volta mi sono sentito pugnalato alla schiena …”.

Il Centanaro fu ucciso, soffocato dopo essere stato immobilizzato con del nastro adesivo, nel proprio appartamento a Genova; Bilancia sottrasse diversi orologi di valore dalla cassaforte e diversi milioni di lire in contanti, per simulare una rapina. È l’unico omicidio avvenuto con queste modalità, infatti, gli altri sono tutti avvenuti con l’utilizzo di armi da fuoco.

Nei giorni successivi, Bilancia scopre dai giornali che la morte di Centanaro è stata archiviata per decesso per cause naturali (infarto). Il 23 gennaio del 1998, il P.M., riceve una telefonata anonima da un uomo che, con pesante accento siciliano contraffatto, afferma che la morte del Centanaro era dovuta a soffocamento, non a infarto. Il P.M. verificò, subito dopo, al centralino l’origine della chiamata. Risultò che aveva appena chiesto di parlare con lui un uomo dall’accento genovese. Questa stessa circostanza era stata rivelata dal Bilancia nel corso della sua confessione.

Il secondo crimine si verifica il 24 ottobre dello stesso anno. Le vittime, sono lo stesso Maurizio Parenti e la moglie, Carla Scotto. I due giovani sposi vengono uccisi nel loro appartamento di Genova. Anche in questo caso Bilancia sottrae oggetti di valore per depistare le indagini.

Da qualche sera Bilancia aspettava Parenti nei pressi della sua abitazione. Entrato nell’abitazione, li lega con del nastro adesivo e li spara, portandosi poi degli orologi per far credere che è stato un furto. Bilancia si recò poi all’obitorio e alla veglia funebre per dare “l’ultimo saluto” alla coppia.

Continua la serie di omicidi: Bilancia, sentendosi sicuro per il fatto che la polizia non sospetta che gli omicidi siano collegati, uccide una coppia di anziani orefici, sospettati di avere legami con il mondo della ricettazione genovese, Bruno Solari e Maria Luigia Pitto. Anche questa volta l’assalto avviene nell’appartamento delle vittime e con la stessa arma, una pistola calibro 38 ed è il tragico epilogo di una fallita rapina. La”mattanza” avviene nel tardo pomeriggio. Dell’omicidio di Solari e della moglie, Bilancia confessa che non aveva previsto di ucciderli, in quanto lo scopo era, in questo caso, solo quello di rapinarli. Dichiara che erano spaventatissimi e che è stato costretto ad ucciderli.

Luciano Marro, cambiavalute viene, invece, ucciso nel suo ufficio, in una delle strade più trafficate di Ventimiglia intorno all’orario di chiusura serale. L’arma è sempre una calibro 38. L’omicidio, come nel precedente caso, è a scopo di rapina, a riprova delle difficoltà economiche in cui, all’epoca, doveva dibattersi Bilancia. L’assassino, con la scusa di dover cambiare dei franchi francesi, s’introduce nell’ufficio della vittima e, avendo notato che la cassaforte dove teneva la valuta era aperta, decide di sottrarre il denaro; ma, a causa della reazione della vittima, Bilancia decide di ucciderlo.

Il 25 gennaio del 1998, è il turno di Giangiorgio Canu, metronotte. Viene freddato nell’ascensore di un palazzo della zona in cui la vittima era di guardia. L’aggressione ha avuto luogo intorno alle due del mattino. Bilancia non trasse alcun vantaggio economico dall’atto delittuoso, per cui si può affermare che il motivo dell’assassinio vada forse ricercato nella sete di vendetta verso questa categoria di lavoratori che una volta lo colse sul fatto a seguito di un furto per il quale fu condannato.

Il 15 marzo del 1998 inizia la serie di omicidi delle prostitute. La prima è Stela Truja, 25 anni, albanese. Viene assassinata sulle alture di Varazze, intorno alle 3 di notte. Quest’omicidio, dal punto di vista della qualificazione giuridica è sicuramente aggravato dalla premeditazione:  Bilancia si era già recato sul luogo del delitto per verificarne la compatibilità con il suo piano criminoso. Afferma: “l’ho fatta salire in macchina, le avevo offerto una grossa somma di denaro per una prestazione in casa. Poi l’ho portata in una località isolata sulle alture di Varazze e l’ho fatta spogliare. Subito dopo l’ho fatta scendere. Lei non voleva, così l’ho presa per i capelli e l’ho trascinata fuori io. Subito dopo l’ho fatta inginocchiare e le ho sparato un colpo di pistola alla testa”. Cinque giorni dopo la stessa sorte tocca a Lyudmyla Zubkova, anch’essa prostituta, assassinata con modalità pressoché identiche alla precedente vittima.

La decima vittima è Enzo Gorni, cambiavalute di Ventimiglia; la modalità sono identiche a quelle relative all’omicidio di L. Marro. Afferma Bilancia: “anche qui quando ho studiato l’obiettivo, dovevo fare attenzione che il blindato fosse aperto …è andata come nell’omicidio del primo cambiavalute. Ho aspettato il momento più opportuno, quando la vittima era più vulnerabile, sono entrato, l’ho minacciato con la pistola, gli ho ordinato di aprire la cassaforte e di darmi il denaro. Poi ha tentato una reazione ed io gli ho scaricato il caricatore addosso”.

Il 24 marzo, Bilancia si trova davanti al primo serio “incidente di percorso”, in quanto la vittima designata sfugge alla sua furia omicida e fornisce i primi elementi utili per la realizzazione dell’identikit. Bilancia s’introduce in una villa, al momento deserta, con il transessuale Lorena per consumare un rapporto sessuale. All’improvviso giungono sul posto due metronotte, Candido Randò e Massimino Gualillo, che si erano insospettiti per la presenza dell’autovettura di Bilancia e che, dopo che l’aggressore afferma, smentito dal transessuale, di essere il proprietario della villa, decidono di chiamare la centrale; questa mossa scatena l’ira di Bilancia che spara una raffica di colpi di arma da fuoco uccidendo i metronotte e ferendo il transessuale. Come per gli altri omicidi ai danni di prostitute, Bilancia non ha saputo dare una motivazione plausibile del gesto criminale. Il 29 marzo dello stesso anno, è ancora una prostituta, la nigeriana Terry Adodo, la vittima del Bilancia. Questa volta, consapevole circa il rischio della possibile individuazione, da parte degli inquirenti, della sua Mercedes, si tutela cambiando auto e utilizzando un’Opel Kadett rubata. Bilancia narra in questo modo l’accaduto: “dopo aver consumato un rapporto sessuale, l’ho trascinata fuori dall’auto con la forza, ma lei ha tentato di reagire scappando. È partito il primo colpo e lei si è accasciata, poi l’ho colpita con altri due colpi alla testa e sono andato via“.

Il 10 aprile del 1998 il Bilancia aggredisce la prostituta Luisa Ciminiello, 51 anni e la rapina; le punta una pistola alla testa per ucciderla, ma è stata graziata dall’assassino perché, per impietosirlo, gli fece vedere la foto di un bambino di due anni, dicendogli che era suo figlio. È la stessa prostituta a denunciare l’avvenuta rapina e il tentato omicidio quando nota la straordinaria somiglianza tra l’uomo che l’aveva aggredita nel suo appartamento a San Remo e l’identikit dell’assassino seriale pubblicato da tutti i quotidiani.

Il giorno di Pasqua del 1998, domenica 12 aprile, inizia la serie degli omicidi sui treni. La prima vittima è Elisabetta Zoppetti, infermiera di Milano. L’omicidio avviene sull’Intercity La Spezia-Milano, intorno alle 15. È la serie di omicidi che hanno maggiormente allarmato l’opinione pubblica, sfuggendo a qualsiasi valutazione logica o di “ambiente”. Una volta atteso che la donna si sia recata in bagno, Bilancia la segue e forza la porta con una chiave “tripla”. La vittima si mette a urlare e il Bilancia, dopo averle messo una giacca in testa, le spara un colpo di pistola a bruciapelo. Poi attende che il treno si fermi alla successiva stazione per uscire dal bagno. Bilancia riguardo a quest’omicidio dichiara: “sono salito sul treno con quell’intenzione. Doveva essere necessariamente una donna, anche se non l’ho nemmeno toccata dal punto di vista sessuale. Credo che sia stata la consecuzione di un oggetto, di un programma che è scattato in me dopo i delitti Centanaro-Parenti …”.

Due giorni dopo, l’assalto a Kristina Walla, prostituta macedone di 22 anni; l’aggressione avviene nei pressi dell’uscita autostradale di Pietra Ligure. Per quanto riguarda la modalità dell’omicidio, è del tutto identica alle altre uccisioni di prostitute. L’unico criterio utilizzato da Bilancia nella scelta delle prostitute era legato alla nazionalità: voleva ucciderle di nazionalità sempre diversa. Se aveva già ucciso qualche ragazza di questa nazionalità, non la faceva neppure salire in macchina.

Il 18 aprile un nuovo omicidio su un treno: la vittima è Maria Angela Rubino, 32 anni, sul treno Genova-Ventimiglia tra le 22.30 e le 23. Bilancia dice “ho visto una donna all’interno dello scompartimento ed ho provato l’impulso di uccidere”. La modalità è analoga alla precedente, ma il comportamento è ancora più sprezzante, in quanto Bilancia, dopo averla uccisa, si trattiene nel bagno e si masturba, forse come egli stesso afferma “per una forma di disprezzo verso quella donna che non avevo mai visto prima”.

Due giorni dopo, a seguito di una rapina, Bilancia uccide, il cinquantunenne benzinaio Giuseppe Mileto. L’aggressione avviene nel piccolo ufficio della stazione AGIP dove la vittima stava prestando servizio. In questo caso la furia omicida è dovuta al rifiuto del benzinaio di fare credito al Bilancia.  Fredda la vittima con cinque colpi di pistola.

In tutti gli omicidi, a cominciare dal duplice omicidio Scotto/Parenti, l’arma usata è sempre una Smith & Wesson calibro 38 special. La definizione che dà di se stesso è quella di un ladro gentiluomo, giocatore incallito ma affidabile. Secondo la sua versione, è proprio lo “sgarro” subito dall’amico Maurizio Parenti e da Giorgio Centanaro, le sue prime vittime, a farlo diventare un assassino:“con quella frase pronunciata da Maurizio per l’ennesima volta mi sono sentito pugnalato alla schiena …”.

Analisi della perizia psichiatrica

I consulenti del p.m. procedono in questo modo: in primo luogo sono passati alla ricerca di elementi organici o somatici di rilievo attraverso una tomografia assiale computerizzata e un encefalogramma, escludendo elementi organici, anche con riferimento ai traumi cranici subiti in passato da Bilancia. Rossi e De Fazio hanno sottoposto Bilancia anche a tutta una serie di tests: il test Minnesota, il Rorschach è il test di Wais. L’intelligenza era di livello medio, tendente verso il buono. Il quoziente intellettivo è di 120. I test non hanno confermato né smentito quello che poi sarebbe emerso nel corso della loro indagine.

Poi procedono all’esame psichico. I periti riportano un’attitudine collaborativa da parte del Bilancia ma anche una certa tendenza alla manipolazione, al tentativo di controllare la situazione. Abile e convincente nell’argomentare, conduce il suo discorso con una precisa logica ed un buon rigore. Il Bilancia è del tutto adeguato nel comportamento, sul piano della coscienza dell’io la lucidità è perfetta, la memoria molto ben funzionante. Non ci sono disturbi dell’attenzione né della percezione. Il linguaggio non presenta alterazioni, non c’è traccia di linguaggio dissociato né incoerente. La psicomotilità è in ordine, la mimica fortemente espressiva e del tutto adeguata agli argomenti. Il pensiero non è alterato anche se alcune idee tendono ad assumere un valore prevalente: l’idea di essere stato dall’infanzia sempre maltrattato, tradito, ferito da coloro a cui concedeva affetto e confidenze e, l’idea di essere condannato alla solitudine perché incapace di instaurare un legame affettivo duraturo. Dal punto di vista dell’umore, descrivono il periziando come una persona con un livello di ansia notevole, vissuta come esperienza di inquietudine, irritazione ed un senso di risentimento diffuso. I momenti di pianto silenzioso corrispondono al ricordo di due perdite precise: quando parla della perdita dell’unica relazione sentimentale importante che ha avuto con una donna e, quando ricorda il suicidio – omicidio del fratello che si è gettato sotto il treno con il figlio di quattro anni in braccio a seguito di una serie di contrasti con la moglie.

In secondo luogo, i periti passano rivista alla storia di Bilancia dall’infanzia in poi, riportando alcuni elementi ritenuti rilevanti per comprendere la persona. Oltre un disturbo asmatico in tenera età Bilancia soffrì di enuresi notturna fino all’adolescenza, sintomo che causò rilevanti problemi di ordine psicologico. La madre esponeva i materassi umidi nella finestra per asciugarli, gesto che veniva vissuto dal figlio con un profondo senso di umiliazione e di vergogna, e che alimenta tuttora il suo rancore profondo e la ferita narcisistica. I conflitti familiari sembrano siano stati rilevanti. Fortemente condizionato da un padre egocentrico, scostante, autoritario, fuori luogo e disinteressato. La madre, una donna dipendente e sottomessa ai desideri e direttive del padre. Nel suo vissuto, si rappresenterebbe i genitori come attenti solo ai suoi bisogni materiali, non a quelli affettivi. L’aggressività emozionale, il senso di frustrazione, il risentimento verso il padre e, secondariamente, verso la madre sono vissuti e presentati con molta intensità. Il ricordo del padre che lo denuda da bambino davanti alle cugine zitelle per mostrare il suo pene è connesso ad un profondo sentimento di ferita narcisistica, di vergogna e di danno subito. Secondogenito, le preferenze della mamma per il fratello maggiore erano vissute con grande gelosia e, come una profonda offesa, una privazione umiliante. Questi traumi sarebbero alla base della sua incapacità di tollerare le frustrazioni e del bisogno continuo di risarcimento per quelle ferite antiche.

Già alla scuola media si comincia a profilare un comportamento antisociale, fino alla strutturazione del mestiere di ladro – che il Bilancia definisce come la mia professione. I periti spiegano: il suo modello era quello di un ladro ad alto livello, uno specialista con capacità tecniche, ad un certo grado di attitudine alla Arsenio Lupin, che ruba dove ce n’è e non danneggia nessuno.

Per far fronte al suo profondo senso di terrore della solitudine il Bilancia gioca. Cito i periti: non c’è soggettivamente nella narrativa del signor Bilancia il vissuto soggettivo del gambler, del gioco come discontrollo degli impulsi, ma piuttosto del gioco come tramite alla socializzazione, al rapporto con gli altri. Non avendo veri amici, tendeva ad essere prodigo con gli altri per ottenere compiacenza ed essere voluto.

Dal punto di vista sessuale, il periziando fa risalire il tutto all’episodio delle cugine.  Si rileva un’identità labile, con sentimenti d’insufficienza che il Bilancia tende a voler compensare – ad es., metteva cotone nei pantaloni – e che lo portano a non impegnarsi mai veramente in un rapporto affettivo, a vivere una sessualità prevalentemente masturbatoria, frequentando le prostitute. Confidarsi mai con nessuno, sembra sia stato il suo motto e la sua condanna.

I periti circoscrivono tre momenti che hanno scandito la vita emotiva di Bilancia: il primo, la esposizione del pene e l’enuresi durante l’infanzia, frattura insanabile con i suoi; il secondo, l’abbandono della ragazza che rende definitiva la sua sfiducia nell’amore; il terzo, la morte del fratello e il nipote (al quale si sarebbe identificato), che dona un senso di sfiducia e tradimento nella vita. La questione del tradimento sarà centrale nello scatenamento del passaggio all’atto omicida. Con un effetto après coup, la prima scena, nel lontano 1983 il tradimento da parte di persone che riteneva amiche. Un’altra volta è stato turlupinato con un metodo che ha insultato la sua intelligenza (con una serie di banconote non false ma facsimile). Ma è nel 1997 quando la frase sentita dall’amico Parenti lo colpisce in un modo inaspettato: “quello stupido l’ho agganciato”. I periti riportano: il primo episodio è, come si dice, la goccia che fa traboccare il vaso: questo omicidio era in attesa da anni sostituito fino ad allora dalla rivendicazione costituita dall’intrusione ladresca nella intimità altrui (…) ma la frase colta per caso, ha messo in moto l’intollerabilità finale, la ritorsione complessiva di tutti i torti e ingiustizie subite dalla prima infanzia e via via ingigantiti nel mondo fantastico fino all’oggi”.

 

Nel terzo punto della perizia, Rossi e De Fazio tentano di inquadrare il Bilancia in una categoria nosologica psichiatrica, compito che avvertono da subito, si presenta come improponibile. Sono stati esclusi quadri di tipo psicotico, sia di tipo schizofrenico che delirante. Escludono anche qualsiasi disturbo dell’umore (bipolare, monopolare e distimico). Riguardo il gambling non sembra ricondurre ad un disturbo del controllo degli impulsi. I periti escludono anche forme di parafilia, ritenendo le anomalie della sfera sessuale conseguenza di un forte deficit d’identità virile; Bilancia non sarebbe un “perverso specifico“, ma un “perverso polimorfo” con una sessualità prevalentemente masturbatoria con importanti elementi di scoptofilia. I consulenti escludono anche l’esistenza di qualsiasi sindrome di tipo dissociativo, c’è un’evidente unità dell’Io nel senso del vissuto mnesico e della coscienza. Ritengono molto importante invece incentrare l’analisi sulla personalità, anche se nemmeno qui è facilmente inquadrabile. Ci sono aspetti borderline, l’esistenza di una personalità istrionica, ma l’aspetto che ritengono fondamentale delineare è la componente narcisistica, la antica ferita narcisistica sempre aperta che preme per essere risarcita. Alla base (…) sta il cosiddetto narcisismo maligno, legato alla ferita narcisistica, tanto più insanabile quanto più è stata intensa e quanto più è stata antica.

Il Bilancia si auto descrive buono, generoso, tollerante, non vendicativo, sensibile, un uomo che ha sempre vissuto, invidiato. Rossi spiega che egli si sente una vittima, non un persecutore, un uomo buono esposto alla cattiveria degli altri. Il bisogno centrale è quello di essere qualcuno, un uomo di mondo, un ladro specializzato, internazionale, un giocatore da centinaia di milioni, ma di fondo c’è il vissuto di non essere nessuno, tradito e malvoluto, con un senso di tormentosa insufficienza.

La perizia psichiatrica di Rossi e De Fazio descrive Bilancia come una persona intensamente sofferente, che pare uscito da una tragedia sofoclea. Nel punto quarto, che ha come titolo natura e significato dei comportamenti sessuali, i periti fanno una lettura dei crimini con gli elementi delineati precedentemente – l’asse portante della lettura è sempre l’arcaica ferita narcisistica, insanabile e grandiosa che richiama una vendetta. I crimini delle coppie andrebbero a rinnovare la vendetta sulla coppia genitoriale. Quello sulle prostitute invece evidenzierebbe un desiderio di controllo totale sulla madre. Si evince con quale facilità si passa dal crimine immaginario all’atto omicida, instaurandosi una coazione a ripetere, un automatismo che spiegherebbe perché il sig. Bilancia non sa come mai questi gravi fatti siano potuti accadere.

Partendo da un’analisi dinamica i periti stabiliscono una classificazione degli omicidi: alcuni sarebbero delitti diretti da transfer, termine che sta ad indicare omicidi commessi per vendetta e per risarcimento, altri delitti pseudo-erotici, quelli in cui entrava nel gioco del serial killer erotico anche se l’elemento sessuale era secondario, delitti coperti da razionalizzazione con sembianza di rapina ma non diversi dagli altri e, delitti con tentativo di soppressione di una parte di sé infantile e scissa, quelli che parzialmente non riescono (con il trans sessuale e la prostituta di 51 anni) e il cui fallimento i periti attribuiscono ad un atto inconsciamente determinato per risparmiare il sé bambino o il sé madre. In sostanza, i primi delitti e quelli per rapina sono legati alla vendetta per essere stato umiliato da bambino, quelli delle donne dal desiderio di controllo totale sulla madre.

Rossi e De Fazio concludono “egli è un uomo preso da un turbine di conflitti e passioni profonde, che noi possiamo tanto più comprendere e spiegare quanto più ne approfondiamo la dinamica e la storia interiore (…) ma che non possiamo considerare, per causa di infermità psichica, affetto da una diminuita capacità di intendere e di volere”.

Spero di non essermi dilungata troppo, la perizia dei dottori Rossi e De Fazio risulta molto ricca ed articolata, scritta con stile fluido, costruita sulla base dei detti del periziando, che molte volte vengono citati. La perizia cerca di cogliere e spiegare i complessi meccanismi che stanno alla base del comportamento omicida del Bilancia, utilizzando come cornice concettuale la psicoanalisi  (con concetti cognati da A. Green, Kohut, ecc). Il concetto che più insiste in tutta la perizia è quello dell’antica ferita narcisistica che ricondurrebbe ad un imperioso desiderio di risarcimento, di vendetta e, che la frase pronunciata dal Parenti risveglia fino all’insopportabile, scatenando il primo passaggio all’atto. Da questo punto di vista, faccio notare che il passaggio all’atto non è motivato da una causa psicologica (la ferita narcisistica che si riaccende), né occasionato da un evento esterno qualsiasi ma, come indicano nella ricostruzione del passaggio all’atto i periti, è una frase, un elemento del discorso quello che scatena il passaggio all’atto omicida.

La perizia è incentrata sul comprendere la personalità del periziando nel tentativo di apportare una risposta scientifica alla serie di omicidi che egli ha commesso, di rispondere alla domanda sociale di produzione di significazione dell’atto criminale. A questo proposito, al dire di Franck Chaumon, Ciò che importa non è più l’atto ma l’autore, ed è nella psiche del criminale che si pretende di risolvere il crimine. La psicologia è richiesta sia per giudicare che per giustificare il senso della pena. Un’altra osservazione interessante di Chaumon è la seguente:

Se si ascolta con attenzione molti periti, si può temere una vera deviazione del discorso analitico. È a partire del metodo e dell’etica della cura analitica che sono stati forgiati enunciati che, fuori dal loro campo, costituiscono i nuovi strumenti di una politica penitenziaria. Rischio non da poco dal quale non si è esclusi davanti al compito di eseguire una perizia, per la natura stessa dell’incarico. Sono molti i concetti di sorgente psicoanalitica utilizzati nella stesura della perizia, a volte, utilizzati come vocabolario descrittivo. Così per esempio, succede con il concetto di perversione. Gli autori fanno riferimento ad una sessualità anomala, alludendo al periziando come  un perverso polimorfo. Sappiamo che per la natura stessa della pulsione parziale tutti gli esseri parlanti sono destinati ad una sessualità perversa. Questa è una conseguenza ineluttabile per fatto che non c’è rapporto sessuale per l’essere parlante. Inoltre, la perversione come struttura clinica non viene minimamente differenziata dal carattere perverso del fantasma di tutti i nevrotici. Ancora di più, si fa riferimento ad un sadismo come categoria prevalentemente simbolica (sic) che non prevede la dimensione omicida, ed alla mancanza di tratti feticisti, allineando tutti i fenomeni nello stesso piano. Qualcosa di simile succede con la realtà psichica, si parla di mistura tra il mondo fantastico e il mondo reale e del passaggio dal mondo interno al mondo esterno come acting. Questa proposizione ci ricorda la famosa formula freudiana del perverso che agisce ciò che il nevrotico fantastica. Il problema in questo modo di abbordare la questione è che si rischia di confondere perversione con passaggio all’atto, ovvero, di pensare che i perversi sono più tendenti al passaggio all’atto; è ancora di più, di confondere la perversione con le psicopatie e/o la delinquenza. Per quanto riguarda il passaggio all’atto, nella perizia questo concetto e quello di  acting out sono utilizzati in modo indifferenziato. Allora il Bilancia sarebbe una persona con tendenze agli acting out/passaggio all’atto, mettendo in scena il suo mondo interiore. Con Lacan i due concetti sono solidali ma non si confondono. Cosa sarebbe inscenare il mondo interiore? Qual’è la posizione del Bilancia di fronte alla serie di omicidi che ha commesso? Che posto avrebbero nell’economia soggettiva del Bilancia questa serie di passaggi all’atto omicida?. Nella tesi di Lacan sulla paranoia di autopunizione, egli connette il passaggio all’atto alla guarigione di Aimée, difatti il delirio della paziente sparisce, il passaggio all’atto è efficace. Nel caso del Bilancia, questa metonimia di omicidi, a cosa risponde? Il passaggio all’atto non sembra eliminare la fonte di godimento bensì retro-alimentarla, quello che i periti chiamano automatismo, una coazione a ripetere propria di un “super io perverso”. Alcuni omicidi sono perpetrati seguendo sempre lo stesso pattern, i periti fanno riferimento ad una ritualizzazione. In materia di godimento il perverso sa, e la ripetizione risponde a questo sapere sul godimento. La serie di assassinî sarebbe la ricerca dell’oggetto causa attraverso il crimine?

I periti fanno il tentativo di inquadrare Bilancia in una nosologia psichiatrica, compito che avvertono come improbabile. Tendlarz e Garcia Dante dicono in merito: si potrà finalmente apprezzare come saltino in aria quasi tutte le classificazioni diagnostiche da parte della psichiatria e la criminologia; come le conclusioni che prendono spunto dalle diverse classificazioni risultano non valide e contraddittorie. In mezzo a questa propulsione costante alla classificazione, la psicoanalisi mira a verificare la posizione del soggetto più che a cercare di inquadrare queste persone in una categoria della nosologia psichiatrica che procuri una spiegazione dell’atto poiché fra l’atto criminale e il soggetto c’è sempre uno iato incolmabile.

Il 12 aprile 2000, la Corte d’Assise di Genova emette la sentenza, condannando Donato Bilancia, aderendo pienamente alla tesi dei periti nominati dal pubblico ministero. Certamente anche la Corte esterna ha il fondato convincimento che Bilancia sia un soggetto “anormale” anche se non rientra in nessuna classificazione psichiatrica, del resto i suoi disturbi della personalità non sono stati disconosciuti nemmeno da periti e consulenti del pubblico ministero, ma ritiene altresì che questi disturbi non siano qualificabili come infermità ai fini degli art. 88 e 89 del codice penale e, dichiara Bilancia colpevole di tutti i delitti commessi, trattandosi di soggetto pienamente imputabile al momento di ciascuno dei fatti a suo carico accertati. Allora, se Bilancia fosse stato ritenuto non imputabile sarebbe stato inviato a un’ OPG (dopo l’ultima riforma dirottato al REMS) poiché pericoloso per la società (sic) e, la pericolosità è tutt’oggi dominio della psichiatria…le strutture cambiano ma questo resta immutato lasciandoci molti interroganti in sospeso.

Dott.ssa Gabriela Alarcón

 

 

1. Medico italiano (nato in Sicilia) considerato il precursore della medicina legale. Lo si ricorda soprattutto per la sua opera “De relationibus medicorum libri quatuor. In quibus ea omnia, quae in forensibus, ac publicis causis medici referre solent, plenissime traduntur”

2. L’opera è scritta da Étienne-Jean Georget al manicomio parigino della Salpetrière. La pratica della perizia psichiatrica diventa parte costitutiva del procedimento giudiziario già nel primo Ottocento. Secondo gli psichiatri alienisti, il “reo” giudicato folle dalle perizie non è imputabile, non è colpevole. E perciò solo un malato da assolvere, da segregare in manicomio, da curare.

3.  “Regolamento generale per gli stabilimenti carcerari e per Riformatori del Regno

4. Lo psichiatra veronese Cesare Lombroso aveva sostenuto che il compimento di un delitto fosse in sé segno certo che il soggetto soffre di una malattia di mente, intesa, secondo le teorie dell’Ottocento, come una degenerazione. Influenzato dagli studi di Morel, Lombroso intendeva il delitto come sintomo di una vera e propria alterazione anatomopatologica di aree cerebrali.

5. L’attribuire alla conformazione biologica e all’ereditarietà la responsabilità di un fenomeno come quello del crimine poteva scaricare la collettività dal senso di responsabilità. Così il delitto si riduce a una mera questione individuale.

6.  Ferri è ritenuto il sociologo della scuola positivista. Secondo quest’autore il delitto è sempre un fenomeno biopsicologico, legato sia all’individuo che all’ambiente e, lo studio della psicologia colletiva dovrebbe costituire il nesso fra la psicologia individuale e la sociologia.

Per R.Garofalo invece, giurista e magistrato a Napoli, studioso della psicologia criminale, tutti i delinquenti sono uomini psichicamente anormali. Il delitto è prodotto da un’anomalia morale congenita e quindi l’ambiente non ha una grande influenza sul delinquente.

7.  Tale cattedra venne ricoperta da Benigno Di Tullio (1896-1979), fondatore e primo presidente della Società internazionale di criminologia e sostenitore di una teoria della costituzione delinquenziale basata su criteri biotipologici.

8.  “La risposta al ‘bisogno di trattamento’ del non imputabile dovrebbe competere in prima istanza ad istituti e istituzioni – diversi da quelli della giustizia penale – competenti a operare per il superamento delle situazioni di disagio e incapacità (terapia, riabilitazione, rieducazione, e simili) (…) E’ diffusa in dottrina l’istanza di sostituire al criterio della pericolosità (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del ‘bisogno di trattamento’. Tale proposta merita accoglimento, sia sul piano terminologico (evitando così il messaggio stigmatizzante in termini di ‘pericolosità), sia su quello sostanziale della determinazione dei presupposti e del contenuto delle misure: ciascuna costruita e da applicare come risposta a un particolare e comprovato bisogno di trattamento (terapeutico, educativo, disintossicante, e simili)” Tratto da http://www.giustizia.it/giustizia/it/

9.  Legge 81/2014. Vedere anche il Decreto – legge 22 dicembre 2011, n°211 “Interventi urgenti per il contrasto dalla tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”. L’articolo 3 –ter disponeva e sanciva la chiusura dei sei manicomi giudiziari esistenti ancora in Italia entro il 31 marzo 2013 (cosa avvenuta nel 2015 dopo due proroghe) e l’istituzione di un numero di strutture regionali di dimensioni ridotte a esclusiva gestione sanitaria – le attuali Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive – REMS. Questo ha implicato dare un’altra risposta al soggetto folle che comete un reato, però la questione dell’imputabilità in rapporto alla pericolosità resta immutata.

10. Foucault Michel. “Gli anormali”. Corso al Collège de France. 1974 – 1975, Feltrinelli, Milano.

11. Venturini E, Casagrande D, Toresini L: “Il folle reato”, Franco Angeli, Milano, 2010.

12. Pirella A. Introduzione, in John Conolly. Trattamento del malatto di mente senza metodi coercitivi. Einaudi, Torino.

13.  Due sono i traumi subiti riportati nella perizia: nel 1972 quando precipitò con un camion da un viadotto autostradale rimanendo in coma per parecchi giorni e, nel 1990 quando la macchina su cui viaggiava (egli non era alla guida) s’infranse contro un palo, anche in quell’occasione è stato in coma diverse ore. C’è da chiedersi, anche se ci fossero stati riscontrati elementi di natura organica, in che misura questi potrebbero essere collegati all’atto omicida.

14.  Chaumon Franck, La ley, el sujeto y el goce, pag. 99. Editorial Nueva Vision, Bs As, novembre 2005 (di mia traduzione)

15. Op. cit. pag.100.

16.  La perversione per la psicoanalisi lacaniana è una struttura clinica che non può essere descritta in termini fenomenici. Di questo modo, Lacan smonta tutti i sensi comuni al riguardo proponendo di analizzarla con una struttura quatripartita (l’a, il $, S non barrato e la volontà di godimento). Per esempio, lì dove si crede che il sadico è chi fa soffrire l’altro, Lacan dimostra che in realtà il sadico è dedito ad essere strumento della volontà di godimento dell’Altro, situandosi del lato dell’oggetto (a) e cercando attivamente, non solo di far soffrire il partner ma sopratutto di angosciarlo per produrre la sua divisione ($). Rimando per approfondimenti a “Kant con Sade” negli Scritti, Einaudi, Torino 2000.

17. Tendlarz Silvia e Garcia Dante Carlos. “A quién mata el asesino” pag.165, edizione grama, Bs As, 2012.

( paragrafo di mia traduzione).