30 Mar L’etica e il desiderio dello psicanalista: in margine al seminario “l’etica della psicanalisi” (1959-60) – di Annie Tardits
Conferenza tenuta presso il Centro di Studi italo-francesi il 10 gennaio 2003
di Annie Tardits
Prima di diventare un pellegrino assiduo di Roma, Freud dovette per molto tempo accontentarsi di soddisfare in sogno il suo desiderio di vedere la città eterna. Egli poteva riconoscere in questo desiderio il simbolo ma anche il velo di altri desideri ardenti. Ma questo voto, questo desiderio, gli sembrava così irrealizzabile, così poco favorito dal destino, quanto il desiderio del suo eroe della adolescenza, il gran guerriero semita Annibale. Tra lui e Roma, tra lui e questo desiderio c’era una barriera da superare.
Gli incontri di Lacan con Roma, sono stati, spesso, degli appuntamenti molto importanti con ciò che può assumere figura di destino nel suo rapporto con la psicanalisi. Penso certamente al Rapporto di Roma, all’indomani della prima scissione, nel 1953, alle conferenze del 1967, alla conferenza, la Terza nel 1973, alla lettera che egli scrisse nel 1974 a tre psicanalisti italiani per impegnarli a fare scuola. Sono dei momenti e dei testi, molto importanti nel movimento della sua elaborazione teorica, ma anche per quello che fu il suo tentativo istituzionale di fondare una politica della psicanalisi. Sono dei momenti cruciali dove Lacan impegna il suo desiderio d’analista sia nel campo del sapere che nel campo del collettivo, in quanto questi due campi sono necessari al proseguimento dell’esperienza freudiana. Penso che uno studio alquanto sistematico degli interventi italiani di Lacan sarebbe sicuramente illuminante e che sarebbe interessante farlo alla luce del sogno di Freud.
Fra gli appuntamenti romani di Lacan, non bisogna dimenticare il colloquio con Enrico Castelli, nel gennaio del 1964, alcune settimane dopo la scomunica di Lacan e alcuni giorni prima della ripresa del suo seminario; per lui è un momento di passaggio. Lacan intitola la sua comunicazione “Del Trieb di Freud e del desiderio dello psicanalista”. Questo concetto di un desiderio dell’analista, centrale nella lettera del 1974, è stato determinante nell’invenzione di Lacan di un nuovo dispositivo di formazione il dispositivo della passe. Le coordinate etiche del desiderio dell’analista gli danno in effetti un posto decisivo nella formazione dello psicanalista. Il mio proposito oggi non è di seguire il destino di questa questione nell’insegnamento di Lacan – in quanto questo concetto rimane una questione aperta: cosa può essere il desiderio dell’analista? In che modo può avvenire in una analisi? Avviene forse in modo più o meno indipendente dal desiderio di diventare analisti. Ciò che vorrei tentare oggi è di evidenziare, con il seminario L’Etica della psicanalisi, l’emergenza di questo desiderio che Lacan nel 1974 definisce desiderio inedito.
Il concetto di desiderio dell’analista emerge nelle ultime sedute del seminario, precisamente il 22 giugno 1960, quando Lacan, dopo un certo numero di digressioni, riprende le questioni annunciate nella 1^ seduta: cosa ci porta di nuovo la scoperta freudiana nel campo dell’etica? Che cosa avviene degli ideali della psicanalisi? Che posizione sostiene l’analista nei confronti della domanda che gli viene posta dal paziente che si rivolge a lui? Come si orienta rispetto ad una domanda di guarigione ed anche rispetto alla domanda di felicità che alloggia nel cuore della domanda di guarigione?
Queste questioni, eminentemente etiche, riguardano il particolare di un’analisi ma trovano alcune delle loro coordinate nel momento culturale in cui ci troviamo.
Il particolare di un’analisi è determinato dal fatto che per avvicinare il sintomo o le difficoltà del soggetto l’analista e l’analizzante pongono l’ipotesi dell’inconscio, e che l’analista sostiene l’apertura dell’inconscio. Il momento della cultura, quello che Lacan chiama “ un certo momento dell’uomo”, è principalmente riferito da lui ai cambiamenti radicali introdotti nella cultura dalla scienza moderna. Lacan ipotizza per esempio nel seminario che la revisione dell’etica operata da Kant è un effetto del mutamento che produce la fisica newtoniana. Ma egli riconduce anche questo momento della cultura a dei cambiamenti di ordine politico ed economico.
E’ così che l’etica aristotelica del Bene Sovrano, che era una morale pensata per il maestro come una disciplina di felicità, una felicità raggiunta attraverso le virtù e non attraverso gli eccessi, ebbene quest’etica, non è più all’ordine del giorno. Un certo ordine del potere in una società di maestri e di schiavi fondava il servizio dei beni pensato da Aristotele. Ma tra Aristotele e noi vi è stato il declino, o per lo meno la radicale trasformazione, della funzione del maestro. Tra Aristotele e noi la felicità è diventata un fattore di ordine politico, l’oggetto di una rivendicazione, allo stesso tempo che il soddisfacimento dei bisogni per tutti gli uomini diventava una questione preliminare. Lacan manterrà sempre la necessità di quest’orientamento dell’esperienza analitica rispetto alle coordinate della cultura, alle caratteristiche particolari che esse danno al disagio determinato dalla cultura stessa.
La risposta che dà lo psicanalista alla domanda che gli viene rivolta concerne la fine che ci si può aspettare da un’analisi. Questa risposta impegna la responsabilità dell’analista nei confronti dell’analizzante, ma impegna anche la responsabilità della psicanalisi nei confronti della cultura ed in particolare nei confronti del discorso della scienza e dei suoi effetti. E’ ciò che dà una ampiezza particolare a questo seminario, e quello che rende necessario le digressioni che fa Lacan – i passaggi attraverso Aristotele, Kant, Sade, Antigone – per avvicinare l’etica della psicanalisi, per tentare di coglierne la specificità. Lacan sottolinea che senza questa dimensione etica i problemi tecnici e pratici di una psicanalisi particolare non potrebbero essere risolti.
Questa osservazione di Lacan, mi porta a proporvi di mettere questo seminario e il modo di procedere che Lacan vi sostiene in prospettiva con un altro approccio dei problemi che solleva la direzione della cura. Questo approccio era prevalente a quell’epoca nel discorso della psicanalisi ed in particolare nella formazione degli psicanalisti. E’ l’approccio tecnico delle questioni che l’analista incontra nella sua pratica. Con il seminario l’Etica della psicanalisi Lacan sottomette la questione tecnica alla prospettiva etica. Si può anche sostenere che egli sostituisce la questione etica alla questione tecnica. La “rarefazione” del termine “tecnico” negli anni che seguiranno questo seminario testimonia di questo spostamento che costituisce un autentico superamento nel discorso della psicanalisi.
Una variante dello scritto “Varianti della cura tipo” costituisce un buon indice di questo cambiamento di prospettiva. Nel 1955 Lacan parla in quest’articolo del
“rispetto di alcune forme tecniche, riconosciute necessarie da ogni analista al di là delle varianti della cura”. Queste poche righe sono riscritte in questa maniera per l’edizione degli Scritti nel 1966: “ Si tratta quindi di un rigore in qualche modo etico, al di fuori del quale ogni cura, anche imbottita di conoscenze psicanalitiche, non sarebbe altro che psicoterapia”. Egli aggiunge che questo rigore etico esige una formalizzazione, da non confondere con il formalismo pratico. Se la deontologia e il formalismo tecnico mirano ad elencare ciò che si fa e ciò che non si fa, l’etica mette in gioco un altro rigore, un’altra posizione, ed esige altre categorie per sostenere le conseguenze della scoperta freudiana. Non si tratta del fatto che la questione “ come fare? ” non si pone. E’ sicuramente la domanda del principiante nella pratica, ma tale domanda può porsi in questo o quel momento delicato di un’analisi a qualsiasi analista esperto. Lacan non misconosce sicuramente questa domanda ed egli vi si confronta nel momento in cui si accinge ad esplorare con Sade la questione del godimento. In che cosa la sua ricerca sui fini etici può riguardare l’aspettativa dell’analista che s’insedia, che inizia la sua pratica? La sua domanda impaziente – come fare? – si rivolge al registro della tecnica sperando di trovarvi una certezza professionale. Lacan risponde con una metafora sostenendo che la risposta tecnica non basta a garantire la realizzazione dello scheletro che farà dell’azione dell’analista qualcosa di vertebrato. Peggio, la falsa garanzia tecnica produce un’infatuazione che rappresenta la faccia nascosta di una delusione intima e di una rivendicazione segreta. Questo perché è la struttura stessa dell’esperienza che impone la prospettiva tecnica.
Tuttavia, Lacan ha aperto il suo seminario confessando la sua esitazione ed il suo timore ad avvicinare questo tema. Siamo in un’epoca in cui i burocrati dell’istituzione rimproverano, di fatto, a Lacan le varianti che egli porta alla conduzione tipo delle cure, essenzialmente la variazione della durata delle sedute. Queste varianti sono considerate come delle mancanze alla regola tecnica, delle trasgressioni, in un misconoscimento completo dei fondamenti teorici, clinici ed etici di questa pratica. Il superamento che Lacan opera con il seminario sull’etica della psicanalisi, è un passo in più poiché si tratta del superamento dell’approccio tecnico stesso. Così facendo egli impegna la propria responsabilità anche nei confronti degli allievi e degli analizzanti che seguono il suo insegnamento. Se, come vedremo, il desiderio ci mette di fronte ad un limite, possiamo intendere che nel modo di andare al di là del suo proprio timore, di oltrepassare il limite della sua paura, il desiderio di Lacan è in gioco. Questo desiderio è il suo desiderio d’analista e non soltanto il desiderio della persona che si chiama Jacques Lacan e che si trova ad essere analista.
Nel discorso tecnico, il desiderio dell’analista come persona, entra in gioco nel capitolo del contro-transfert. La nozione, etica, di desiderio dell’analista, che emerge come una conseguenza dell’ampio confronto di Lacan con altri punti di vista etici, è in qualche modo sostituita alla nozione di contro-transfert. Questa nozione è presente in Freud ma è raramente utilizzata da lui. Essa indica l’influenza che può avere il transfert sui sentimenti inconsci, le emozioni, i giudizi dell’analista. Una influenza che somma la sua complicazione alle complicazioni che Freud scopre con l’analisi di Dora e che attengono alle manifestazioni transferali del paziente. Una delle poste in gioco dell’analisi dell’analista e poi della sua analisi di controllo è di ridurre questo contro-transfert, di controllarlo precisamente, nonché di farsi guidare da lui, se si pone l’ipotesi di una risonanza da inconscio ad inconscio. Il contro-transfert indica che il limite che può raggiungere l’analista dipende dalle sue resistenze, dai propri complessi, dai suoi pregiudizi, nonché dalle sue teorie, e anche dal proprio desiderio. Questi elementi parassitano l’attenzione fluttuante richiesta dal suo ascolto, un’attenzione fluttuante che è una regola di sospensione di tutti quegli elementi parassiti che attengono alla posizione soggettiva dell’analista. L’uso della nozione di contro-transfert si è accentuato presso gli allievi di Freud.
Essa trascina con sé una concezione dell’analisi considerata come situazione inter-soggettiva. L’implicazione soggettiva dell’analista vi è presentata sempre tinta di passione, sempre minacciata di soccombere a questa o quella modalità di seduzioni messe in opera dall’analizzante nel transfert, sempre ai limiti dell’errore tecnico. Ciò costituisce uno dei fondamenti dell’ortoprassi che vigeva e che vige ancora nell’Associazione Internazionale di psicanalisi. Il seminario, l’Etica della psicanalisi rinnova radicalmente l’approccio dei problemi che pone la pratica mettendo la prospettiva etica in cima alla questione tecnica. Ma quale etica, qual’ è l’etica che impone la struttura della nostra esperienza?
L’etica consiste in un giudizio sulla nostra azione in quanto quest’azione implica essa stessa un giudizio. L’analista, in effetti, nella cura non deve solamente pagare di parole, ciò che fa con l’interpretazione, egli deve pagare del suo giudizio sulla sua stessa azione se una parte di ciò che fa gli rimane velato. Perché ci sia un’etica della psicanalisi, occorre che l’analisi porti qualche cosa che opera come la misura della nostra azione, una misura che l’ortoprassi non porta e che non deve essere tanto meno presa a prestito dagli ideali della cultura o alle sue ideologie. Lacan in questo seminario comincia dunque a tirare le conseguenze etiche della scoperta dell’inconscio e del rapporto con l’inconscio che permette l’analisi. Egli vi sostiene che se c’è un’originalità freudiana in materia d’etica, se la scoperta freudiana ci conduce ad una revisione dell’etica, ciò avviene dando un posto nuovo al desiderio.
Permettere al soggetto di ritrovarsi nell’impalcatura significante delle sue formazioni dell’inconscio e dei suoi sintomi non costituisce il tutto di un’analisi se l’analisi non mira al solo sintomo ma all’economia nevrotica che lo condiziona. Se comunque in quest’economia nevrotica il soggetto è alle prese con i paradossi e le situazioni senza scampo del suo desiderio , l’analisi gli dà dunque una possibilità, per lo meno se lo vuole, di chiarire il suo desiderio. Da lì è partito Freud, dal “Wunch”, dal desiderio, nella sua forma irriducibile, indistruttibile, indomabile, che costituisce la specificità stessa di ognuno di noi. Là dove Aristotele poneva tutto un registro del desiderio, i desideri sessuali, fuori dal campo della morale, riferendoli piuttosto ad una bestialità, Freud rida il suo posto al desiderio senza escludere la perversione polimorfa delle sue forme infantili, delle forme per certi aspetti indistruttibili.
Prima di dare alla sessualità infantile il posto che gli spetta nella strutturazione del desiderio, Freud ha scoperto il rapporto paradossale che abbiamo con il desiderio. Egli l’ha scoperto nel suo incontro con le isteriche così come lo evidenza, nell’Interpretazione dei sogni, il sogno della bella macellaia. Egli l’ha scoperto anche con la propria analisi, pur considerandosi poco nevrotico. Il sogno rende leggibile che dei nostri desideri, che s’organizzano in finzioni, in fantasmi, non ne vogliamo sapere, gli censuriamo gli rigettiamo. I sogni romani di Freud sono uno dei numerosi esempi, direttamente correlati con un interdetto portato sul desiderio nella realtà. In una piccola nota aggiunta nel 1909 al suo libro, Freud ci dice che gli è bastato un poco di coraggio per attuare questo desiderio di Roma a lungo considerato come irrealizzabile. Egli ha anche scritto, che deve al suo coraggio l’aver potuto esplorare il sogno ed il modo con il quale il desiderio vi opera.
Questo modo di sottolineare la parte del coraggio nell’elucidazione, nonché nella realizzazione, del desiderio, situa molto chiaramente la dimensione etica dell’esperienza freudiana in quanto essa dà al soggetto una possibilità di ritrovarvisi come desiderante. E’ lì che Lacan situa, l’apporto specifico di Freud nel campo dell’etica: la misura della nostra azione, la sua misura etica è il rapporto dell’azione al desiderio che vi abita. E’ lì anche la misura dell’azione dell’analista. Questo oltretutto perché il desiderio dell’analista, situato come desiderio dell’Altro dall’analizzante, costituisce l’operatore essenziale nell’interrogazione etica sul senso del desiderio, nella sua elucidazione.
Quindi, che cos’è il desiderio dell’analista se non quello della persona x o di quella che occupa il posto dell’analista? Tale è la nuova questione che emerge alla fine del seminario L’etica della psicanalisi. L’ultima pagina di “La direzione della cura”, la cui redazione è della stessa epoca del seminario, testimonia che Lacan è consapevole di varcare un passo formulandola. Egli ha appena ricordato ciò che ha ribadito con insistenza negli anni ’50, a proposito della formazione degli psicanalisti: l’analista deve essere un letterato per formare il suo orecchio a decifrare le formazioni dell’inconscio, egli deve esserlo anche per captare il desiderio nella sua determinazione attraverso le reti, le maglie della lettera.
Ma a tutto ciò egli aggiunge: “Andiamo più lontano. Interroghiamo ciò che deve essere dell’analista (dell’”essere” dell’analista) riguardo al proprio desiderio” (Scritti p. 642). “Andiamo più lontano”: con questa questione, Lacan supera il limite che imponeva l’approccio tecnico. Sono le coordinate di questa questione, della sua emergenza, che vorrei adesso, cercare di rilevare.
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La questione del desiderio dell’analista avviene come una conseguenza, in qualche modo una conseguenza logica dell’interrogarsi di Lacan sull’etica della psicanalisi. Devo ritornare, purtroppo molto rapidamente, a questo interrogarsi di Lacan. Nel confrontarsi con l’etica d’Aristotele e l’etica di Kant, con le loro problematiche del Bene Sovrano, Lacan interroga quale cambiamento il riferimento freudiano porta al paradosso del desiderio. Egli lo avvicina mediante la distinzione tra il principio di piacere ed il principio di realtà. Questo dà luogo ad una lettura inedita, per certi versi eccezionale di un testo del 1895 che Freud non desiderava pubblicare, “Progetto di una psicologia scientifica”. La sua lettura non manca di evocare un aspetto del modo di procedere di Freud nell’elaborazione del sapere; nel caso del suo libro L’Uomo Mosè e la religione monoteistica egli paragonava la sua costruzione ad una ballerina che sta sulle punte. Il seminario l’Etica è anche una ballerina che sta sulle punte. L’estrapolazione da parte di Lacan di “das Ding”, la Cosa, di un passaggio del “Progetto” costituisce una di quelle punte; l’altra è forse la sua lettura di Antigone. Freud indica che l’esperienza di soddisfacimento è sospesa all’altro, l’altro che dà le cure necessarie al bambino durante il suo lungo periodo di prematurazione. Questo umano prossimo si trova ad essere, ed è questo l’ essenziale, un soggetto parlante, sottomettendo immediatamente la soddisfazione del bisogno al registro significante della domanda. Il complesso dell’umano prossimo, del “Nebenmensch”, costituisce la prima apprensione della realtà nel suo rapporto più intimo al soggetto. Lacan sottolinea che in quest’esperienza inaugurale dell’umano prossimo il soggetto isola un elemento dell’altro che s’impone come radicalmente estraneo e con il quale si costituisce il rapporto più intimo.
Con la sua costanza, quest’elemento, questa cosa, “das Ding”, è il primo esterno del soggetto, estraneo nonché ostile; è il primo esterno intimo intorno al quale si orienterà tutto il cammino del soggetto, ciò a cui si riferiscono le sue aspettative ed i suoi desideri. E’ l’Altro assoluto del soggetto, che si tratta di ritrovare e che non può esserlo, l’Altro preistorico, indimenticabile e per sempre irraggiungibile.
“das Ding” è quest’oggetto intorno al quale gira tutta la gravitazione delle rappresentazioni inconsce e dei significanti della domanda, ivi compresa nella sua forma più o meno velata di domanda d’amore. ”das Ding” fonda l’orientamento umano verso l’oggetto come attesa di qualche cosa regolata dalla Cosa ma sempre ad una certa distanza da essa. La scoperta di Freud, la sua audacia, è nell’aver identificato il desiderio dell’incesto al desiderio più fondamentale e nell’aver indicato nell’interdizione dell’incesto il principio della legge fondamentale. E’ come dire che la madre, la cosa materna, occupa il posto di “das Ding”. Il desiderio per la madre non potrebbe essere soddisfatto in quanto sarebbe la fine, l’abolizione di tutto il mondo della domanda che struttura nel modo più profondo l’inconscio dell’uomo. La distanza da “das Ding” è la condizione stessa della parola, del soggetto. Lacan trae la conseguenza etica dal passo varcato da Freud: “Il Bene Sovrano, che è “das Ding”, che è la madre, l’oggetto dell’incesto, è un bene interdetto e non c’è altro bene”.
L’etica comincia nel momento in cui il soggetto pone la questione di questo bene e scopre che l’oggetto del suo desiderio è sempre tenuto da lui a distanza. Questa struttura del desiderio è la struttura ultima del desiderio dell’incesto, intimamente legata alla legge della sua interdizione.
Il primo tempo del seminario è l’ampliamento del quadro completo che ho cercato di tracciare. Lacan, quindi, si impegna ad esplorare ciò che l’essere umano ha potuto elaborare e che trasgredisce la dialettica del desiderio e della legge. Queste trasgressioni consentono un rapporto al desiderio che varca questo luogo d’interdizione, che ritrova, aldilà della legge, un rapporto con il reale di “das Ding”; non senza conseguenze naturalmente. Si tratta di esplorare ciò che questi tentativi e le loro conseguenze ci insegnano. Ma questi tentativi aprono sia alla dimensione del godimento cattivo, quello che può esemplificare l’antimorale di Sade, che sulla via della sublimazione, ma anche sull’avventura della scienza. Lacan suggerisce che, prima di prendere la sua indipendenza dal “das Ding” umano affidandosi totalmente alle piccole lettere dei matematici, la scienza ha tentato a modo suo di rispondere all’esigenza di “das Ding” cercando di conoscere ciò che si ripete, ciò che ritorna sempre allo stesso posto, ciò che Lacan nomina il reale. Non è estraneo all’audacia di Freud, il fatto che l’uomo di desiderio che egli fu, è stato prima un uomo di scienza. Durante il suo cammino, Lacan riesce, di fatto, a leggere una delle costruzioni audaci di Freud per rendere conto della ripetizione, la sua ipotesi di pulsione di morte. Lacan vi riconosce un necessario punto d’abisso che indica il punto dell’insormontabile che lui, Lacan, indica come quello della Cosa. E’ come dire che il “campo di battaglia della nostra esperienza” ha il più grande rapporto con questo aldilà della barriera dove si organizza l’inacessibilità dell’oggetto in quanto oggetto di godimento, ma anche la difesa contro il desiderio. Quando per noi suona l’ora del desiderio, non ci avviciniamo. Ciò che fa il punto di inciampo del desiderio, l’ostacola alla sua realizzazione, deriva dal fatto che “il campo innominabile del desiderio radicale” è il campo della distruzione assoluta, del desiderio di morte.
E’ con Antigone ed il suo terribile volere di morte che Lacan interroga il punto centrale di attrazione del desiderio, il punto centrale di questa gravitazione che situa il posto del desiderio nell’economia della Cosa. Antigone, la fanciulla “così terribilmente volontaria” costituisce ai suoi occhi un riferimento essenziale nella ricerca di ciò che l’uomo vuole e contro cui si difende. Il dramma di ciò che vuole Antigone, di ciò che mira il suo desiderio, la porta ad un estremo dove ella si tiene, senza timore e senza pietà. Posta a questo limite del destino che attiene alla disgrazia delle Labdacide, la fanciulla dell’incesto incarna, varcando questo limite, il desiderio puro, il desiderio radicale in quanto egli è desiderio di morte. Nessun pathos lo determina. Se varca questo limite, fino a morirne realmente, è perché suo fratello, qualunque sia il suo crimine, ha diritto alla sepoltura. Egli ne ha diritto perché il suo nome ha fatto di lui un umano. Il valore incancellabile ed unico del suo essere attiene al solo linguaggio, alla potenza che ha la nominazione di instaurare il soggetto.
Lacan può concludere che Antigone si presenta come “il puro e semplice rapporto dell’essere umano con ciò di cui egli è miracolosamente portatore, ossia il taglio significante che gli conferisce il potere insuperabile di essere, verso e contro tutto, ciò che egli è”.
La figura implacabile d’Antigone apre su una questione che può sembrare vertiginosa. Se la ricerca del bene si presenta come un alibi del soggetto, una difesa nei confronti dello svelamento del suo desiderio, in qualche modo una illusione, fino a che punto possiamo andare nell’analisi, nella prospettiva di disfare le illusioni che fanno barriera al desiderio? Ed è precisamente in questo punto che emerge esplicitamente la questione finora implicita del desiderio dell’analista.
L’analista sa – egli lo deve sapere dall’esperienza della cura e non solamente da un corpus di conoscenze – egli sa che il desiderio in quanto esigenza metonimica di altra cosa, orientato ed aspirato da “das Ding”, non si realizza in una prospettiva di Giudizio Ultimo, implicante necessariamente la morte. Egli sa che la questione ancestrale del Bene Sovrano è chiusa ; egli non c’è l’ha e sa che non ce n’è.
Lacan formula quindi che ciò che l’analista può dare non è nient’altro che il suo desiderio, così come l’analizzante, “eccetto che è un desiderio avvisato ”. Egli aggiunge: “ che cosa può essere un tale desiderio, il desiderio dell’analista precisamente?”
Formulare così, a quel punto del seminario, il desiderio dell’analista come questione è porre la differenza tra questo desiderio ed il volere di morte fin dove Antigone spinge il suo desiderio. Ma è anche porre che il desiderio dell’analista deve essere avvertito del limite dove si pone la problematica del desiderio, una problematica centrale a qualsiasi accesso ad una realizzazione di se stessi. Egli è avvisato di ciò che è la legge del desiderio. Tenere una posizione responsabile nella direzione di una analisi implica l’aver incontrato questo limite che non si varca mai troppo a lungo senza incorrere in rischi più grandi . Il seminario “L’etica” chiarisce una formulazione anteriore di Lacan sulla fine richiesta dell’analisi di un analista. Egli ha potuto scrivere che tale fine deve consentirgli la soggettivazione della sua morte, il riconoscimento della morte come solo maestro “ affinché la vita che egli deve guidare attraverso tanti destini gli sia amica”. Il seminario “L’etica” fa capire che la vita, non potrebbe esserci amica, se non al prezzo di esserci inoltrati in questa zona, ove la morte deborda sulla vita, in un rapporto fondamentale al desiderio che è un rapporto alla morte, allo sconforto profondo, dove non ci si può aspettare aiuto da nessuno. In questa zona di smarrimento assoluto dove l’uomo tocca a ciò che è ed a ciò che non è.
La figura che Lacan convoca quindi è la figura di Edipo a Colono, che si distacca dal mondo dei beni e del potere, facendosi cieco, come lo furono Omero e Tirèsia, per entrare nella zona dove egli cerca di sapere la parola sottile sul desiderio. Edipo è convocato lì come figura del desiderio di sapere.
L’Edipo dell’ “Edipo-re “ non sa. Egli non sa che uccide suo padre e giace con sua madre. Egli è ingannato dal suo accesso alla felicità e dal beneficio dei beni. Egli è una figura di quel “ egli non sapeva” che è il rapporto più profondo del soggetto all’articolazione significante giacché il soggetto è conseguenza e non agente di quest’articolazione significante. Il campo centrale del desiderio sospende il soggetto a quel “ egli non sapeva”, ad un non sapere della struttura di questo “temibile sconosciuto che nominiamo l’inconscio”. Ciò che chiamiamo struttura, Lacan lo avvicina quindi invocando la “tirannia della memoria”, la memoria di ciò che l’uomo dimentica. E’ anche, in realtà, il libro del debito nella legge dove qualsiasi esercizio del godimento, qualsiasi superamento dell’interdizione instauratrice, è iscritto come debito da pagare. Lo svelamento del desiderio è l’elucidazione di ciò che sostiene per ognuno di noi il “tema inconscio”, “l’articolazione propria di ciò che ci fa radicare in un destino particolare, il quale esige con insistenza che il debito sia pagato”.
E’ in questa zona di svelamento del desiderio, pagando con l’accecamento che egli s’infligge, che Edipo avanza a Colono. Nel suo desiderio di sapere ciò che è il desiderio egli avanza, in modo differente rispetto ad Antigone, nel superamento di un limite. Là dove si potrebbe dire che Antigone incarna il desiderio puro senza nulla volere sapere di ciò che è questo desiderio, di ciò che è questo destino che incarna e perpetua con la sua morte, Edipo a Colono varca il limite di un non volere sapere nulla del desiderio. E’ come desiderio di sapere che il desiderio dell’analista sostiene l’analizzante nell’elucidazione del suo desiderio. Svelare questo desiderio può consentire all’analizzante di accedere alla propria legge, ossia alla legge del destino che si è articolata nelle generazioni precedenti. Questo destino non è necessariamente tragico ma non è senza qualche rapporto con la sventura.
Il desiderio di sapere dell’analista non opera solamente nel campo delle cure che egli conduce; egli opera anche nel campo dell’elaborazione e della ricerca tramite i quali egli sostiene, con altri, il perseguimento dell’esperienza. Freud non manca, riguardo anche a questo registro, di sottolineare la dimensione etica di questo desiderio di sapere. In concomitanza di alcuni momenti di superamento teorico, egli nota che ciò che è all’opera quindi è un coraggio, il coraggio di sostenere questa o quella nozione che l’esperienza o la ricerca teorica impongono. La dimensione etica del desiderio di sapere conduce Lacan, in questo seminario, ad interrogare lo scarto che può esserci tra il desiderio di sapere dell’analista e la passione di sapere che è all’opera nel discorso della scienza. Il confronto si impone per almeno due ragioni. Innanzitutto perché Freud ha inscritto la psicanalisi in una esigenza di scientificità. All’epoca di questo seminario Lacan non arretra a parlare della psicanalisi come di una scienza del desiderio, ad evocare anche una scienza del bene e del male, scienza che naturalmente non ha nulla a che vedere con le scienze umane. L’altra ragione, che Lacan avvicina nel corso del seminario, è che il discorso della scienza e le sue conseguenze nella cultura complicano il problema del desiderio. Ciò che, attualmente, come scienza, occupa il posto del desiderio, è la scienza nel senso corrente del termine, che corre allegramente per compiere ogni tipo di conquiste.
A lungo rimosso, educato, moralizzato, addormentato, il desiderio si è rifugiato nella passione sottile e cieca del sapere. “ E’ quella che conduce un treno che non ha detto la sua ultima parola”. Un problema maggiore dell’organizzazione universale è quello di sapere che cosa farsene di questa scienza che persegue qualcosa di cui gli sfugge l’essenza. Perché se la scienza occupa il posto del desiderio, essa non sa e non vuole sapere ciò che vuole questo desiderio, ciò che è la legge del desiderio.
Un passaggio importante del seminario, il 18 maggio, situa lo scarto decisivo tra il discorso dell’inconscio ed il discorso della scienza. Essi hanno in comune lo svelare la potenza del significante come tale. Ma il discorso dell’inconscio è costituito da una memorizzazione dove l’oblio è decisivo, in quanto l’elisione di un significante originariamente rimosso costituisce il posto stesso del soggetto. Il discorso della scienza, mantiene tutta la sua potenza dal fatto che nulla viene dimenticato; è ciò che costituisce la sua condizione. Nel discorso dell’inconscio, il desiderio mantiene il suo carattere enigmatico in quanto il significante può venire a mancare. Nel discorso della scienza il desiderio è implicato in un altro modo, in un movimento di svelamento radicale, senza scarto , lo scatenamento del quale può confinare con la pulsione di morte. Questa frontiera dove ci troviamo , dove non sappiamo ciò che ne verrà, dà tutto il suo senso ed il suo peso alla nozione freudiana di pulsione di morte come termine ultimo possibile di un desiderio che non vuole sapere nulla della sua legge. Lacan situa in quel punto una responsabilità della psicanalisi, non solamente nelle analisi, una per una, ma nel campo della cultura, così come la scienza e le sue applicazioni la determinano oramai.
Questa prospettiva, dove Lacan non è lontano dal condividere il pessimismo di Freud, dà tutta la sua valenza allo spostamento operato da Lacan riguardo all’approccio tecnico della nostra pratica rispetto al suo approccio etico. In occasione del colloquio con Enrico Castelli, a Roma nel gennaio 1964, Lacan riprende la sua questione, una questione che egli non abbandonerà: “ cosa può essere il desiderio dell’analista? Quale può essere la cura alla quale egli si dedica?”. Nella discussione che segue la sua comunicazione, gli viene chiesto: “in che misura il desiderio dell’analista fa rientrare la tecnica analitica nel mondo delle tecniche?”. Lacan risponde: “ sono due cose eterogenee”. La sottomissione della pratica analitica all’esigenza etica la riconduce in effetti ad una modalità del desiderio radicalmente eterogenea alla modalità del desiderio che si è messo al servizio dello sfruttamento tecnocratico.