Il nodo che snoda – II parte – di Marc Darmon

Il Seminario di Lacan su Joyce è molto adatto trattare questa questione, perché Lacan nel corso di tutto il Seminario si domanda se Joyce sia folle. Possiamo chiederci se la clinica non ci mette in presenza di soggetti che si sono costruiti un sinthome per riparare ad un nodo che, a seguito della forclusione del Nome-del-Padre, si sarebbe sciolto. Penso che vi sia una grande differenza tra i soggetti che si sono fabbricati un sinthome, quali Joyce, e ciò che la clinica contemporanea ci presenta oggi – ciò che Melman ha chiamato L’homme sans gravité. È un tema molto discusso.

di Marc Darmon

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Drazien. – Vorrei cominciare col porre una domanda: Lacan ci dice che bisogna fare un uso stupido dei nodi, ha indicato che c’è qualcosa anche nella manualità, nel fatto di toccare il nodo che è interessante per noi.Darmon. – Sono assolutamente d’accordo con questa osservazione che ci sciocca perché in genere non abbiamo voglia di manipolare i nodi, ci sembra quasi una pratica infantile. Allora perché Lacan ci consiglia di manipolare in modo stupido i nodi?
Credo perché, a nostra insaputa, noi pensiamo in rapporto alla pancia [in francese Lacan fa giocare penser, pensare, e panse, pancia N.d.R.], vale a dire che il nostro Immaginario poggia sulla nostra percezione del corpo e che l’immagine della sfera è prevalente. Vale a dire che, a nostra insaputa, facciamo della topologia sferica e molte delle nostre difficoltà provengono da qui. Cosa possiamo trarre dalla manipolazione dei nodi?
Ci renderemo subito conto della nostra goffaggine e dei molti errori – e Lacan insisteva molto sugli errori che lui commetteva nel costruirli – mentre la manipolazione dei nodi ci farebbe scoprire delle proprietà assolutamente sbalorditive.
Vi avevo mostrato come un nodo legato due volte poteva essere sciolto facendo un ulteriore nodo che rendeva il nodo ancor più complicato. È qualcosa che sorprende il nostro Immaginario. Ma se continuiamo a pensare a partire dalla sfera, anche la semplice concezione del nodo borromeo è sbalorditiva. Il fatto di concepire la catena classica è conforme all’Immaginario della sfera. Vale a dire che si capisce subito che all’interno di questo cerchio può scivolarne un altro e che il primo fa da limite al secondo . È molto più difficile per noi concepire un legame a tre in cui le consistenze, vale a dire i vari anelli, sono indipendenti a due a due. Penso che con questi nodi Lacan volesse presentare questo carattere di sorpresa e dimostrare la defaillancedell’Immaginario.
In che modo Lacan è arrivato al nodo?
Sin dai suoi primissimi lavori, Lacan ha cercato un punto d’appoggio: lo ha cercato nelle scienze, la linguistica o la matematica; cioè, stava cercando un Reale che permettesse all’analisi di divenire scientifica. È la ragione per cui si è interessato alla topologia. Ma il nodo, la catena in quanto metafora sono comparsi molto presto nel suo discorso e anche l’idea di una connessione tra le tre categorie – Reale, Simbolico e Immaginario – appare molto presto nell’opera di Lacan. L’immagine della catena significante è anch’essa una metafora molto ricorrente. Dapprima, Lacan si è interessato alla topologia delle superfici, ma, come per i nodi, ciò che lo interessava in questa topologia delle superfici era il carattere sviante e sorprendente della topologia.
Penso che tutti conosciate la striscia di Möbius. La striscia di Möbius ha un carattere sorprendente: sembra avere due lati e, invece, i due lati sono in continuità. Abbiamo così una striscia in apparenza bilatera che, in realtà, è unilatera. Allora dobbiamo immaginare un essere piatto che si sposta su questa striscia, siamo noi quest’esserino piatto che si sposta sulla striscia, vale a dire che siamo incapaci di cogliere la struttura che ci condiziona.
Un’altra proprietà sorprendente della striscia di Möbius è quello di essere equivalente ad un taglio. Anche questo è sorprendente, vale a dire che se facciamo un taglio lungo il bordo della striscia, si stacca una striscia di Möbius centrale da una doppia striscia di Möbius ai lati. Così se facciamo questo taglio sulla linea centrale della striscia di Möbius, otteniamo solo una striscia bilatera mentre la striscia di Möbius centrale è scomparsa. Lacan allora propone: è il taglio. La striscia centrale di Möbius che è scomparsa è il taglio. Questo permette di dare al soggetto uno statuto di taglio insostanziale. Ecco un altro carattere sorprendente.
Con il nodo borromeo abbiamo a che fare con queste stesse sorprese. Si tratta sempre di valorizzare il carattere limitante del nostro Immaginario.

Ora vorrei farvi sentire l’interesse della pratica di questi nodi. Agli inizi della sua opera, Lacan ha insistito nel dire che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Ci ha invitati a rileggere Freud e a considerare l’importanza del linguaggio. La sola arma dell’analista è l’equivoco significante con cui spera di far cedere il sintomo. Ciò che produce l’analizzante prende la forma di un enigma: è la situazione analitica del transfert e l’atto interpretativo dell’analista, che può essere anche una semplice puntuazione, produce un effetto di senso e disfa il sintomo. Perciò, i testi di Lacan sono lavorati per mettere in evidenza questa dimensione del dire (dit-mension).
Questo testo, 789 Néologismes de Jacques Lacan[1], raccoglie neologismi cioè parole lavorate, spesso enigmatiche e che sono fatte per far lavorare. Vale a dire che il lettore si trova messo a lavoro come succede in un’analisi – che sia nel posto dell’analizzante o dell’analista. Dunque i suoi neologismi sono intenzionali, voleva dimostrare qualcosa. Come ho già detto ieri, non è il caso di Joyce. La scrittura di Joyce è enigmatica per essenza. Se l’unica arma dell’analista è l’equivoco, l’analisi allora si limita a questo? È il nodo che ci dà l’opportunità di cogliere altro. Ho voglia di farvi qualche esempio, ma è difficile perché gli esempi vengono dalla clinica ed io ho sempre tendenza a dimenticarli. Li dimentico perché sono come motti di spirito: sono aspirati dall’inconscio non appena prodotti. Vi parlerò allora di alcuni esempi recenti.
Ogni analizzante presenta i suoi sogni come fossero enigmi. Vi racconto il sogno di un analizzante. Si trattava di un canale: era su uno dei bordi del canale (fr. canal), sull’altro bordo c’era un collega (fr. collègue) e una donna (fr. femme). La donna fa qualcosa che svuota l’acqua del canale. Nel sogno, lui pensa: se le acque del canale si svuotano, le alghe puzzeranno. Il collega, che era dall’altra parte del canale, entra nel canale in secca. Ma l’acqua risale e il sogno finisce. Non so se lo percepite come un enigma o se avete già delle proposte per dar senso. Io nel mio intervento mi sono limitato a ripetere la parola canale. Allora il paziente associa con una storia che il padre gli raccontava quando era piccolo. Il padre gli raccontava una storiella un po’ oscena, è un indovinello: “Come i portoghesi (fr. Portugaises) chiamano il sesso della donna?”. È una storiella che ironizza sull’accento dei portoghesi.
Drazien. – Bisogna dire che in Francia c’è stata una massiccia emigrazione di portoghesi di bassa condizione sociale. Molte di queste donne portoghesi sono diventate cameriere. Qui si tratta di una presa in giro di queste cameriere portoghesi.
Darmon. – Dunque si tratta dell’accento delle portoghesi che mettono una <sc> ovunque. Allora, come si chiama il sesso delle donne? È la cluse, la chiusa la porta del canale perché è da lì che entra il péniche [in francese indica una battello, ma è assonante alla parolapénis, pene, se pronunciato con la <sc> finale, cioè con il tipico accento portoghese, N.d.R.].
Il problema è che per lui, che è omosessuale, è l’anale (risuona in canal) che era oggetto del suo desiderio. L’intervento si è limitato a sottolineare un significante per far sorgere un senso. Cosa si può sperare da una simile operazione? Ci limitiamo forse a fare giochi parole? Quali trasformazioni reali possiamo attenderci?
Vi faccio un altro esempio. Un paziente sogna di essere nella sala d’attesa prima della seduta d’analisi. L’analista però non lo fa entrare nel suo studio (fr. bureau), ma nell’appartamento privato (fr. privé). Qui l’analista gli presenta la sorella (fr. sœur) che è molto simpatica. Si avvicina a questo paziente e lo tocca (fr. touche) ovunque. Lui è imbarazzato dalla situazione e eccitato sessualmente. Ho capito che era in gioco il verbotoucher, e che ero responsabile di questo sogno perché la volta precedente gli avevo consigliato qualcosa. Mi parlava di suo figlio che era arrabbiato (fr. fâché) con lui, che gli faceva dei rimproveri proprio quando si trovava nella situazione di diventare padre a sua volta. Questo paziente ha una defaillance a livello della funzione paterna su cui non intendo dilungarmi. Ho scelto comunque d’intervenire in quel momento perché lui aveva intenzione d’intervenire in modo molto violento. Gli ho detto di scrivere a suo figlio e di dirgli che era stato toccato (fr. touché) da ciò che gli aveva detto e che era pronto a parlarne. Ed effettivamente è stato toccato da questo intervento. Questo secondo esempio vi può far sentire come il Reale si annoda al Simbolico e, in modo privilegiato, perché di tratta del legame padre figlio.

Come il nodo può presentarci questo? Vi faccio un nodo borromeo. Ecco un nodo borromeo a forma di orecchio piegato, il nodo classico quale lo conoscete: il celebre nodo della trinità. Ogni componente di questo nodo è libera in rapporto con le altre due, vale a dire che tra queste componenti non c’è nessuna catena di un legame due a due, eppure tiene a tre. Lacan ha scritto delle parole all’interno del nodo. Se abbiamo l’Immaginario in alto, il Simbolico giallo e il Reale bianco, nel trou compreso tra Immaginario e Simbolico Lacan ha scritto la parola senso. E in effetti il rinvio da un significante all’altro produce del senso, che è un effetto immaginario. Ciò vuol dire che, quando parlate, la significazione di ciò che dite si produce nell’Immaginario. Come può una pratica di linguaggio in qualche modo cambiare qualcosa nel Reale del soggetto? Nel buco tra Immaginario e Reale ha scritto il godimento dell’Altro e in quello compreso tra Simbolico e Reale ha scritto il godimento fallico. Nel centro l’oggetto piccolo a. Ma sono semplici buchi? Sono anche punti d’intersezione e l’oggetto a è ciò che aggancia le tre consistenze quando si allontanano l’una dall’altra. Questo ha degli effetti sugli altri punti di agganciamento (fr.coincement): serrare il senso produce effetti sugli altri punti. Vale a dire che anche se Simbolico, Immaginario e Reale sono indipendenti due a due, un effetto di senso può avere delle conseguenze reali. Solo il nodo – che ci permette di pensare (fr. penser) diversamente dalla pancia (fr. panse) – ci permette di concepire tali elucubrazioni e, in particolare, che un effetto di senso possa essere reale.
Lacan non ci dà ricette per manipolare questo nodi. Lo vediamo procedere tentoni, esplorare questa o quella proprietà, affermare cose a volte contraddittorie – ricordate ciò che dicevo ieri sulle suture. Allora che fa l’analista con questo nodo: taglia? Salda? Produce dei passaggi da sotto a sopra? Si accontenta di tirare sopra? Tutte queste questioni restano aperte, in Lacan non troverete risposte belle e fatte. Ci ha lasciato questo per pensare in un’altra maniera. Vi dirò ciò penso io sul perché dei nodi in Lacan e sul perché negli ultimi Seminari si accontentava di manipolare dei nodi in silenzio. Credo che Lacan fosse deluso dal discorso psicanalitico. Si era reso conto che restando nel Simbolico non faceva che alimentare gli altri discorsi. Forse, con queste esibizioni dei nodi, cercava disperatamente di cogliere cosa ne è del Reale e di far saltare il giro del discorso. Se avete delle reazioni, delle domande, delle osservazioni.
Albarello. – È una proposta per pensare in modo diverso alla pratica clinica.
Darmon. – Nella mia pratica il nodo mi serva in vari modi. Penso che tutti coloro che hanno una pratica avranno notato che, quando hanno un problema, questo apre loro le orecchie attorno a questa questione. [interruzione della registrazione] Ho scoperto molte cose interessanti riguardo la nominazione. Avevo, ad esempio, una paziente che era stata chiamata come suo fratello, solo con una e finale in più: Renée. Il che vuol dire ancherenaissance, rinascita. Lei era presa in questa nominazione immaginaria che aveva effetti inibitori su di lei. Lavorando questa questione a partire dai nodi – perché è la manipolazione dei nodi che ha permesso a Lacan di distinguere le tre nominazioni – ho acuito il mio ascolto. D’altronde, in generale, il lavoro dei nodi ….meglio, ogni intervento nel quadro di un’analisi può avere degli effetti reali. Solo i nodi possono indurci a pensare seriamente in questo modo. Altrimenti potremmo immaginare che ci sono cose che non contano. Ad esempio, riguardo le psicosi, questo Seminario sul sinthome mi ha insegnato ad essere molto prudente sulla questione della scrittura negli psicotici. Per esempio ho una paziente che scrive e a cui ho proposto di farmi leggere i suoi scritti, ma ho compreso molto in fretta che le era impossibile lasciarmi quel che scriveva perché era come lasciarmi un pezzo del suo nodo. Vi sono invece altri pazienti psicotici che mi affidano i loro scritti e questo è molto pericoloso, bisogna manipolarli come pietre preziose. Infatti possono reclamarli anche dieci anni dopo e bisogna restituirli immediatamente. Ma vi sono molti altri esempi.
È così che i nodi mi guidano nella pratica.

Credo che la lettera sia lì dove l’ha messa Lacan: vale a dire le lettera a piccolo. Ricordate cosa vi ho detto ieri dell’os-bjet? La lettera è un corpo estraneo, viene da Altrove. Abbiamo a che fare con il significante. E la lettera viene da Altrove: è l’osso dell’oggetto. Poiché questa lettera è di troppo in una parola – come la s nella parola oggetto [fr. objetè il termine in cui Lacan inietta una s, trasformandolo in os-bjet, N.d.R.] – produce degli effetti, eventualmente anche effetti di senso. Con il nodo Lacan propone un’altra scrittura. Perché avete quello che lui chiama la lettera in quanto precipitazione del significante, è ciò che deriva dalla rimozione, nella rimozione ciò che passa sotto sono le lettere che portano con sé morsi di godimento; c’è poi la scrittura dei nodi che è supporto dell’appensée [altro neologismo in cui Lacan unisce il termine pensiero e appoggio, N.d.R.]. Lacan ritiene che il nodo permette al significante di appoggiarsi. Si tratta ancora di un lavoro sulle lettere, in questo caso per mostrare che il nodo è il supporto del significante. Qui non abbiamo più a che fare con la lettera in quanto precipitazione del significante, ma ad una scrittura veramente primaria.
Malquori. – A proposito di Joyce, ieri diceva che Lacan presenta un nodo a quattro che non è borromeo. E, sulla clinica, che l’analista leva o no il sintomo. Anche Catherine Millot ci ha detto che a volte Lacan favoriva la formazione di un sinthome. Mi chiedevo se potesse dirci di più su questo nodo borromeo che sembra tale ma non lo è; e se c’è una differenza nella clinica tra questo togliere o favorire il sintomo.
Darmon. – Partendo dal nodo Lacan cercava di ridurre il sintomo. Giocare sull’equivoco significante per ridurre il sintomo. Si trattava di una nodo a tre in una prospettiva nevrotica. In un secondo momento Lacan ha parlato di un nodo a quattro in cui il quarto anello era la realtà psichica di Freud, l’Edipo, dunque un quarto nevrotico. Il Nome-del-Padre. Presentava un’operazione in cui si trattava di far passare il Reale due volte sopra il Simbolico, questa operazione aveva per effetto di staccare il quarto anello. A un certo punto ha lasciato sperare che l’analisi permettesse di far a meno di questo quarto nevrotico. Ma presto è tornato sui suoi passi perché, questo quarto anello, si svelava necessario per distinguere Reale Simbolico e Immaginario.
Quando nel Sinthome Lacan parla del nodo a quattro non è più questione di disfare il quarto. Allora lei mi parla del nodo non borromeo di Joyce. Quando il quarto anello viene per riparare un errore, occorre preservarlo. Non è strano che Catherine Millot sia stata testimone di questa preoccupazione di Lacan riguardo gli psicotici. E con nevrotici che facciamo? Lacan non ci dà ricette, però possiamo dire che non si tratta di staccare il quarto anello, ma di districare il nodo.
Per darvene un’immagine [lavora il nodo] abbiamo a che fare con questo: il lavoro dell’analista è quello di districare per dare maggiore elasticità, respiro. In questo lavoro ci sono operazioni di snodamento, ma non si tratta di disfarlo.
Morucci. – Quando si passa da un nodo borromeo a tre ad uno a quattro, il nodo si snoda?
Darmon. – Cosa intende per passare da un nodo a tre ad un nodo a quattro? Perché se si tratta di un nodo a quattro, quello a tre non esiste più. Ce ne vogliono quattro per annodare in maniera borromea questi quattro. Quando si apre un nodo borromeo a quattro, tre delle consistenze non sono legate in modo borromeo. L’operazione di cui ho parlato era, a partire da un nodo a quattro, fabbricare un nodo a tre facendo passare il Reale sul Simbolico. Questa operazione ha per effetto di costruire un nodo a tre, ma di staccare il quarto.
Armellino. – Come cambia la clinica differenziale con la clinica del nodo?
Darmon. – Quando Lacan ha introdotto il nodo distingueva solo tre strutture psichiche: il nodo normale a tre, cioè il nevrotico; il nodo dissociato, lo schizofrenico; e il nodo a trifoglio del paranoico. Non ci ha dato indicazioni sul perverso. Sembra che con Joyce il nodo ci permette di affinare le cose nel campo delle psicosi, perché non abbiamo più a che fare con un nodo semplicemente dissociato, o messo in continuità come il nodo del paranoico, ma abbiamo a che fare con un nodo con un errore riparato dal sinthome. Possiamo immaginare sinthome di varia natura. In Joyce è molto specifico, ma possiamo trovarne altri. In questo Seminario c’è un’indicazione molto interessante: la donna comesinthome. Quando Lacan esplora il nodo a trifoglio riparato, tiene conto di una riparazione sia nel luogo stesso dell’errore, sia negli altri due punti d’intersezione. Se la riparazione si fa negli altri due punti d’intersezione, allora lo scopo della riparazione è che il nodo a trifoglio falso assomigli ad uno vero. Quando si fa negli altri due punti, c’è un’equivalenza tra le due consistenze: quella del sinthome e del nodo. Se c’è equivalenza non c’è rapporto, perché ci sia rapporto occorre una distinzione. Se la riparazione avviene proprio nel punto dell’errore, le due consistenze non sono più equivalenti. Lacan parlava del rapporto di Joyce con Nora come di un vero rapporto sessuale. C’era non equivalenza, dunque rapporto. Qui è Nora che prende il posto di sinthome. Lacan ha anche immaginato che l’analista possa essere al posto del sinthome.
Armellino. – Gli anelli che non sono annodati tra loro, ma c’è un oggetto di sostegno – l’uomo senza gravità, di cui parlava – penso a sintomi contemporanei, ad esempio.
Darmon. – Ieri ho citato il testo di Melman per la nostra clinica contemporanea in cui riviviamo gli ultimi sussulti del Nome-del-Padre. Secondo Melman abbiamo a che fare con delle strutture in cui il quarto anello, questo annodamento tramite il quarto, non sarebbe più effettivo. Da qui la difficoltà del nostro lavoro di analisti. Perché se lavoriamo a partire dal transfert, come abbordare questo tipo di struttura?
Melman ha sottolineato la funzione dell’oggetto ha cui è delegato ormai il ruolo di produrre questa gravità. Ma, come ho già detto, non è l’oggetto a, ma un oggetto di godimento positivizzato. I nodi ci permettono di abbordare in altro modo la necessità di questo oggetto. Vale a dire che nel nostro modo di lavorare con questi soggetti avremo più rispetto per questa loro dipendenza, perché è questa dipendenza che li tiene.
Burzotta. – La verità è la castrazione, ci dice Lacan nei Quattro discorsi. Mi sembra che l’oggetto di cui parla Melman sia il latuse[2] di cui Lacan ci parla in questo Seminario.
Lei ha parlato di Nora come del quarto anello.
Darmon. – Nel nodo a trifoglio riparato.
Burzotta. – Ho già un problema nel concepire questo nodo a trifoglio, perché per ottenerlo da un nodo borromeo normale, occorrono tagli e suture. Sono necessarie due operazioni per ottenere la continuità.
Mi chiedo: il nodo di Joyce è un nodo con errore in cui l’ego tiene assieme i registri.
Ma nel nodo in cui c’è Nora che ripara il nodo, abbiamo un’altra situazione: abbiamo un paranoico riparato da Nora. Allora mi chiedo: cos’era Joyce? Un paranoico o cosa? Abbiamo un Joyce con le epifanie; e poi abbiamo un paranoico riparato da Nora. Insomma sono strutture un po’ diverse.
Darmon. – Potrei rispondere che il nodo riparato assomiglia a quello di un paranoico, ma non lo è. Qui Lacan suppone un errore che è stato riparato da un sinthome. Dovrei fabbricarlo per mostrarvelo. Se la riparazione ha luogo in questo punto, le due consistenze non sono più equivalenti. Allora Lacan immagina una riparazione in un altro punto, qui o qui, e ciò che ne risulta è un nodo in cui una delle due consistenze assume forma di un otto e l’altra di un cerchio. Ma possiamo interscambiarle a volontà. Questo primo nodo a trifoglio ha l’aria di essere il nodo del paranoico, ma non lo è. È una piroette rispondervi così.
La sua domanda risponde alla difficoltà che tutti, compreso Lacan, abbiamo provato. Lacan aveva la certezza di aver scoperto qualcosa, ma non sapeva davvero come prenderli. Molti tentativi, errori e una ricerca che è continuata sino alla fine. Sta a noi lasciar cadere questo o interessarci ad essi di nuovo: è la nostra responsabilità.
Burzotta. – Lacan disegna anche la treccia. Come va concepita, come qualcosa che è libera o come qualcosa che prosegue all’infinito, come la retta?
Darmon. – Penso che per Lacan le estremità della treccia non fossero libere. Nel Sinthomec’è un’osservazione in cui Lacan parla dei frayages (facilitazioni) di Freud e di una rete. Lacan ci dice che lui riprende solo questo, ma che queste reti che paragona ad una treccia, lui le precisa come catene. Quando disegna delle rette le considera come suscettibili di richiudersi all’infinito. Come nella geometria proiettiva c’è equivalenza tra la retta e il cerchio con un punto all’infinito. Dunque, quando Lacan fabbrica un nodo borromeo fatto di due rette e di un cerchio, concepisce queste rette come se si ricongiungessero all’infinito. Trova però una difficoltà: cosa succede all’infinito? Quando le rette si ricongiungono all’infinito, si ricongiungono in questo modo o in quell’altro? in un caso c’è nodo borromeo, nell’altro no.
Burzotta. – La mia domanda era ancora più stupida.
Darmon. – Vi ringrazio di porre delle questioni [registrazione disturbata].
Burzotta. – Da bambino guardavo delle vecchie donne fare delle cordicelle che avevano una qualità: ciascuna si teneva con il nodo successivo. La qualità di questa cordicella stava proprio nella fede della vecchietta che i tre fili di ricongiungessero per tenere. Infatti, questa cordicella deve prima essere tenuta, poi però si ammucchiava [interruzione della registrazione].
Darmon. – Se avete altre questioni stupide, volentieri.
Sgambati. – Se non sbaglio, lei ha detto che l’analista deve aver rispetto per alcuni soggetti, gli alcolisti ad esempio, perché è questa dipendenza che li tiene.
Darmon. – Non lo formulerei proprio così, ma continui.
Sgambati. – Ma se c’è questa forma di rispetto, perché è questa dipendenza che li tiene, allora nel nodo questa dipendenza costituisce il quarto che tiene assieme i tre anelli? Come ripristinare una tenuta dei tre anelli eliminando la dipendenza?
Darmon. – Se l’ipotesi di Melman è giusta, l’oggetto non è il quarto. È un oggetto positivizzato che ha per effetto di mantenere i tre e il nodo che ne risulta sembra un nodo a tre. Se, in questo caso, è possibile un lavoro analitico allora sarebbe possibile costruire il quarto. Aiutare il soggetto a costruire un sinthome. Quando dicevo che bisogna rispettarli, mi riferivo ad una certa attitudine in cui si tenta di ridurre il sintomo ad ogni costo. È misurata la necessità strutturale di questa dipendenza. Non significa mantenere l’alcolista nell’alcolismo.
Vorrei fare un’ultima osservazione sulla questione del tempo. Che ne è del tempo nell’analisi. Che ne è del tempo in rapporto con il nodo? Sapete che nel suo ultimo Seminario Lacan voleva parlare di questo. Ha enunciato che la topologia è il tempo. Come possiamo capirlo? La questione della durata delle sedute in Lacan è antica e fondamentale. È la sua concezione del tempo logico che lo ha guidato nella pratica delle sedute brevi. Vale a dire che occorreva mettere in atto la funzione della fretta che è una delle manifestazioni dell’oggetto. Voi avete due manifestazioni temporali dell’oggetto: una è l’angoscia, legata all’attesa; e questa funzione della fretta. È vero che si può sostenere che Lacan cercava di produrre qualcosa e la sua pratica di sedute brevissime alla fine della sua vita può essere compresa in questa prospettiva. Ma si trattava di Lacan, vale a dire di analizzanti che avevano un transfert sull’analista Lacan. Imitare stupidamente questa pratica, senza chiamarsi Lacan, è assurdo. Allora la topologia è il tempo: cosa significa questo nuovo enigma? Perché potremmo anche dire che la topologia è lo spazio. Lacan ha precisato che la topologia è il tempo necessario per comprenderla. Vale a dire che questo nodo che ci strattona occorre del tempo per comprendere come è fatto. È questo che diviene il famoso “tempo per comprendere” che aveva introdotto nel famoso scritto Il tempo logico. All’epoca, parlava deltempo per comprendere come di un fattore psicologico, che al limite poteva essere misurato con dei test. Qualcosa che non apparteneva proprio al campo analitico. Ciascuno avrebbe il proprio tempo per comprendere e di conseguenza il suo momento per concludere. In seguito è tornato su questo tempo per comprendere, come legato specialmente alla struttura. Possiamo dire che il tempo per comprendere è legato alla topologia propria al soggetto.

[1] Marcel Bénabou – Dominique de Liége – Laurent Cornaz, 789 Néologismes de Jacques Lacan, collectés par J.-P. Abribat – A. Allaigre – Duny – J. Allouch et al., Paris, Epel, 2002.
[2]J. LACAN, Seminario XVII (1969-70), Il rovescio della psicoanalisi. Torino, Einaudi, 2001, p. 202.